giovedì 31 maggio 2012

brindiesh #3.





Attack The Block
id., 2011, UK, 88 minuti
Regia: Joe Cornish
Sceneggiatura originale: Joe Cornish
Cast: John Boyega, Jodie Whittaker, Alex Esmail, Leeon Jones,
Franz Drameh, Simon Howard, Luke Treadaway
Voto: 8.5/ 10
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I film inglesi, inglesi britannici, si dividono in un paio di categorie: i drammoni in costume (Il Discorso Del Re, Jane Eyre, Wuthering Heights) e le pellicole indipendentissime ambientate nelle periferie sudicie, nei quartieri malfamati, nei ghetti (Tyrannosaur, Submarine) che a volte sentono l'influenza dei kolossal del momento e, restano nella loro indipendenza, fanno comparire poteri paranormali e mostri (Misfits). Questo film appartiene a quest'ultima categoria, raccontandoci la storia di un gruppo di quindicenni (e poco meno) di un “block”, un quartiere, dimenticato da Dio; ma se lo stesso succedeva per Chronicle (film però americano) che si sforzava di essere amatoriale e non ci riusciva fino in fondo, questo mantiene la sua coerenza dalla prima all'ultima scena, senza scivolare nella brutta copia di Spider Man.
L'“attack” del titolo, in questo “block”, è un'invasione aliena, una pioggia di strane creature irriconoscibili, che alcuni scambiano per cani altri per gorilla, mucchi di pelo con denti e odore riproduttivo fluorescente verde. Ero molto scettico all'idea di guardare un film del genere. Ero scettico anche se questo Attack The Block aveva ricevuto la nomination come miglior debutto (di un regista e sceneggiatore, Joe Cornish, reduce da alcune serie televisive) ai BAFTA dell'anno scorso e aveva vinto il premio come miglior opera prima a Toronto. Ero scettico ma mi sono ricreduto perché dopo un mezzo furtarello iniziale - a una ragazza che resterà con noi fino alla fine - siamo incollati di fronte a questa banda di bulletti locale, giovanotti auto-elettisi guardiani dell'isolato, che girano con nello zaino mazze da baseball, razzi e fuochi d'artificio che, hanno notato, stordiscono e debilitano questi alieni pelosi. Girano in bici, con la moto del pony pizza, infilano spade rubate dall'arredamento di casa nelle schiene dei mostriciattoli e poi esibiscono i cadaveri dei caduti, se ne vantano, ridono, fino a quando la polizia li insegue e ferma - per possesso di droga, disturbo della quiete pubblica, furto. Ma la polizia è destinata a non fare una bella fine, come molti altri: parte l'effetto Dieci Piccoli Indiani (ma ci si ferma a cinque) e noi siamo ancora più incollati.
Un sacco di colpi di scena, una telecamera che sa sempre dove andare e ogni tanto sorprende, qualche battuta che fa sorridere non poco, qualche battuta che fa perdere un paio di punti, la musica (di artisti vari) da filmone in costume coi supereroi che non ci sono e un manipolo di pischelli presi per quello che sono: pischelli (bravissimi a recitare) che vorrebbero fare gli adulti, che si danno delle arie e dei soprannomi, dei ruoli, si fanno le canne e si fanno coraggio per affrontare questi demoni ma, in quanto pischelli, poi capita che tentano di correre giù dalle scale in sella a una motoretta e cadono, perché non siamo in un kolossal poco credibile ma in un bel film, sui generis, ma molto ben fatto.

lunedì 28 maggio 2012

Cannes65 - vincitori.





Un applauso che sarebbe durato un quarto d'ora (intero) se il regista non fosse intervenuto parlando al microfono ha accolto la vittoria di Michael Haneke, per la seconda volta Palma d'Oro (dopo il precedente Il Nastro Bianco), momento che l'autore ha voluto condividere con gli attori protagonisti del film (nella foto, a sinistra Emmanuelle Riva e a destra Jean-Louis Trintignant), citati da Nanni Moretti presidente di giuria all'annuncio della Palma per la loro splendida interpretazione che ha ancora di più valorizzato la pellicola.
Tutto secondo i piani, con una sorpresa nostrana: Matteo Garrone vince il Gran Premio e ringrazia nel più corto dei discorsi, forse perché inaspettato, forse perché abituato (anche per lui la seconda volta: la prima fu per Gomorra). Secondo me, ad ogni modo, c'è lo zampino dell'italiano in giuria, perché Reality non è stato largamente apprezzato.
Doppio premio per un altra ex Palma, Cristian Mungiu: miglior sceneggiatura e migliori attrici (Cristina Flutur e Cosmina Stratan) per Beyond The Hills, mentre il miglior attore (accolto pure lui con un altro lunghissimo applauso) è il bravissimo Mads Mikkelsen per l'intenso Jagten di Thomas Vinterberg.
Ma pure Ken Loach (Palma d'Oro per Il Vento Che Accarezza L'erba), se ne poteva andare senza niente?, e allora gli hanno dato il Premio della Giuria, mentre il regalo della sera è stata la migliore regia a Carlos Reygadas per Post Tenebras Lux.
La Palma d'Oro per il miglior corto è andata al muto Sessiz-Be Deng di L. Rezan Yesilbas mentre la Camera d'Or (premio per l'opera prima ad un film presentato in una delle competizioni) è stata data a Benh Zeitlin per il suo americano Beasts Of The Southern Wild, presentato nell'Un Certain Regard.
Per l'Un Certain Regard, invece, il miglior film è stato Déspues De Lucia di Michel Franco, il Premio della Giuria (presieduta da Tim Roth) al bizzarro Le Grand Soir e due premi per la migliore attrice, alla Suzanne Clément di Lawrence Anyways e alla Emille Dequenne di À Perdre La Raison.
Di seguito, tutta la lista di tutti i vincitori nelle varie categorie; per vedere i video di buona parte della premiazione cliccate qui.

