sabato 29 agosto 2015

ukulele!



Minions
id., 2015, USA, 91 minuti
Regia: Kyle Balda, Pierre Coffin
Sceneggiatura originale: Brian Lynch
Voci originali: Geoffrey Rush, Sandra Bullock, Jon Hamm,
Michael Keaton, Allison Janney, Steve Coogan, Jennifer Saunders,
Steve Carell, Pierre Coffin, Katy Mixon
Doppiatori italiani: Alberto Angela, Luciana Littizzetto,
Fabio Fazio, Riccardo Rossi, Selvaggia Lucarelli
Ralph Palka, Roberta Pellini, Max Giusti, Monica Ward
Voto: 6.7/ 10
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In principio il Signore divise la luce dalle tenebre, le acque dalle terre – e nelle acque creò un microrganismo, che crebbe a mo' di girino, che mise su due piedi e due mani e, a volte, due occhi, scampò alle fauci dei mostri marini e popolò la terraferma: un microrganismo che divenne una tribù, priva di leader, desiderosa di servire e riverire il più cattivo della terra. La tribù lo cercò, il più cattivo, per decenni, per secoli: ma con Dracula e con gli unni, persino con Napoleone, ha avuto qualche intoppo. Negli anni '60 qualcuno si eleva sulla folla, e parla alla tribù, e dice – ehm, e dice: che partiranno in tre per andare a trovare quel cattivo cattivissimo da servire e riverire, da rispettare e inseguire, e con quel cattivo torneranno indietro – e partono: Kevin, Stuart e Bob – l'adulto, il teenager e l'infante, in qualche modo riescono ad arrivare nella New York hippie del '68 prima e nella Swingin' London poi, illuminati dal Villain-Con, il festival della cattiveria presso cui giungono scortati da una famiglia di ladruncoli. Ospite d'onore, attesissima, della serata, è Scarlet Overkill, voce originale di Sandra Bullock inspiegabilmente piazzata su tutte le locandine, causa Oscar – la cui gonna è capace di diventare punta d'astronave, razzo, canna di cannone. Questa, dal palco, indice un contest: premio in palio è il diventare suo assistente per un colpaccio alla regina – e indovinate chi vince. Peccato, giustappunto, per questa trama un po' insipida, un po' sempliciotta, per questi personaggi umani un po' invadenti senza averne le qualità, un po' surreali. Era il 2010 quando la Illumination ci provò: un film su un cattivo, e non su un buono, che rubava la piramide di Cheope e la torre di Pisa – un cattivo però che scopriva il suo lato tenero e umano, che si circondava di marmocchie e di cosi gialli – un film che a differenza di Frozen metteva d'accordo tutti, maschi e femmine piccoli e grandi: risultato: 534 milioni di dollari d'incasso; ne derivò un previsto sequel, in cui i cosi gialli già prendevano il sopravvento, finendo (da soli) sulla locandina: risultato: 970 milioni di dollari d'incasso. I cosi gialli, poi, furono inseriti da Empire nei cento personaggi cinematografici più rilevanti di tutti i tempi, e come i pinguini di Madagascar (ma attenzione: in TV adesso arrivano anche le scimmie) hanno cominciato col fagocitare l'attenzione; ne derivò prima un corto, poi un previsto spin-off: mischiando italiano, spagnolo, inglese, francese, cinese, indi, giapponese, coreano e indonesiano, seguiamo i cosi dal loro formarsi fino ad oggi, dal loro scoprire la prima salopette dopo il giaccone per i ghiacci, la loro inesistente gerarchia tribale. Basandosi sulla slapstick comedy (di Charlie Chaplin, di Stanlio e Ollio, ma anche di Tom & Jerry) ma soprattutto sulla voce digitalizzata del loro creatore e regista Pierre Coffin (qui in coppia con Kyle Balda) che conia tormentoni dal semplice «banana» o «mega ukulele», i minions ne combinano, involontariamente, una dopo l'altra – e come tutti gli eroi dell'involontario la scampano sempre: sbucano dai tombini della capitale inglese mentre i Beatles ci passano sopra, passando per Abbey Road, e infastidiscono le riprese dell'allunaggio in realtà ricostruito e girato negli studi USA: i due momenti di comicità più brillante della pellicola. Nonostante si sia rinunciato ai soliti meccanismi di traino in favore della trama, a partire dall'inesistente canzone originale: Jimi Hendrix, i Doors, i Kinks, gli Who e i già citati scarafaggi fanno da sfondo alla detronazione di una finta Elisabetta e alla conservazione degli ori inglesi già visti (e quasi rubati) in Muppets Most Wanted: tutto fa sfondo per lasciare spazio e campo ai cosi gialli adesso negli Happy Meal di McDonald's, nelle edicole, sulle confezioni della UHU, su certi taxi: mettendo tutti d'accordo, e molti scontenti. Risultato, in due mesi, solo in America: 325 milioni di dollari. (E non avendo, purtroppo?, visto il film in italiano non posso dilungarmi sulla performance di Selvaggia Lucarelli, voce adesso, oltre che firma, del più noto giornalismo nostrano).

