giovedì 2 ottobre 2014

i love your wall.



Frank
id., 2014, UK/ Irlanda, 95 minuti
Regia: Leonard Abrahamson
Sceneggiatura originale: Jon Ronson & Peter Straughan
Cast: Domhnall Gleeson, Michael Fassbender, Maggie Gyllenhaal,
Scoot McNairy, Carla Azar, François Civil
Voto: 7.8/ 10
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A dimostrazione del fatto che l'ispirazione artistica giunge da ogni cosa, Domhnall Gleeson aka Bill Weasly di Harry Potter aka un nuovo Ed Sheeran red and british and musician partorisce versi che si canta nella testa a partire dal volantino di una band che suona in città, un vecchio col cane incontrato per strada, un tentato auto-annegamento in mare a cui assiste. Torna a casa, si registra, ma il motivetto sembra perso d'ispirazione, l'idea buona è volata, il ritmo perso, la musica sbiadita. Per un fortuito caso a cui ho accennato prima, s'imbatte pure nel furgoncino di questo gruppo dal nome impronunciabile il cui tastierista ha dato di matto. Dice repentino: «suono la tastiera anche io», vergognandosi dell'irruenza dimostrata nel quasi-luttuoso momento della band. Ma questi lo pigliano, necessitando di dieci dita la sera stessa, e lui suona in una performance flop che finisce prima ancora di cominciare. Se fossimo di quel tipo che chiede al primo appuntamento «che musica ascolti?» ci chiederemmo adesso: «che genere fanno?». Ma è un problema che non affrontiamo, perché, come per Björk, il genere è evanescente e, sempre come Björk, si costruiscono i propri strumenti, appositamente per un album, come anche facevano i Micachu prima che la leader musicasse Under The Skin. Per cui, piaciuto al gruppo ma non troppo, Jon aka Domhnall Gleeson finisce nel loro furgoncino e in una specie di baita tra i boschi affittata per incidere il nuovo e primo album che si prefigura sperimentale, innovativo, cerebrale ma allo stesso tempo spontaneo, diciamo, nonsense. Preoccupatissimo per i tempi di registrazione, Jon ha un lavoro al quale dovrebbe tornare, una famiglia, ma la lode del film va al menefreghismo con cui affronta questi aspetti razionali e narrativi: il tempo che i cinque trascorrono nella baita basta a far crescere una folta barba al protagonista senza specificare la sua età (della barba), e a far nascere un'intesa malvista fra lui e il frontman del gruppo, il Frank del titolo, la cui faccia è costantemente celata da un mascherone che oltre alla copertina si trova dovunque: nella doccia, nel letto. Nessuno ha mai visto il suo volto e si mormora di una malattia mentale, un manicomio, anche se nessuno dei componenti del gruppo pare normale: uno parla in francese costantemente e un'altra, e cioè Maggie Gyllenhaal, si accovaccia nei prati a muovere le mani per captare i suoni dello spazio di cui si nutre e che produce. Frank invece passa dall'improvvisazione acustica alla follia pura dei testi-filastrocca, del discorso dell'assurdo, con cui riempie questi vomiti di sonorità per pochi eletti. Jon propone: ma se facessimo un genere più orecchiabile?, e questa domanda, insieme alla loro fama virtuale, sarà l'inizio della fine. Internet è infatti presentissimo: Twitter e YouTube sono i canali con cui Jon registra e condivide le esperienze esoteriche della foresta. La piccola fama che si forma sottolinea il caso con cui oggi ascendono e decadono certe star-per-un-giorno o per-poco-tempo. A questo si aggiunge il sempre attuale desiderio di sfondare, che alla Gyllenhaal manca del tutto e di cui Frank è vittima, e di fare arte anche quando non se ne ha il dono, o l'esigenza. Dietro al mascherone si nasconde un ispirato Michael Fassbender provetto canterino che eleva il film a livelli ancora migliori: niente splendori per particolari bizzarrie tecniche o geniali trovate (carucci i titoli di coda); la colonna sonora è però pazzesca – per chi ama la tipologia – e il brano di chiusura sarà un ottimo intruso nella cinquina delle canzoni originali degli Oscar.

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