venerdì 31 gennaio 2014

la punizione del faraone.



12 Anni Schiavo
12 Years A Slave, 2013, USA/ UK, 134 minuti
Regia: Steve McQueen
Sceneggiatura non originale: John Ridley
Basata sul romanzo omonimo di Solomon Northup
Cast: Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Sarah Paulson,
Paul Dano, Benedict Cumberbatch, Paul Giamatti, Brad Pitt,
Lupita Nyong'o, Alfre Woodard, Kelsey Scott, Quvenzhané Wallis
Voto: 8.8/ 10
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Candidato a nove Premi Oscar:
film, regia (Steve McQueen), sceneggiatura non originale (Joh  Ridley)
attore (Chiwetel Ejiofor), attore non protagonista (Michael Fassbender)
attrice non protagonista (Lupita Nyong'o), montaggio (Joe Walker)
costumi (Patricia Norris), scenografia (Adam Stockhausen & Alice Baker)
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Il «genio» Steve McQueen (le virgolette sono di Michael Fassbender su Vanity Fair), video-artista al suo terzo lungometraggio, raccoglie il crescendo di successi accumulati in precedenza e approda al cinema con un'opera che, stando solo alla trama, spezza con le precedenti; è una storia in costume, storia vera di Solomon Northup rapito da due bianchi finti impresari circensi e venduto come schiavo, privato della sua identità e separato con la forza e l'inganno dalla famiglia, dai figli, per essere deportato altrove a coltivare il cotone e lavorare la terra mantenendo la media delle 200 libbre raccolte ogni giorno sennò cento frustate. Ed è una storia linearmente raccontata, affrontabile da ogni tipo di pubblico: non siamo più davanti ai pianosequenza estremi di Hunger, al suo silenzio perenne rotto dal magistrale dialogo del mezzo; non abbiamo più il mistero da svelare scavando nella psicologia dei due protagonisti di Shame: qui tutto ci viene raccontato sin dall'inizio, come a voler privare il film della sua trama, del suo sviluppo, anche perché a McQueen raccontare una storia in ordine cronologico non piace. Eppure gli strascichi di Shame si sentono, soprattutto nella colonna sonora che un sacco le assomiglia (Glenn Gould escluso) ma di Hans Zimmer, ingiustamente non candidato all'Oscar; e ancora di più si sente Hunger: nell'esplicitazione della violenza, nella nudità dei corpi maltrattati, nelle frustate, nelle ferite sulla schiena, sui lividi, sulle magrezze. Ancora una volta il regista irlandese confeziona un'accusa verso la società: non è più la condizione dei prigionieri politici né quella del disturbo sessuale di un presunto violentato, ma un'accusa più grande, immensa, di cui tutto il mondo parla: è l'olocausto del Nuovo Continente, la tratta dei negri che ormai il cinema ci racconta in tutte le salse – e gli attuali adolescenti cresceranno come noi siamo cresciuti leggendo Anna Frank. Ma 12 Anni Schiavo si eleva sugli altri, sui grotteschismi ironici di Django, sull'asciuttezza narrativa di Lincoln, sulla compassione pietosa di The Butler, e si fa pellicola per chi si ritiene troppo intelligente per tutti i precedenti: perché McQueen estetizza, racconta una catastrofe ingiusta, un'altra vittimizzazione dovuta a circostanze esterne, alle cose del mondo, e lo fa senza mai perdere la propria concezione di Arte. Più il film avanza, più la storia si sporca di sangue, migliori sono le scene, concludendosi in un pianosequenza in cui la straordinaria Lupita Nyong'o si ritrova, nuda e legata, a sorbirsi colpi di frusta che le vediamo squarciare le carni. Però la fama del regista, e soprattutto del suo sodalizio con Michael Fassbender, qui relegato in una parte minore ma terribile e terribilmente interpretata, lo spinge sul grande pubblico, per cui lima i propri pirotecnicismi e puntella la pellicola con immagini di paesaggi e di orizzonti ricordando I Giorni Del Cielo e semina tra il cotone attori da cartellone, dal cattivo-a-tutti-i-costi Paul Dano al commerciante Paul Giamatti, dal buono Benedict Cumberbatch al buonissimo Brad Pitt (anche produttore). Se Spielberg si stendeva sulla sua impeccabile sceneggiatura, e soprattutto sui suoi attori, McQueen fa l'esatto opposto, prendendosi il carico della creazione di pathos – eppure gli attori lo superano lo stesso: Chiwetel Ejiofor è straordinario, e lui se ne accorge e lo riprende, fermo, per una scena intera. Meravigliosa. Cerca il meraviglioso in tutto – ma in tutto il becero, il cattivo, l'estremo: non ci mostra infatti la conclusione della storia (pubblicata nel 1853), e ce la riassume con troppe didascalie di fondo.
Era stato eletto film dell'anno prima che uscisse, ha avuto la sfortuna di uscire insieme a troppi film dell'anno. La critica si divide: attenzione però che le aspettative alte ammazzano.

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