domenica 23 agosto 2015

bianca come il.



L'A.S.S.O.
Nella Manica
The DUFF, 2015, USA, 101 minuti
Regia: Ari Sandel
Sceneggiatura non originale: Josh A. Cagan
Basata sul romanzo The DUFF di Kody Keplinger
Cast: Mae Whitman, Robbie Amel, Bella Thorne,
Bianca A. Santos, Skyler Samuels, Romany Malco,
Nick Eversman, Chris Wylde, Ken Jeong, Allison Janney,
Rebecca Weil, Seth Meriwether, Benjamin Davis
Voto: 6.3/ 10
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Sempre con la mano alzata a scuola, bravissima in tutte le materie, inspiegabile amica di due ragazze mediamente inserite nella società, Bianca è totalmente disinteressata a far apparire le sue tette staccate, più lunghe le sue gambe: in salopette e scarponi e camicia di flanella va a scuola mentre Madison – nella perfetta esistenza di Bella Thorne – ondeggia nei corridoi verso Wesley, che prende e lascia, che ama e disprezza, che si allena per sfoderare i marmorei addominali, che si aggira in casa in canottiera, col trapezio visibile, mentre la sua vicina e amica d'infanzia, compagna di giochi e di bagnetto, Bella appunto, gli vive di fronte. A una festa lui si lascia scappare ciò che tutti pensano: che è un'A.S.S.O., un'Amica Sfigata Strategicamente Oscena: utile alle sue inseparabili compagne in modo che quelli carini le si avvicinino per sapere: «sono single?», «ti parla mai di me?». Allibita dalla rivelazione, scende al patto (eccolo, lo stavamo aspettando): lei gli dà ripetizioni in modo da farlo diventare uno sportivo anche intelligente, lui l'accompagna per i soliti centri estetici, negozi d'abbigliamento, a svelarle i misteri della bellezza (perché, poi, un uomo?). Nei vari step della metamorfosi succedono due cose: la prima è nascosta dietro ogni angolo, «in un film, si diceva, le colline hanno gli occhi; qui le colline hanno una stronza che riprende tutto col telefonino»: i video di Bianca che sculetta, limona con i manichini, fa il nome del compagno di scuola che le piace, si cambia mostrando cosce flaccide e monociglio, vengono caricati online e resi virali – perché un film che oggi parla del liceo americano non può non contenere il termine virale, qualche smartphone e un riferimento a YouTube. La seconda cosa che succede è che Bianca e Wesley parlano, ridono, si baciano per scherzo allenatorio e così il resto lo sappiamo già – come il restante precedente d'altronde. Se The DUFF sta in piedi (e mi rifiuto di chiamarlo con l'italico nome) è semplicemente per la sua protagonista Mae Whitman, voce originale di Trilli per la Disney, caratterista comica, classe 1988, che attraverso sproloqui, vocalizzi, smorfie tiene la pellicola sempre per le bretelle mentre affonda nel previsto ovvio. Tiene addirittura testa ad Allison Janney, la signora number six degli Emmy Awards, madre abbandonata dal marito che mette in piedi un corso di autostima, autodifesa sentimentale e rinascita spirituale con cui diventa celebre – e che cerca di rivendere online – ricordando l'infoiato Tom Cruise di MagnoliaRobbie Amell, 27 anni appena, star della serie The Tomorrow People, cugino di Stephen Amell, star della serie Arrow, è utile solo ad essere senza maglietta nello spogliatoio, scena d'obbligo nel filone cinematografico, con la stessa incursione di The Hole anche se lì l'audacia era ben più spogliata: qualche coraggio nei termini usati, pochissima volgarità, demenzialità assente nonostante la presenza del Ken Jeong di Community, eppure se il film risulta sufficiente non decolla mai sopra ai suoi cugini più rodati, sforzandosi solo nei titoli di coda di vomitare social networking e tecnologia, ritagliando agli sms e alla dipendenza dal virtuale solo gli spiragli a cui siamo già abituati: anche la madre, rimasta sola e che si vuole rimettere in gioco, che apre un profilo su un sito d'incontri («abbiamo scritto che siamo giovanili e in forma, e abbiamo mentito entrambi») è già un cliché. E chissà se scopriremo mai che l'appellativo «duff» venga sul serio utilizzato, adesso, nei college e nei licei, luoghi-impero di così tante storie infinitamente lontane dalle nostre, eppure così padroneggiate.