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Concorso

Palma d'Oro:
Amour di Michael Haneke

Gran Premio:
Reality di Matteo Garrone

Premio per la Migliore Regia:
Carlos Reygadas per Post Tenebras Lux

Premio della Giuria:
The Angels' Share di Ken Loach

Premio per il Migliore Attore:
Mads Mikkelsen per Jagten (The Hunt) di Thomas Vinterberg

Premio per la Migliore Attrice:
Cristina Flutur e Cosmina Stratan per Beyond The Hills di Cristian Mungiu

Premio per la Migliore Sceneggiatura:
Cristian Mungiu per Beyond The Hills

Palma d'Oro al Miglior Corto:
Sessiz-Be Deng di L. Rezan Yesilbas

Camera d'Or:
Beasts Of The Southern Wild di Benh Zeitlin
presentato nell'Un Certain Regard

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Un Certain Regard

Miglior Film:
Después De Lucia di Michel Franco

Premio Speciale della Giuria:
Le Grand Soir di Benoît Delépine & Gustave Kervern

Miglior Attrice:
Suzanne Clément per Lawrence Anyways di Xavier Dolan

Miglior Attrice:
Emille Dequenne per À Perdre La Raison di Joachim Lafosse

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Premi della Cinefondazione

Primo Posto:
Doroga Na (The Road To) di Taisia Igumentseva

Secondo Posto:
Abigail di Matthew James Reilly

Terzo Posto:
Los Anfitriones (The Hosts) di Miguel Angel Moulet

sabato 26 maggio 2012

Cannes65 - giorni 9 e 10.





E abbiamo finito!
Presentati in concorso gli ultimi due film che si contendono la Palma d'Oro, il coreano The Taste Of Money di Im Sang-soo e Mud di Jeff Nichols.
Il primo film, bocciato dalla stampa, che ha giudicato il regista pretenzioso nel suo rifarsi a Shakespeare e Balzac, racconta del sesso e della droga e della morte in una famiglia coreana dopo la scoperta di un adulterio; il secondo film, opera seconda di Jeff Nichols dopo il Take Shelter presentato sempre a Cannes l'anno scorso, vede nel cast ancora Matthew McConaughey (che resta in città dopo The Paperboy) che interpreta Mud, uomo che scappa dal proprio assassino e si imbatte in due quattordicenni che lo aiuteranno ad incontrare la donna che ama - uno dei due ragazzi è Tye Sheridan, ex figlio di Brad Pitt in The Tree Of Life.
Piaciuto, quest'ultimo film, ma non troppo: resta, adesso, a kermesse chiusa, superfavorito Amour di Haneke, ancora, e l'attrice magari sarà la Cotillard, premio che la Francia si riserva, e il nostro Reality?
Intanto Elija “Frodo” Wood raggiunge la città del cinema per presentare Maniac fuori concorso, thriller franco-americano di Franck Khalfoun e per l'Un Certain Regard ci viene mostrata la vita di Renoir.
Al primo giorno in sala (italiana) Cosmopolis è andato molto bene, arrivando quarto in classifica, piaciuto leggermente di più di In The Fog, altro film in concorso di ieri - ma l'attenzione era tutta per il rapporto nascosto e non nascosto tra Robert Pattinson e la Stewart (nella foto, l'attore con Sarah Gadon a sinistra e Emily Hampshire a destra durante il photocall di ieri mattina).
E in queste ore di consegne di premi minori si è distinto No di Pablo Larrain, presentato per le Proiezioni di Mezzanotte con nel cast Gael García Bernal, osannato già al terzo giorno di festival, vincitore dell'Art Cinema Award. Di origine cilena, diventerà molto probabilmente il film che lo stato manderà ai prossimi Oscar.

Cannes65 - Roman Polanski.





