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martedì 1 luglio 2014

Nastri d'Argento 2014 - vincitori.



Ancora una celebrazione per La Sedia Della Felicità di Carlo Mazzacurati causa decesso regista e una per Che Strano Chiamarsi Federico di Ettore Scola causa ritorno sulle scene di un regista patriotticamente storico che celebra il più storico dei registi patriottici. I Nastri d'Argento 2014 celebrano come ogni anno il patriottismo cinematografico candidando (e facendo vincere) gli italiani che hanno maggiormente contribuito allo splendore della nostra settima arte e di quella estera: ecco perché Milena Canonero già pluri-premio Oscar e Pietro Scalia compaiono in questa lista (per Wes Anderson lei, per Spiderman lui) e non comparvero, per esempio, Michel Piccoli né Ksenia Rappoport quando l'avrebbero meritato. La Sedia Della Felicità è quindi il Nastro 2014 e non viene candidato a nessun altro premio, lasciando spazio a piccole produzioni (e piccoli incassi) quali In Grazia Di Dio, Il Sud È Niente, addirittura Piccola Patria e Via Castellana Bandiera – ma tanto anche qui, dopo il trionfo ai David, Il Capitale Umano arraffa quasi tutto: film, sceneggiatura, i due attori protagonisti, fotografia, montaggio, sonoro in presa diretta. Quello che lascia, se lo spartiscono La Mafia Uccide Solo D'estate, esordio celebratissimo di Pif, qui anche miglior soggetto, e Song’eNapule (miglior commedia, colonna sonora, canzone originale e attori non protagonisti), il giallo musicale dei fratelli Manetti; ma c'è spazio anche per una parentesi femminile firmata Özpetek, che vede Kasia Smutniak e Paola Minaccioni giustificate migliori attrici nel fiabesco Allacciate Le Cinture. Le Meraviglie di Alice Rohrwacher non porta a casa niente ma viene decretato “successo internazionale” con un Premio Speciale dato insieme ai Nastri alla Carriera ai registi Marina Cicogna, Piero Tosi e Francesco Rosi. Dal Cannes di quest'anno con poco furore spunta anche Incompresa di Asia Argento (nella foto, con la sua incredibile protagonista Giulia Salerno e le targhe delle candidature) e da quello dell'anno scorso il sottovalutato e originalissimo Salvo. Di seguito e dopo l'interruzione tutti i candidati e i vincitori.

regista del miglior film
Daniele Luchetti per Anni Felici
Ferzan Özpetek per Allacciate Le Cinture
Alice Rohrwacher per Le Meraviglie
Paolo Virzì per Il Capitale Umano
Edoardo Winspeare per In Grazia Di Dio

regista esordiente
Emma Dante per Via Castellana Bandiera
Fabio Grassadonia & Antonio Piazza per Salvo
Fabio Mollo per Il Sud È Niente
Pif (Pierfrancesco Diliberto) per La Mafia Uccide Solo D’estate
Sebastiano Riso per Più Buio Di Mezzanotte
Sydney Sibilia per Smetto Quando Voglio

commedia
La Mossa Del Pinguino di Claudio Amendola
Smetto Quando Voglio di Sydney Sibilia
Song’eNapule dei Manetti Bros.
Sotto Una Buona Stella di Carlo Verdone
Tutta Colpa Di Freud di Paolo Genovese

martedì 1 aprile 2014

un amore perfetto.