sabato 15 agosto 2015

piccino picciò.



Ant-Man
id., 2015, USA, 117 minuti
Regia: Peyton Reed
Sceneggiatura non originale: Edgar Wright, Joe Cornish,
Adam McKay e Paul Rudd
Basata sulla graphic novel di Stan Lee, Larry Lieber e Kack Kirby
Cast: Paul Rudd, Michael Douglas, Corey Stoll, Evangeline Lilly,
Bobby Cannavale, Anthony Mackie, Judy Greer, Michael Peña,
Abby Ryder Forston, David Dastmalchian, T.I., Hayley Atwell,
John Slattery, Wood Harris, Martin Donovan
Voto: 5.5/ 10
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C'è uno scassinatore, Scott Lang, ladro ricercato e finito in prigione che ha visto la compagna passare a miglior marito (poliziotto!) e la figlia venirgli sottratta sotto agli occhi, senza poterci fare niente: ne esce, e decide di cambiare, migliorarsi: ma è difficile trovare lavoro dopo essere stato ripetutamente sul giornale. Gli amici poco furbi di sempre gli propongono un affare, un furto con scasso facile facile – una cassaforte pluri-blindata in una camera da letto. La camera è di Michael Douglas, Hank Pym, colui che inventò il sistema (liquido) per rimpicciolire gli atomi e rimpicciolirsi, senza apparenti danni al corpo né al cervello – e poi tornare ad essere grandi normalmente, sistema che fu utile in guerra, per disinnescare bombe, trasportare carri armati. Pym assiste all'intrusione di Lang – da lui architettata e permessa – perché necessita di un allievo a cui affidare la sua prossima missione: e Lang, nella camera con cassaforte blindata, trova solo una tuta, una maschera e una fiala. Scoprirà il meccanismo e la famiglia che lo governa (Evangeline Lilly ripropone i capelli della Howard in Jurassic World, che però non le si scompigliano): famiglia spezzata dalla perdita di una madre, da un rapporto conflittuale tra il genitore e la figlia, segreti taciuti, competenze non riconosciute, calderone perfetto per affiancarsi ai problemi familiari di Lang, perseguitato dal nuovo compagno della moglie Bobby Cannavale (e sono tre film contemporaneamente in sala), desideroso di riscatto, di realizzazione, esiliato dal sistema sociale. La missione sarebbe quella di: salvare il mondo. Perché un ex allievo di Pym, Corey Stoll, da sempre desideroso di ricreare il sistema di rimpicciolimento, forse ci è riuscito, senza però prevedere la catastrofe (continuare a rimpicciolire entrando nella dimensione quantica), sperimentando su capre e colleghi di laboratorio – accecato dal denaro e dal finanziamento di altre aziende. Se venisse messo in circolazione, sarebbe il caos: così Michael Douglas ritorna sulla piazza. In un flashback scopriamo che è stato Ant-Man, in un passato che non ci viene mostrato, ricordando la prima comparsa del «nuovo supereroe Marvel» già nel 1962, quando Pym era supereroe lui stesso. Tanto parlare delle dimensioni ristrette del protagonista contro il gigantismo degli effetti digitali solitamente usati, degli scenari a cui siamo abituati – omettendo che diventano giganti un trenino (Disney) e una formica. Tanto parlare del doppio finale (Pixar) e degli addominali del 46enne Paul Rudd («ho seguito per un anno intero un regime molto rigido, allenandomi tutti i giorni, riducendo all'essenziale i carboidrati ed eliminando completamente l'alcol – per un'unica scena in cui posso mostrarli») dato che della trita trama del supereroe con superproblemi (e un supercattivo che cambia identità sfruttando la tecnologia rubata) si può dire ben poco: diamo la colpa all'abbandono del set da parte del geniaccio Edgar Wright (Scott Pilgrim), autore comunque della sceneggiatura ritoccata poi da Rudd stesso, divoratore di fumetti a sua detta, a discapito del meno avvezzo Peyton Reed (Abbasso L'amore, Yes Man), dietro al quale le case di produzione spingevano la seconda fase del cinema Marvel, prevedendo per Ant-Man già la presenza nel prossimo Captain America (2016) e nei prossimi Avengers (2018). Ne deriva un film privo di elementi notevoli, dall'intreccio banalissimo, dai personaggi scontati, a cui manca soprattutto ciò che ormai pareva ben promesso (con il primo Iron Man, ma soprattutto con Guardiani Della Galassia): l'(auto)ironia, lo humor che Scott si lascia scappare in pochissime scene – che contraddicono l'idea di lui che ci siamo fatti – che Michael Peña da solo si deve caricare fino all'ultima – attesissima – scena. Un film dovuto perché indispensabile per rinnovarsi, infilare un nuovo personaggio, ormai presentato, nelle saghe collettive e soprattutto farci un sequel – «Pym è ossessionato dall'idea di ritrovare sua moglie, mentre Hope potrebbe seguire le orme della madre e indossare la tuta  di Wasp…» – perché a incassi stellari con un sequel si risponde: e che ringrazi la contemporanea uscita dei disastrosi Fantastici 4.