Quando c'è Cannes non si può parlare di altro che di Cannes. E se il primo giorno è stato presentato il documentario (insieme a quello su Woody Allen) Roman Polanski: A Film Memoir, ecco adesso spuntare un corto promozionale che il regista polacco ha girato per i prodotti Prada, sempre mostrato al Festival in questi giorni e visibile su YouTube cliccando qui.
Nel primo caso si tratta di una vera e propria pellicola sulla vita e la carriera del povero regista, accusato di aver violentato una ragazza in America, colpa ancora non del tutto chiarita, e per questo impossibilitato a toccare il suolo americano e quello di tutti gli altri stati, segregato ormai in Polonia dalla quale non può uscire, dove ha girato gli ultimi L'uomo Nell'ombra e Carnage (non ha potuto ritirare l'Oscar alla regia per Il Pianista per questo motivo). Distribuito in Italia dalla Lucky Red e al cinema in contemporanea alle sale francesi, il film è oggi in sole sei sale di tutto il bel Paese.
Nel secondo caso, invece, siamo di fronte ad un corto che non vuole essere uno spot ma ogni tanto ci casca, interpretato (magistralmente) da Helena Bonham Carter (che ormai è dappertutto, anche nell'ultimo video di Rufus Wainwright) e Ben Kingsley, all'occorrenza ambiguo davanti al cappotto per signora che la sua paziente appende dietro alla porta. Si chiama A Therapy perché è ambientato nello studio di uno psichiatra, luogo chiuso e maniacalmente ricostruito, esattamente allo stesso modo di Carnage (Kate Winslet rivelò che Polanski, prima di girare, passava ore a cercare la giusta inclinazione di un fiore nel vaso).
Per conoscere le sale che proiettano Roman Polanski: A Film Memoir basta cliccare qui.

venerdì 25 maggio 2012

Cannes65 - Cosmopolis.





Cosmopolis
id., 2012, Canada, 105 minuti
Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura non originale: David Cronenberg
Basata sul romanzo Cosmopolis di Don DeLillo (Einaudi)
Cast: Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Paul Giamatti,
Mathieu Amalric, Samantha Morton, Jay Baruchel, Kevin Durand
Voto: 7.3/ 10
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Era dai tempi di Eyes Wide Shut che su una locandina non comparivano, così, così grandi, il nome dell'attore e del regista. Era scritto, là sopra, Cruise-Kidman-Kubrick ed era, quella, una vera collaborazione degna di caratteri cubitali (la coppia di attori era blindata sul set per infiniti giorni e ha collaborato alle scene). Qui succede che David Cronenberg, dopo nemmeno sei mesi dalla presenza a Venezia68 con il mediocre A Dangerous Method, condivide lo spazio sulla locandina con, pensate un po', Robert Pattinson, ormai impossibile da non associare al vampiretto della saga che grazie a Dio giunge al termine, e all'inizio questa cosa c'è sembrata impossibile, azzardata, una scelta non-da-Cronenberg. Ma poi succede che vediamo il film, ne capiamo il senso, e capiamo il senso di questa scelta: Robert “mascella” Pattinson è il Leonardo DiCaprio post-Titanic degli anni Duemila, il divo amato dalle ragazzette, idolatrato, pagato, coinvolto in progetti salvifici (tipo il pessimo Bel Ami) capace di vivere il dramma di questo personaggio, questo protagonista: Eric Packer, giovane miliardario economista conoscitore, esperto e ossessionato dai movimenti in banca e in borsa tanto da averne il dettaglio sui braccioli del sedile, si sveglia una mattina e lo vediamo su un marciapiedi accanto alla sua guardia del corpo, o autista, e sentiamo che gli dice che ha deciso di «aggiustarsi il taglio». L'autista gli risponde che non è il caso, che il presidente degli Stati Uniti è in città e la popolazione si sta muovendo in proteste, che ci sono attentati in previsione, troppa poca sicurezza, sarebbe meglio che un barbiere qualsiasi, o quello dell'angolo, venisse a lavorare in ufficio da lui. Ma no, Eric dice che il barbiere è un rito e lui, anche a passo d'uomo, ci deve andare. Si infila nella sua bianca limousine e da lì praticamente non si schioda: passano a trovarlo (senza mai capire come entrano e come escono) un suo amico esperto borsista, una prostituta (il premio Oscar Juliette Binoche in una veste insolita), una sua dipendente, il medico, un cantante amico di un altro cantante morto. E poi, sua moglie, con la quale per tre volte si ritrova a mangiare, che non mangia, la figlia di una famiglia di miliardari che ha deciso di non dargliela, di non fare sesso, che però sente l'odore di orgasmo che emana lui. Il giorno passa, i finestrini si anneriscono, fuori la gente è matta, trasporta topi giganti («ho letto in una poesia che il topo diventava la nuova moneta»), e quando finalmente arriva dal barbiere lui cosa fa?, lascia il taglio a metà, andando dall'uomo che vorrebbe ucciderlo.
Il meno noto libro di Don DeLillo (Premio Pulitzer per Underworld e massima penna americana del ventennio scorso) pubblicato in Italia da Einaudi (nel dettaglio qui) viene portato al cinema a tratti fedelmente e a tratti no, con tutti i dialoghi del genere e con la claustrofobia degli interni (eccetto qualche episodio, siamo sempre al chiuso). Il problema gigante del film è che annoia da morire. E la noia estenuante arriva perché, nonostante i continui botta e risposta affidati sempre a due personaggi in campo, la gente parla tutta allo stesso modo, tutta in modo tecnico, specifico, imprenditoriale, apocalittico, filosofico, irreale; ognuno pone domande senza ricevere risposta, o risponde con cose che non sono state chieste. E la prima cosa che insegnano, agli sceneggiatori, è che i personaggi non parlino tutti allo stesso modo, le prostitute come i banchieri.