Allacciate Le Cinture
id., 2014, Italia, 110 minuti
Regia: Ferzan Özpetek
Sceneggiatura originale: Ferzan Özpetek & Gianni Romoli
Cast: Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano,
Carla Signoris, Elena Sofia Ricci, Carolina Crescentini,
Francesco Scianna, Luisa Ranieri, Paola Minaccioni, Giulia Michelini
Voto: 6.9/ 10
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Gli anni Duemila: niente crisi e i caffè pagati in lire, la spensieratezza dei ragazzi che non pensano al precariato e gli studenti di Medicina che sognano la specializzazione all'estero come se fosse la più esotica delle fantasie. Lecce caput mundi, che splende nei fondali fuori fuoco di Ferzan Özpetek di nuovo, dopo Mine Vaganti, in terra salentina, ma questa volta senza imporre la (tremenda) parlata a nessuno dei suoi attori tranne Francesco Scianna che in Baarìa era siciliano. Viene da chiedersi perché tutta questa gente si sia spostata al Sud, tra toscani e napoletani e romani – aspetto surreale della commedia; non ne avremo risposta. In compenso ci viene regalato un primo pianosequenza da manuale: Kasia Smutniak cameriera al Bar Tarantola passeggia tra i tavoli e tra i colleghi Carolina Crescentini e Filippo Schicchitano le cui conversazioni ci fanno capire che: le ragazze sono fidanzate; la Smutniak sta con Scianna; la Crescentini non si sa con chi stia ma fa buon sesso; Scicchitano non sta con nessuno ma fa sesso occasionale con ragazzi conosciuti in chat – ed è lui il personaggio più riuscito del film, che incarna la solitudine del genere, l'amicizia fraterna non morbosa, l'incapacità di affrontare il dolore, la perenne speranza nel futuro. Usciamo dal locale che è già sera, e il locale è pieno. Prima di due ellissi molto ben fatte che caratterizzano un film altrimenti privo di nocciolo, la cui pecca più grande – oltre ad affrontare fiabescamente un paio di temi cari al film nostrano, soprattutto televisivo – è l'incapacità di incanalare un genere e restarci: si fa fresco calderone di giovinezze iniziali, di amicizie e condivisioni, di legami familiari surreali ma divertenti; poi si trasla e tredici anni dopo vede il problema dell'incomunicabilità di coppia che dopo Antonioni non dovrebbe toccare più nessuno, la crescita dei figli tra i litigi, l'assenza di lavoro, ma sempre accompagnati da uno stato di benessere (economico e affettivo) che ci fa stare un passo indietro dall'empatia. E poi ancora il dramma ospedaliero, la malattia che però non diventa mai invasiva, l'ironia di una compagna di stanza (immensa Paola Minaccioli) che ride della disgrazia – manco lei parla leccese. Effettivamente il preambolo era chiaro: raccontare un amore che non ha mai fine. E nei lassi temporali del suo formarsi, l'amore ha un velo di credibilità che poi perde, nonostante Francesco Arca faccia il lavoro al contrario: guadagna fiducia con lo scorrere dei minuti. Özpetek riprende il suo vecchio sceneggiatore Gianni Romoli (Harem Suare, Le Fate Ignoranti, La Finestra Di Fronte, Cuore Sacro, Saturno Contro) a cui aveva rinunciato per le ultime pellicole, ma non tocca grandi vette – a partire dal terribile e ingiustificato titolo. Riprende anche due aspetti a lui cari: le parenti pazze (Elena Sofia Ricci sempre uguale a se stessa e Carla Signoris sempre meravigliosa in qualunque ruolo) e i bambini dalla lingua lunga che più di tutti masticano gli errori della sceneggiatura (se avessi risposto così io, a mia madre, non avrei le dita per scrivere). Perde altre due cose a lui care: il cameo di Serra Yilmaz e la tavola imbandita. Vorrebbe affrontare i problemi mucciniani non dei trentenni ma dei quarantenni ma ogni tanto perde i pesi delle digressioni; alcuni personaggi scompaiono, alcuni sono troppo presenti. L'originalità del tema (e per una volta la musica!, dopo una serie di colonne sonore splendide – soprattutto quella di Andrea Guerra – continua il sodalizio col Pasquale Catalano di Mine Vaganti e Magnifica Presenza) non raggiunge il già imperfetto precedente film, sebbene il cast si faccia valere a partire dalla carinissima protagonista. Gli anni avanzano, ripeto, ma il migliore resta Un Giorno Perfetto.