cinema d'agosto.



Prima che il Natale diventasse il fenomeno cinematografico d'aggregazione e, quindi, il momento dell'anno prediletto di alcune commedie a sfondo invernale – il cinema post-neorealista guardava con occhio interessato anche all'estate, alla città svuotata del primo episodio di Caro Diario di Nanni Moretti, ai turisti spaesati che non sanno a chi domandare aiuto di Un Sacco Bello, opera prima di Carlo Verdone regista e attore per il grande schermo. Così, questo 15 agosto, mentre – guardacaso – il MIC - Museo Interattivo del Cinema di Milano, propone quattro pellicole tra il 15 e il 16, la mia trasmissione radiofonica Start Rec ripercorre trame e backstage dei più importanti (noti e meno noti) film ambientati nel giorno più spensierato dell'estate, a partire dall'ovvio Il Sorpasso di Dino Risi (titolo originale: Il Giretto, interprete originale: Alberto Sordi, finale originale: meno funesto, co-protagonista originale: non si sa), o nel giorno precedente, come L'ascensore di Luigi Comencini, cortometraggio conclusivo di Quelle Strane Occasioni, occasioni tutte incentrate sul sesso dei borghesi, in cui la Sandrelli e monsignor Sordi si ritrovano bloccati in un palazzo senza nessuno che li possa tirare fuori. Ma nell'ora di trasmissione si spazia andando indietro e in avanti nel tempo: da La Famiglia Passaguai di Aldo Fabrizi – incredibile campione di incassi nel '53, quando arrivò sullo schermo anche la conclusione della trilogia (La Famiglia Passaguai Fa Fortuna e Papà Diventa Mamma), al più recente e celebrato Pranzo Di Ferragosto (anche in TV, ore 2:30, Rai 1) di Gianni Di Gregorio, riportando in auge una pellicola dimenticata e attualissima come Casotto, regia e sceneggiatura di Sergio Citti, con la collaborazione di Vincenzo Cerami, nel cast Ugo Tognazzi, Gigi Proietti, Michele Placido, Mariangela Melato, Paolo Stoppa e addirittura una sedicenne Jodie Foster. Per ascoltare anche le precedenti puntate di Start Rec, all'indirizzo ufficiale di Mixcloud sono disponibili tutti i podcast; in previsione della nuova stagione, da ottobre, e della puntata speciale sugli Emmy del 4 settembre, tutte le informazioni sono disponibili sulla pagina di Facebook.


venerdì 14 agosto 2015

spaccatutto.