Cannes65 - giorni 7 e 8.





Aquí Y Allá vince il Gran Premio nella Settimana della Critica in questo 65esimo Festival di Cannes, premio destinato all'opera prima o seconda di un regista in gara; il film, scritto e diretto dall'emergente Antonio Mendez Esparza - già noto ai festival per il suo corto di debutto Una Y Otra Vez - racconta del ritorno di un uomo (Pedro De los Santos) nel villaggio in cui è nato dopo gli anni trascorsi a lavorare negli Stati Uniti, storia (dice il regista) «di speranza, ricordi e ciò che ci lasciamo alle spalle». Gli altri film della sezione ad aver vinto premi minori sono Sofia's Last Ambulance di Ilian Metev, Les Voisins De Dieu (“i vicini di Dio”) di Meni Yaesh e Los Salvajes (“i selvaggi”) di Alejandro Fadel. La pellicola che vinse l'anno scorso l'ambito premio era Take Shelter di Jeff Nichols (domani in gara) di cui parleremo a breve, che è stato molto apprezzato dalla critica americana e guadagnò un sacco di altri riconoscimenti.
Intanto non si è parlato di altro, ieri, che della tecnica usata da Nicole Kidman per guarire le punture di medusa sulla pelle di Zac Efron. Presentato prima alla stampa, The Paperboy, seconda opera del Lee Daniels che due anni fa a Cannes prese la Camera d'Or con Precious, racconta l'accozzagliata storia di due fratelli giornalisti (Matthew McConaughey e Zac Efron) che assecondano una dark-lady femme-fatale decadente (la Kidman) nel suo tentativo di tirar fuori dalla prigione un detenuto innocente (crede lei) (John Cusack) e allora si ritrovano ad assistere a fellatio a distanza nel parlatoio del carcere, viaggi in auto rosa, telefonate osé, McConaughey si scopre gay a tre quarti del film e si fa penetrare violentemente in un albergo, il tutto mentre dietro un'America degli anni '60 non viene descritta.
Bocciatissimo dalla stampa - che l'ha definito il vero film scandalo della kermesse, trash e volgare e demenziale - ma apprezzato sul red carpet per l'ingente quantità di star, il film esce adesso mentre è già in preparazione la terza opera di Daniels, anche questa ambientata al passato, anche questa con la Kidman, McConaughey e Cusack. (Nella foto: il cast con il regista al centro e, a destra, David Oyelowo e la cantante Macy Gray che interpreta la governante e racconta fuori campo la storia).
Bocciato anche l'altro film in concorso di ieri, Post Tenebras Lux del celebre e borioso Carlos Reygadas (Battaglia Nel Cielo) che racconta il rapporto di una coppia e della coppia con la campagna mentre si aggira un belzebù rosso e si prosegue verso scene più splatter che horror.
Rimane superfavorito Amour di Haneke, che sarebbe la sua seconda Palma d'Oro dopo altri due premi FIPRESCI, due premi Ecumenici, un Gran Premio e una miglior regia, a meno che Cronenberg non incanti tutti con il suo Cosmopolis o Sergei Loznitsa con In The Fog (entrambi oggi in concorso).
La Kidman intanto rimane in città perché presenta oggi, fuori concorso, Hemingway & Gellhorn di Philip Kaufman, storia dell'amore tra il celebre scrittore e la giornalista di guerra, prodotto della HBO per la televisione americana, con Clive Owen nei panni dell'autore.
E mentre si continua a parlare bene e meno bene di On The Road (perché Kristen Stewart ha sei scene di sesso e perché non si resta fedelissimi al libro), la critica è divisa su Holy Motors, esperimento cinematografico che celebra (o abbatte?) il mestiere dell'attore (e forse del regista).
Domani, l'ultimo giorno.

giovedì 24 maggio 2012

il pescatore di banalità.