Pixels

id., 2015, USA/ Cina/ Canada, 106 minuti
Regia: Chris Columbus
Sceneggiatura non originale: Tim Herlihy & Timothy Dowling
Basata sul cortometraggio di Patrick Jean
Cast: Adam Sandler, Kevin James, Michelle Monaghan,
Peter Dinklage, Josh Gad, Matt Lintz, Brian Cox, Sean Bean,
Jane Krakowski, Ashley Benson, Jakie Sandler,
Anthony Ippolito, Jared Riley, Andrew Bambridge,
Jacob Shinder, Matt Frewer, Dan Aykroyd, Affion Crockett
Voto: 4.8/ 10
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Nei favolosi anni '80 che tutti (quelli che c'erano) adesso rimpiangono in diversi approcci creativi, a seconda dei propri mestieri, la NASA, capitanata dalla volontà sociale, inviò nello spazio senza meta precisa una di quelle boxes effettivamente inviate nello spazio – contenente immagini, video e simboli della cultura e dell'evoluzione umana: quindi registrazioni di Happy Days e Madonna, videogiochi arcade e anche i risultati di un campionato, di questi ultimi, in cui Brenner si piazzò secondo dietro il Peter Dinklage de Il Trono Di Spade («la migliore serie dopo Twin Peaks», riporto); adesso Dinklage è dietro le sbarre e Brenner alla guida di un furgoncino per andare a riparare pezzi elettro-meccanici dalla gente che lo chiama dalle Pagine Gialle, miglior amico del Presidente (che c'era, quando lui si piazzò secondo) con cui è passato ad apprezzare Scarlett Johansson dopo Farrah Fawcett – ma ancora non coglie il divertimento nelle consolle fatte per giochi spara-tutto, ammazza-tutti, carichi di violenza e senza «uno schema». Trentatré anni dopo quell'evento, decaduto Obama che però viene ricordato, Kevin James prepara torte alla Casa Bianca con la compagna Jane Krakowski, che dirà sì e no due frasi, e sarebbe stata molto divertente se ne avesse dette di più – invece a parlare è lui, e il divertimento è inesistente – e la NASA avvisa di avvistamenti nell'etere perché quelle intercettazioni aliene che hanno ricevuto, aperto e studiato la box, hanno creduto che quei videogiochi arcade fossero minacce di guerra (loro i fantasmini e la Terra Pac-Man) per cui hanno costruito versioni gigantesche di Donkey Kong o degli Space Invaders utilizzando, come da titolo, pixels, materiale cioè capace di ricomporsi una volta disintegrato (a meno che non sia disintegrato secondo le regole del gioco) e che riporta a se stesso tutto il materiale che colpisce. Per fronteggiare l'attacco allora il governo chiama a rapporto gli unici in grado di analizzare e rispondere allo «schema» digitale: e quindi, oltre al creatore di Pac Man, Adam Sandler, Dinklage e Josh Gad che negli anni '80 era un bambino. Moderni Ghostbusters – impossibile evitare il confronto – riportano in auge la moderna figura del nerd sfigato alle feste di compleanno e osannato nelle sale-giochi, chiuso in casa tutto il tempo davanti al proprio schermo e poco propenso alla cura di sé. Sandler infatti, che già non brilla di appetibilità estetica, è qui un trasandato operaio sovrappeso, con la battuta pronta per clienti ricche che si mettono a piangere nella cabina armadio (vedi alla voce: Michelle Monaghan) e dal quale quindi non ci aspettiamo un sì facile flirt amoroso. Ma Sandler si è fatto il film su misura, scansando addirittura il regista Chris Columbus, classe 1958, il regista addirittura di Mamma Ho Perso L'aereo, di alcuni Harry Potter, il primo Percy Jackson e Una Notte Al Museo, il quale è arrivato per ultimo nello sviluppo del progetto: basato sul cortometraggio dallo stesso nome diretto dal francese Patrick Jean e vincitore dell'Annecy Crystal 2011, lo script di Tim Herlihy è stato commissionato da Adam Sandler mentre Columbus proponeva il remake di Hello Ghost, film della Corea del Sud di Kim Young-tak. Ne risulta un prodotto inclassificabile (al quale è stato tolto il danno alla Grande Muraglia per non incappare nella censura cinese): oscillando nei fenomeni disneyani di queste decadi, la Marvel e la Pixar, la commistione della catastrofe planetaria a certe trovate di Ralph Spaccatutto dovrebbe concludersi come film perfetto per gli amanti del genere – eppure si riempie di battute demenziali, trovate surreali, risvolti da commedia romantica: un pasticcio, e incassa 135 milioni di dollari.

Emmys 2015 – nominations.