Il Pescatore Di Sogni
Salmon Fishing In The Yemen, 2011, UK, 107 minuti
Regia: Lasse Hallström
Sceneggiatura non originale: Simon Beaufoy
Basata sul romanzo Pesca Al Salmone Nello Yemen di Paul Torday
(edito in Italia da Elliot)
Cast: Ewan McGregor, Emily Blunt, Kristin Scott Thomas, Amr Waked
Voto: 6/ 10
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Era già capitato con Crazy. Stupid. Love. che i giornali (stranieri) urlassero al capolavoro e che poi noi, in sala, urlassimo di disperazione. Ricapita adesso, con questo Il Pescatore Di Sogni - che non capisco perché non sia rimasto Pesca Al Salmone Nello Yemen come in lingua originale e come il libro da cui è tratto (acquistabile qui) dato che effettivamente di quello parla il film; “la miglior commedia inglese dell'anno” scrive Access Hollywood. “Intelligente, originale, incantevole. Da vedere” scrive Box Office Magazine. “Dallo sceneggiatore premio Oscar per The Millionaire” (che si chiama Simon Beaufoy, sceneggiatore pure del ben più importante Full Monty) e dal regista plurinominato all'Oscar di Chocolat (che si chiama Lasse Hallström e la fama l'ha raggiunta in realtà per La Mia Vita A Quattro Zampe). Quest'ultimo, che a onor del merito è stato regista anche de Le Regole Della Casa Del Sidro e Buon Compleanno Mr. Grape, dopo il terribile Hachiko e il terrificante Dear John torna a mettere su schermo un libro - pare che non sappia fare altro - e se lo sceglie sentimentale e sorridente e, a detta dei giornali (stranieri) altamente satirico.
La satira in effetti c'è: Ewan McGregor (attualmente giurato a Cannes) è uno sfigato nerd ittico, marito poco considerato dalla moglie in trasferta a Ginevra, che lavora per il denaro e non proprio per la gloria al Ministero della Pesca e dell'Agricoltura inglese per conto di un capo borioso e «nazista»; viene contattato dall'impronunciabile Miss Chetwode-Talbot (Emily Blunt, stessa faccia de Il Diavolo Veste Prada), funzionaria commerciale che stravede per un cliente in particolare, lo sceicco Muhammed, che a sua volta viene contattata dal capo dell'ufficio stampa del Primo Ministro inglese (che non vediamo mai) sempre a caccia di buone notizie dal Medio Oriente che ha deciso - sapendo dei due milioni di pescatori che potrebbe portare al voto - di appoggiare il folle piano del citato sceicco di “impiantare” la pesca al salmone nello Yemen, dove clima e aridità non permettono di esistere manco alle speranze. Questo, il personaggio di Kristin Scott Thomas, è sicuramente il più originale e riuscito: carro armato mediatico, donna potente dal pugno di ferro a lavoro quanto a casa («non fare quei versi davanti a me: sono tua madre, non la tua puttanella»), ci dona le parti migliori del film - spesso alla ricerca di una storia con cui giustificare bizzarre foto scattate a politici illustri - che subito si abbattono nel momento in cui pensa, e noi sentiamo il suo pensiero, fatto di cretinate e banalità. Ci sono molte banalità: dal primo momento in cui vediamo il dottor Jones e la Chetwode-Talbot (in cui si scambiano mail con imbarazzanti scritte in sovraimpressione) sappiamo che qualcosa succederà, di qualsiasi tipo, anche se lei ha un fidanzato (in guerra) e lui una moglie (in carriera). Quando lui sbatte la testa contro il vetro, abbassiamo gli occhi per la compassione. Quando lei si abrutisce a casa senza andare a lavoro, arricciamo il naso per il surrealismo. Surrealismo che però accompagna gran parte del film, a partire dalla costruzione di questa diga e al trasporto di diecimila salmoni, anche qui satira su uno sceicco capriccioso che si mette in testa un'idea e disponendo di molto denaro decide di attuarla - con tutta una serie di personaggi corrotti che lo assecondano. Ma non è mai satira funzionante, perché i riferimenti alla realtà e all'attualità sono troppo pochi (non sappiamo verso quale guerra vada il moroso della Blunt) e sono stati potati rispetto al libro di partenza, per mettere in risalto un paio di rapporti umani. E quando lo sceicco spara le sue perle di saggezza da sceicco che fa metafore, abbassiamo gli occhi e arricciamo il naso insieme.
In tutto questo, Hallström pare affascinato, più che dal deserto irrigato, dai complementi di design all'interno degli uffici: ora una poltrona che dondola, ora un tavolo a zig-zag, non riesce a non farci vedere come sono “strani”.
Un film come tanti.

mercoledì 23 maggio 2012

il grande Baz.