Si svolgerà il 20 settembre al Microsoft Theater di Los Angeles, in diretta americana sui canali Fox in prima serata, la cerimonia dei 67esimi Emmy Awards, i premi della televisione d'oltreoceano che conta così tante categorie, così tante maestranze e canali e prodotti per il piccolo schermo che necessita una cerimonia preventiva, il 12 dello stesso mese, per consegnare, tra gli altri, premi al trucco, alle musiche, alle coreografie, ai titoli di testa o ai programmi per bambini – tra serie drammatiche e commedie, mini-serie (che da quest'anno si chiamano limited series), speciali, reality, varietà e programmi d'intrattenimento e informazione. Una schiera di riconoscimenti così ampia e minuziosamente segmentata da richiedere altri interventi (oltre alla dicitura “limited serie”) nella catalogazione e nel regolamento della giuria dell'Academy of Television Art & Sciences: prima di tutto, la differenza drama/ comedy si baserà adesso solo sulla durata dei singoli episodi della serie: sotto i trenta minuti comedy, intorno all'ora drama: per cui Orange Is The New Black, il fenomeno Netflix dell'anno scorso, scivola nel recipiente opposto a quello in cui era candidato nel 2014, quando prodotti come True Detective e Fargo non erano ben collocati tra le mini-serie e le serie. L'Academy però si è permessa di non toccare prodotti dichiaratamente comedy come Glee, Jane The Virgin e Shameless. Sempre per le serie, saranno da adesso sette i titoli nominati come programmi e non più sei. Le limited series saranno composte da due o più episodi che non superano le 150 ore complessive e non hanno personaggi, situazioni o riferimenti a stagioni successive o precedenti. Allo stesso modo, il guest actor per essere tale deve comparire in meno del 50% degli episodi (ed ecco perché Uzo Aduba, annunciatrice delle candidature, del grassetto precedente, da guest diventa adesso supporting). I varietà infine si dividono: tra quelli parlati e quelli composti da sketch – i primi saranno premiati il 12, i secondi il 20. Passando ora alle nominations, al solito, la HBO fa da padrona con 126 candidature, 27 in più dello scorso anno, e, al solito, Il Trono Di Spade è capofila – 24 nominations, due volte per la regia, tre attori – seguito da American Horror Story: Freak Show (19 candidature, sei per gli interpreti di cui tre attrici non protagoniste), la limited serie Olive Kitteridge dal romanzo premio Pulitzer di Elizabeth Strout con Frances McDormand, Richard Jenkis e Bill Murray, poi ancora la miniserie antologica American Crime di John Ridley (10), la serie broadcast più nominata. Sul versante on-demand invece Netflix si scontra ora con Amazon: 46 candidature in due, da spartire tra i fenome(nal)i House Of Cards e Transparent, insieme a Bloodline, Orange di cui prima e la novità di Tina Fey, decisamente sottovalutata, Unbreakable Kimmy Schmidt. La stagione conclusiva di Mad Men guadagna 11 nominations: finiscono anche Parks And Recreation (che porterà il trofeo, finalmente, ad Amy Poehler) e Glee, mentre Better Call Saul prende il posto di Breaking Bad, trionfatore l'anno scorso, 7 nomine. Homeland si ripropone, con la quarta stagione, tra le migliori serie drammatiche, e dopo ben nove anni, per lo stesso ruolo in The Comeback, viene candidata Lisa Kudrow. Spunta di poco The Last Man On Earth, ideata e interpretata da Will Forte, con 4 nominations, poi ancora Le Regole Del Delitto Perfetto ed Empire. Ma incredibilmente le attrici vincitrici del Golden Globe, così come le loro serie (The Affair, Jane The Virgin), non vengono prese in considerazione. Alla regia c'è anche Steven Soderbergh per il suo The Knick; resta un mistero la presenza dei documentari candidati all'Oscar (e il vincitore) Virunga, CITIZENFOUR. Di seguito, dopo l'interruzione, le categorie maggiori (tutti i programmi, le interpretazioni, sceneggiature e regie); per l'elenco completo dei candidati rimando al sito ufficiale.

programmi
serie comedy
Louie (FX)
Modern Family (ABC)
Parks And Recreation (NBC)
Silicon Valley (HBO)
Transparent (Amazon)
Unbreakable Kimmy Schmidt (Netflix)
Veep (HBO)

serie drammatica
Better Call Saul (AMC)
Downton Abbey (PBS)
Il Trono Di Spade (HBO)
Homeland (Showtime)
House Of Cards (Netflix)
Mad Men (AMC)
Orange Is the New Black (Netflix)

lunedì 10 agosto 2015

la pelle che abito.