All'improvviso compare l'inaspettato (ma tanto atteso): il trailer per Il Grande Gatsby del neo-cinquantenne Baz Luhrmann, purtroppo in 2D (ma il film sarà in un curatissimo 3D che fa il baffo a Hugo Cabret, a sentir parlare gli attori protagonisti Leonardo DiCaprio e Carey Mulligan, intervistati qualche mese fa da Repubblica), tentativo del regista di tornare sulla cresta dell'onda su cui si è adagiato dopo Romeo + Giulietta e soprattutto Moulin Rouge! e dalla quale è caduto pesantemente con Australia nel 2008 (candidato al solo Oscar per i costumi), dopo il quale ha taciuto fino all'inizio del 2012, anno in cui ha cominciato a lanciare cortometraggi in cui Miuccia Prada e Judy Davis (nei panni di Elsa Schiaparelli) si intrattenevano in conversazioni impossibili.
Insieme al trailer, ecco il teaser-poster (qui a lato) che ne è la diretta conseguenza. Una scritta a metà tra il Ventennio e il moderno come le scene del film che vediamo dal trailer: musica modernissima - di Craig Armstrong, vincitore del Grammy per Ray e già affianco a Luhrmann in Moulin Rouge!, ma la canzone nello spot è di Kanye West - accompagnano scene maestose e centinaia di costumi addosso ad altrettante comparse - scene e costumi, di nuovo, di Catherine Martin, due Academy Awards per il Moulin.
Nei cinema americani a Natale, da noi il 18 gennaio 2013, in tempo per candidarsi a un putiferio di Oscar che dovrà strappare a Life Of Pi di Ang Lee (di cui ci è dato vedere solo questa immagine) che, si dice, sarà una delizia per gli occhi, e nel quale troviamo Tobey Maguire, nel cast anche di Gatsby, che quest'anno i film da girare se li è scelti bene.
Riusciranno il più talentuoso attore degli anni '90, dimenticato adesso dalla critica, e la più talentuosa attrice di questi anni, ignorata dalla critica, a conquistare i piani alti di Hollywood - cioè un Oscar? E Luhrmann, quanto ci spera? Di solito succede sempre che questi grassi casi tanto attesi fanno tanto parlare e poi...
Il trailer potete vederlo qua sotto in versione minuscola che non riesco a ingrandire oppure cliccando qui.

martedì 22 maggio 2012

Cannes65 - giorni 5 e 6.





Alain Resnais entra in sala stampa e i giornalisti si alzano tutti in piedi e battono le mani - cosa che succede veramente di rado. Sarà perché il regista francese c'ha quasi 90 anni (all'inizio di giugno spegnerà le candeline), sarà perché ancora una volta si conferma, nonostante l'età, il più sperimentale e visionario regista del Festival. Dopo il bizzarro (per tecnica e struttura) Les Erbes Folles (letteralmente: “le erbacce”; in italiano: Gli Amori Folli), Premio Eccezionale della Giuria due anni fa, torna a Cannes con Vous N'avez Encore Rien Vu (“non avete ancora visto niente”), film che sta a metà tra il cinema e il teatro, storia di un gruppo di attori che si ritrovano dopo la morte di un loro amico e collega, che aveva riscritto e interpretato l'Euridice e che loro metteranno in scena in suo ricordo. Anche questa volta si procede non per ordine cronologico ma per senso estetico, per associazione di immagini e colori; anche questa volta c'è nel cast (grassissimo, da Michel Piccoli a Mathieu Amalric) la musa Sabine Azéma (di rosso vestita, al centro della foto). Sorpreso e felice dell'applauso, Resnais - bianco cianotico e minuscolo - ha detto al microfono che questo non è mica il suo ultimo film, non è mica un testamento; lui gira film per esigenze artistiche, estetiche, perché gli piace, e questo è nato da un'esigenza.
Sempre ieri è stato presentato un altro film in concorso, il secondo dei due con Isabelle Huppert (dopo Amour di Haneke che rimane il maggior favorito alla Palma), coreano, In Another Country, di Hong San-soo, bocciato dalla critica e definito film (e regista) “da festival”: una ragazza scrive tre sceneggiature per tre cortometraggi e fa vivere tre volte la Huppert dandole come nome sempre Anne e affibiandole uomini coreani che incarnano i prototipi della Corea moderna.
Sempre dall'Est viene l'altro film in concorso di ieri, Like Someone In Love, di Abbas Kiarostami, pure questo bocciato, storia di una ragazza che scappa dal suo moroso geloso e si concede ad un anziano traduttore, colto insegnante, e ad un taxi su cui passerà gran parte delle scene.
Mentre oggi si torna ai grandi nomi: sempre in concorso c'è Ken Loach, Palma per Il Vento Che Accarezza L'erba, con The Angel's Share, commedia triste sulla sua redenzione; e l'atteso Killing Them Softly, che porterà sul tappeto rosso Brad Pitt e Casey Affleck (di nuovo insieme dopo L'assassinio Di Jesse James, sempre di Andrew Dominik) e poi Javier Bardem, Sam Rockwell e Mark Ruffalo. Fuori concorso, finalmente, viene presentato Io E Te, ritorno dietro la macchina da presa dopo il The Dreamers di quasi dieci anni fa di Bernardo Bertolucci, ultima presenza italiana a Cannes dopo Garrone e Argento.

domenica 20 maggio 2012

Cannes65 - giorni 3 e 4.





Piaciuto alla critica e al pubblico, Reality del nostro Matteo Garrone, adesso si appresta ad uscire (senza data certa) nei nostri cinema ma ecco che spuntano delle clip che potete vedere qui in cui tra regia, musica, fotografia, si suppone il capolavoro e si spera in uno di questi premi (sarebbe bello anche se vincesse Aniello Arena, attore protagonista). Dopo di lui, sulla croisette, è stata la volta (ieri) di Lawless, americanata che in verità viene dall'Australia, western alcolico scritto dal musicista Nick Cave e diretto da John Hillcoat che racconta la storia di tre fratelli e dello spaccio di bottiglie nella Virginia del proibizionismo. I tre, sono Tom Hardy (quello con la barba nella foto, di solito molto più appetibile), Shia LaBeouf e Jason Clarke (nella foto ci sono, da sinistra, Jessica Chastain attrice non protagonista, il regista, Mia Wasikowska e Guy Pearce). Non è piaciuto a nessuno, ma proprio a nessuno, anzi in molti hanno vomitato.
Dopo l'incursione horror del nostro Dario Argento (fiero di portare l'horror a Cannes, dove arriva per la prima volta con la figlia Asia) con il suo fedelissimo Dracula 3D recitato in inglese (dagli effetti speciali un pelo imbarazzanti) è stata la volta dell'altro film in concorso, di un ex Palma d'Oro: Cristian Mungiu, regista del femminile e stra-premiato 4 Mesi 3 Settimane 2 Giorni che torna a raccontare la storia di due donne in Beyond The Hills, che si chiamano Voichita e Alina e che sono cresciute insieme nell'orfanotrofio fino all'età adulta e all'adozione di due diverse famiglie.
Ma è il primo film in concorso di oggi, altra ex Palma d'Oro, di cui si era già dato vincitore il regista Michael Haneke, austriaco ma che dirige in francese dopo il tedesco Il Nastro Bianco: Amour, l'amore di una coppia di anziani prima che un ictus colpisca lei e lui la accompagni nella malattia a suon di musica. Ovazioni, stelle, critica positivissima, una vittoria quasi certa e già preannunciata. Mentre più tardi sarà la volta del danese Jagten di Thomas Vinterberg, passato alla storia per (e sempre associato a) Festen, manifesto del Dogma95 di Lars Von Trier. Nel cast, Mads Mikkelsen, già visto e rivisto in Le Mele Di Adamo, Casino Royale e il bel Dopo Il Matrimonio.

venerdì 18 maggio 2012

Cannes65 - giorno 2.





Accoglienza da lacrime agli occhi per De Rouille Et D'os, letteralmente “ruggine e ossa”, il film con cui Jacques Audiard aspira alla Palma d'Oro dopo averla sfiorata due anni fa per Il Profeta (Premio della Giuria), drammone su un'allevatrice di orche che rimane mutilata e un ragazzo-padre che tira pugni clandestinamente, interpretato da Marion Cotillard e Matthias Schoenaerts (nella foto, da sinistra, col regista e il bambino che interpreta il figlio). La critica non è impazzita (come invece era successo per il film precedente) ma hanno tutti pianto per l'intensità della Cotillard in sedia a rotelle (e per i pettorali di lui, no?).
Oggi invece è il giorno dei nostrani: mentre Michele Placido cerca distributori per il suo nuovo poliziesco (recitato in francese ma con attori italiani, già ultimato), in concorso è stato mostrato Reality di Matteo Garrone, unico italiano in concorso, con l'ex detenuto Aniello Arena di cui non si fa altro che parlare (perché è bravissimo, il carcere fa evidentemente bene all'arte) che dopo una svariata serie di provini per il Grande Fratello inizia a credere che la sua vita sia sotto gli occhi della Mediaset e allora vende la pescheria di famiglia, smette il traffico illegale di elettrodomestici della moglie e fa il bravo per tutta Napoli. Alcuni urlano al prestigio altri alla presunzione: Garrone mostra quanto faccia male la televisione senza l'umiltà di Gomorra (altro Premio della Giuria a Cannes). Le musiche, udite udite, sono di Alexandre Desplat.
Altro pezzo di italianità è la presenza di Valentina Cervi nel film Au Galop di Louis-Do de Lencquesaing, per la Settimana della Critica.
Il secondo film in concorso di oggi è Paradise: Love di Ulrich Seidl, prima parte di una trilogia (chiamata Paradise) in cui si mischiano attori professionisti a gente della strada, inquadrature simmetriche e caos nei dialoghi. Un film come tanti.
Colori e musica per il tappeto rosso al passaggio del cast di Madagascar 3, ormai fissa presenza animata di tutti i festival, prima della serietà dei due film dell'Un Certain Regard. Il primo, Lawrence Anyways, è diretto dal ventiduenne mio coetaneo Xavier Dolan, canadese, già regista de Les Amours Imaginaires e attore, storia, questa, di un trentenne che il giorno del suo trentesimo compleanno decide di diventare donna - e si scontra con la scuola in cui insegna.
L'unica ovazione, finora, è stata per il film che ha aperto la Quinzaine des Réalisateurs, The We And The I, ritorno dietro la macchina da presa e sugli schermi di Michel Gondry, visionario e matto come pochi, che tra riprese amatoriali e salti temporali firma un film assolutamente privo di trama ma che si fa vedere in tutto il suo dinamismo, sul più noto ghetto di New York: il Bronx.