Ex Machina
id., 2015, UK, 108 minuti
Regia: Alex Garland
Sceneggiatura originale: Alex Garland
Cast: Domhnall Gleeson, Oscar Isaac, Alicia Vikander,
Sonoya Mizuno, Corey Johnson, Symara A. Templeman
Voto: 7.9/ 10
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Il ginger irlandese Domhnall Gleeson (figlio di Brendan, con cui ha condiviso il set religioso di Calvario, il maggiore dei fratelli Weasley in Harry Potter E I Doni Della Morte ma soprattutto il protagonista, non talentuoso, John di Frank) viene scelto (selezionato?, sorteggiato?) per accedere nella blindatissima casa di Nathan, il CEO della Bluebook, il programmatore che ha ideato l'algoritmo su cui si basa adesso uno dei più importanti motori di ricerca del mondo: una casa dispersa tra prati e cascate e colline al punto che l'elicottero, impossibilitato ad arrivarci, lo lascia metri prima, e lo fa andare a piedi. Caleb, Gleeson, conosce così Oscar Isaac, che si conferma il più sottovalutato attore dei nostri tempi: rasato ma con barba e due vizi: l'allenamento fisico e la vodka liscia. Motivo del “viaggio premio” è testare un prodotto segreto e riservatissimo del suo capo e mentore, al punto da dover firmare contratti di riservatezza, avere ristrettezze sulle stanze della casa, telecamere dovunque che registrano ogni mossa, ogni movimento, addirittura fotocellule nel muro che impediscono l'abbandono in certi casi. Un'esagerazione a cui presto è data risposta: Ava, donna-macchina con componenti elettroniche ma dal mirabile volto umano, dai modi umani; dai sentimenti umani? Ecco il compito di Caleb, testare la macchina per scoprire fin dove è macchina e fin dove persona – senza rivelare niente a nessuno, ché pure la domestica di casa, giapponese silenziosa, non capisce l'inglese e quindi non può lasciarsi scappare una nota ad anima viva – rinchiusa com'è in quel posto, poi… Ma Ava, durante un blackout, ammonisce Caleb: di non fidarsi di tutto ciò che gli verrà detto. L'avviso ingigantisce il thrilling della situazione, claustrofobica già di suo, tipico risultato degli ingredienti: sconosciuto, sconosciuto, casa isolata. Con uno sconosciuto che ha il coltello dalla parte del manico e l'altro che siamo noi. Il gioco delle parti si ribalta, alla fine, senza spoiler, quando il dubbio colpisce anche la macchina: che magari ha troppe pretese umane e nessun vero sentimento. Da che parte stare? Ricalcando temi e utopie più universali ed eterne del sogno creazionista, Alex Garland (lo sceneggiatore di The Beach, di 28 Giorni Dopo, di Non Lasciarmi che è il diretto anticipatario di questa pellicola) abbandona i libri da cui di solito attinge per il suo materiale ma se ne ricorda, soprattutto di quei romanzi ottocenteschi dall'impianto gotico e dagli archetipi tragicamente greci, Prometeo, Frankenstein, il dottor Jekyll – tutta roba che è pure servita a Pedro Almodóvar per il suo penultimo La Pelle Che Abito, dove la partenza non è la codificazione digitale ma una vendetta corporale. Garland però si supera: asciuga trama, personaggi, unità di tempo e di luogo al punto da ridurre al minimo indispensabile e non sbava neanche in una scena; mentre riempito di barocchismi Almodóvar era incappato in qualche scivolone. La prima idea per Ex Machina gli venne in mente quando a 11, 12 anni circa, i genitori gli comprarono un computer e lui ebbe le prime nozioni di programmazione. Crescendo, si batté coi suoi compagni che sostenevano che le macchine non avrebbero mai raggiunto la sensibilità: lesse libri sulla coscienza e realizzazione dei robot e lavorò ai suoi progetti con scrittori esperti di neuroscienze, lasciandosi ispirare da 2001: Odissea Nello Spazio e Stati Di Allucinazione di Ken Russell. Per realizzare un film genuino, privo di scene d'azioni banali richieste dalle major, ha cercato di restare al minor budget possibile (15 milioni di dollari): durante le riprese non è stato infatti usato il green screen, né tracking marker né effetti digitali: tutto è stato aggiunto in post-produzione. La parte più corposa degli effetti sta in Ava, interpretata dalla futura onnipresente Alicia Vikander; questa si compone del suo effettivo volto, ripreso in rotoscopio, e una parte del busto completamente trasparente, che permette di farci vedere cosa c'è alle sue spalle. Non a caso, si legge: Ex Machina si appoggia con più forza alle sulle idee e non sugli effetti – ed è un film di fantascienza insolitamente coinvolgente.

martedì 4 agosto 2015

Omero, Iliade.



Il Ragazzo Della Porta Accanto
The Boy Next Door, 2015, USA, 92 minuti
Regia: Rob Cohen
Sceneggiatura originale: Barbara Curry
Cast: Jennifer Lopez, Ryan Guzman, Ian Nelson, John Corbett,
Brian Mahoney, Kristin Chenoweth, Lexi Atkins,
Hill Harper, Jack Wallace, Adam Hicks, François Chau,
Bailey Chase, Kent Avenido, Travis Schuldt, Raquel Gardner
Voto: 3.6/ 10
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La sveltina più famosa del mondo: quella con la segretaria, che porta Jennifer Lopez a separarsi dal marito – quasi a divorziare, perché la migliore amica le impone di riprendere in mano le redini della vita, di rifarsene una nuova, di uscire con uomini più dignitosi, a prescindere dalla loro opinione sull'attuale studio dei classici greci e latini (forse non sanno che J.K. Rawling…) – ma Jenny from the block è insegnante di Lettere (…) divorata dal cattolicesimo, diciamo, che passa giorno e notte a ripensare alla vita famigliare, con un figlio adolescente con problemi di inserimento sociale a cui farebbe bene una figura paterna fissa – preso in giro a scuola, bullizzato davanti alla ragazzina che gli piace a cui non riesce a chiedere nemmeno l'ora, come tutti gli high school movies ci hanno insegnato. Per cui, restata sola a gestire gli sgoccioli di una bollente estate, la Lopez fatica a uscire dal garage causa saracinesca difettosa: un bicipite si impone sovrano: è quello di Ryan Guzman, faccia banale come il titolo della pellicola, quasi ventenne (ah ah ah!) che si propone di passare dal ferramenta e comprare le due viti necessarie a rimettere in sesto l'impianto. Si è appena trasferito, orfano di entrambi i genitori causa incidente stradale e abitante ora della casa dello zio lontano, anziano e disabile. La sua finestra-di-fronte è di fronte a quella di Jenny, che per caso e per fortuna una sera lo guarda rimirarsi in appannato specchio (cit.), completamente nudo. E lui se ne accorge. E la invita a cucinare, una sera, e poi a restare a cena, e poi a restare in camera da letto – e lei cucina mangia e si stende ma nessuna delle tre mosse renderà celebre il film ai posteri, nemmeno la sfrontatezza con cui il naso le si insinua tra le cosce, e poi le mani che la invitano a tastare i multipli solchi addominali. Lei gli spiega, dopo: si è trattato della debolezza di una sera. Lui le risponde senza parole: si infiltra nella casella di posta, le tappezza l'aula di foto sconce, finisce ad essere studente nella sua classe, la ricatta col video di quella notte, la sveglia con la musica a tutto volume mentre a finestre aperte se la spassa con altre pollastre. Lo stalking – tema brividoso del film che si vorrebbe staccare dagli esempi cinematografici precedenti per attualizzarsi con dispositivi mobili e web practices – s'infittisce a differenza della trama, che galoppa verso una conclusione sempre più separata: di qua i buoni di là i cattivi – e i buoni, vedrai, finiranno tutti con lo stare insieme, e i cattivi, ovviamente, sono pazzi. Dita infilate negli occhi, torture, un rogo umano per un epilogo che ci ricorda chi è che produce il tutto: «potrà finire come uno dei peggiori film del 2015» scrive il Boston Globe, «ma è anche uno dei più coinvolgenti». Tre voti sufficienti ogni dieci, ma nonostante le recensioni negative – che comunque sottolineano la distanza tra questo film e lo scult – la Lopez ha ottenuto buoni risultati, dice Vanity Fair: «crede veramente in quello che dice e fa, ma è consapevole di non stare facendo Shakespeare». Andato molto bene al box office, incassando venti volte il suo budget e classificandosi come “thriller erotico” grazie alla facilità con cui i pantaloni di Guzman cadano quando è di spalle, segna la Storia per la scena all'inizio del flirt fra l'insegnante e l'addominale, quando lui si presenta a casa di lei regalandole, attenzione, la prima edizione di Omero, che, come fa notare lei, gli sarà costata un putiferio visto che, facendo due conti, la prima edizione dovrebbe essere stata stampata circa duemilatrecento anni fa, profetizzando l'invenzione di Gutenberg del 1455.