l'inizio della crisi.





Margin Call
id., 2011, USA, 107 minuti
Regia: J.C. Chandor
Sceneggiatura originale: J.C. Chandor
Cast: Kevin Spacey, Paul Bettany, Jeremy Irons, Zachary Quinto, Penn Badgley,
Simon Baker, Mary McDonnell, Demi Moore, Stanley Tucci
Voto: 7.5/ 10
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New York, 2008. Dal tramonto all'alba. Siamo negli uffici di Wall Street e siamo in giacca e cravatta, che vendiamo entrare un esercito di femmine cattive, ci preoccupiamo, andiamo a sederci, e guardiamo lo sfacelo che comincia: queste, chiamando uno per uno i dipendenti, iniziano a licenziare l'80% del settore Rischi. Fino ai capi, tipo Stanley Tucci, che per una volta non è gay né idiota. Data l'entità del suo lavoro e della sua conoscenza nell'azienda, gli verranno bloccate da subito le password e gli accessi ai database e il cellulare. «E il progetto a cui sto lavorando?» chiede. «L'azienda se ne sta già occupando, ma grazie per l'interessamento» gli viene risposto. Ma il progetto a cui fa riferimento è un'altra cosa, e lo passa in chiavetta USB a Zachary Quinto che fa compagnia a tutta una serie di reduci da grassi telefilm con furore (lui da Heroes, Penn Badgley da Gossip Girl, Simon Baker da The Mentalist) a cui si aggiunge il meraviglioso Kevin Spacey (si dice che il resto del cast abbia accettato di partecipare perché c'era lui) e sir Jeremy Irons, nei panni uno del capo dell'altro.
L'ex ingegnere aerospaziale Quinto infila la penna nel computer mentre gli altri escono dall'ufficio e vanno a bere e ci trova dentro una serie di cose che avrebbe voluto non trovarci: chiama gli altri, piano piano lo raggiungono, un esercito di attori incredibili riempirà lo stabile per trovare il modo di non finire sul lastrico come i dati raccolti da Tucci prevedono.
La crisi di Wall Street vide la luce quella notte e ne stiamo ancora pagando le conseguenze.
Dopo film come Inside Job e Too Big To Fail sentivamo il bisogno di un'altra pellicola così profondamente economica? Forse no, ma questa è diversa: punta a mostrare come gli economisti chiusi là dentro si dividano in quelli che non ne capiscono niente («parlami come se fossi un bambino, non sono arrivato qui certo per il mio cervello») che di solito comandano e quelli che invece ne capiscono e temono il licenziamento. Parlano di soldi come le persone normali, si chiedono continuamente quanto guadagni uno e quanto un altro, con che buonuscita torneranno a casa, hanno case ed ex mogli e cani ammalati. Demi Moore, la più umana di tutti, con la faccia ormai quadrata e la bocca di Julia Roberts, si alza da una poltrona e si siede su un'altra chiedendosi come farà a campare.
Il tutto, ci viene mostrato in scene abbastanza lunghe in cui per la maggiore sono due persone che dialogano serratamente (di cose che capiamo a metà) spesso al chiuso. Pare, per questo, di essere al teatro, o di essere davanti a una di quelle cose che sul teatro si basano. Invece no, la sceneggiatura di J.C. Chandor è originale e per questa lui è stato candidato all'Oscar (ma ha vinto Woody Allen, anche se a meritarlo era di più Asghar Farhadi). Fortunato, con un'opera prima. Fortunato anche perché il suo primo film era in concorso a Berlino 2011, a Toronto, ha vinto molti premi per l'esordio ed era candidato al Gotham per il cast.
Tema caldissimo e difficile da toccare, ostico, di cui non conosciamo il linguaggio né le basi (il regista invece sì, perché suo padre ha lavorato per quarant'anni per Merrill Lynch), costumi fissi e poche scene, ma, come tutti i film che fanno affidamento a buoni dialoghi continuati (la musica fa incursione molto poco e ci inquieta), fa passare molto in fretta le quasi due ore.