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mercoledì 3 giugno 2015
legalize freedom.
Louisiana
(The Other Side)
The Other Side, 2015, Francia/ Italia, 92 minuti
Regia: Roberto Minervini
Sceneggiatura: Roberto Minervini & Denise Ping Lee
Cast: Mark Kelley, Lisa Allen, James Lee Miller
Voto: 7.8/ 10
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Roberto Minervini nasce a Fermo nel 1970. Laurea in Economia e Commercio ad Ancona, dottorato in Storia del Cinema a Madrid, master in Media Studies a New York. Ha insegnato regia, sceneggiatura e realizzazione di documentari nelle Filippine. Dopo la trilogia sul Texas di cui in molti conoscono Stop The Pounding Heart, fuori concorso nella selezione ufficiale di Cannes 2013, torna in Francia nel più visibile Un Certain Regard con Louisiana (The Other Side), reduce dal David di Donatello al miglior documentario e il Premio Speciale della Giuria al Festival di Torino. La Louisiana, dice Minervini, è il secondo stato più povero degli USA dopo il Mississipi, la disoccupazione raggiunge il 60% della popolazione locale, e lui lo racconta attraverso tossici, paramilitari antigovernativi, uomini braccati dalla polizia, disperati, guerrafondai, soldati che vivono con la speranza di difendere le famiglie dalla legge marziale imposta dell'ONU. L'ora e mezzo parte con la fine: uomini che giocano a fare la guerra dove non c'è, nei boschi che circondano le loro case prefabbricate, armati fino al collo, patriottici ma non verso Obama; poi c'è Mark, nudo, che si sveglia sul ciglio della strada e torna a casa dalla compagna Lisa: le loro giornate nella roulotte passano tra una dose e l'altra di qualsiasi droga, una capatina al bar, dalla madre malata, dalla nonna dipendente dallo Xanax, in uno strip-club dove la spogliarellista incinta si è appena bucata. «Finché mia madre non morirà, mi farò una dose tutti i giorni» dice Mark: «sto soffrendo troppo, e tengo tutto dentro». In effetti non c'è spazio per chissà quale dialogo, per quale scambio di informazioni: la droga è un riempitivo in una vita piatta e monotona priva di musica come il documentario intero – priva di amici, parrebbe, di pomeriggi insieme. Qualche smanceria detta ripetutamente ma ad un certo punto non sappiamo più a cosa credere, cosa sia genuino e cosa sia effetto dello stupefacente. Dopo un'ora, ritorniamo sugli animali umani selvatici che strisciano nell'erba. Festeggiano in spiaggia, si ubriacano, fingono sesso orale col mascherone del presidente e incendiano macchine dopo averle usate come bersaglio per l'addestramento militare. La loro è una vita ribaltata: esaltata senza l'aiuto di sostanze, per giustificare semplicemente lo scorrere dei giorni. Minervini è arrivato a scoprire questo other side dello Stato attraverso i racconti del fratello di Lisa del film precedente e si è ritrovato a girare rinchiuso in roulotte con gente drogata di metanfetamina per via endovenosa – quindi particolarmente aggressiva – e con la troupe munita di pistole cariche. Eppure il folgorante realismo del documentario viene mascherato da una messa in scena quasi patinata, comunque attenta e meticolosa. «Solo perché fai un documentario non vuol dire che tu debba essere sciatto» dichiara a Cannes, dove due dei suoi interpreti non sono potuti andare perché pregiudicati, dopo aver chiesto se alla proiezione ci siano stati dei fischi. «Io lavoro con macchinari pesanti, faccio scelte estetiche, manipolo la profondità di campo. Il documentarista che più amo, Allan King, passava mesi e mesi con i suoi protagonisti». Nei film sembra che ci sia sempre qualcosa di precostituito «invece è tutto frutto di osservazione documentaristica». In Louisiana vediamo atti sessuali, iniezioni di droga per mammelle, scene che ad altri sarebbe stato impossibile filmare. «A volte sono le stesse persone a chiedermi di farlo» continua Minervini; «magari c'è dell'esibizionismo, l'effetto della droga, ma di certo vogliono apparire come esseri sessuali attivi e vivi. Sono persone magari con una condanna pendente, un marito latitante; la possibilità di essere ritratti, avere il beneficio del dubbio, li umanizza. Queste persone si sentono abbandonate dalla politica e qualcuno li deve riprendere per quello che sono. Io ho voluto trovare nel cinema il lavoro del fotoreporter di guerra».
mercoledì 13 maggio 2015
#CANNES68: official selection.
Tutti ormai sanno che sì: dopo vent'anni ci sono tre italiani in concorso al 68esimo Festival di Cannes (ventuno per la precisione: era il 1994 ed erano Mario Brenta, Aurelio Grimaldi, Una Pura Formalità di Tornatore e Caro Diario di Nanni Moretti), e i tre italiani sono il Moretti (ancora) che abbiamo visto tutti e gli attesissimi (ma recitati in inglese) Matteo Garrone e Paolo Sorrentino – due abitué: insieme, furono premiati nel 2008, per Gomorra il primo (Gran Premio), per Il Divo il secondo (Premio della Giuria); due anni prima, insieme a Il Caimano di Moretti, Sorrentino presentava L'amico Di Famiglia; quando Reality vinse il secondo Gran Premio di Garrone, era Nanni a presiedere la giuria (e rispondere alle accuse di patriottismo). Insomma: gira e rigira sono sempre gli stessi: e infatti ci sono: due Palme d'Oro (ancora Moretti!, con La Stanza Del Figlio, e Gus Van Sant con Elephant); due Palme alla Regia (ancora Moretti!, con Caro Diario e ancora Van Sant, ancora con Elephant); tre Gran Premi, i due di Garrone e Il Profeta di Jacques Audiard; quattro Premi della Giuria: The Puppetmaster di Hou Hsiao-Hsien del 1993, Polisse di Maïwenn del 2008 (tutto questo parlare delle donne in questa edizione: di una donna è il film d'apertura, «per la prima volta di una donna!» dice il comunicato stampa, ma il Web ha prontamente smentito: era di donna Un Uomo Innamorato che aprì Cannes '87; e ben due donne nel concorso – l'altra è Valérie Donzelli), Il Divo di cui prima e Like Father, Like Son di Kore-eda Hirokazu del 2013; due Migliori Sceneggiature: l'Audiard di Un Héros Très Discret e Jia Zhang-ke de Il Tocco Del Peccato; Todd Haynes vinse il Premio al Contributo Artistico per Velvet Goldmine (1998), Denis Villeneuve ebbe il Grand Prix alla Semaine de la Critique con il cortometraggio Next Floor del 2008 e infine sia Yorgos Lanthimos che Michel Franco hanno vinto l'Un Certain Regard il primo con Dogtooth (2009), il secondo con Después De Lucía (2012). A poter ricevere la Camera d'Or, il premio al miglior esordio che va a pescare in tutte le sezioni competitive (vedere il fondo dell'elenco), con una giuria tutta francese, sarebbe solo l'ungherese László Nemes con Saul Fia: l'unico debuttante in mezzo a tanti ancient mariner; ma potrebbe vincere la Camera anche Natalie Portman (il cui marito ricordiamo è direttore del balletto dell'Opera di Parigi), con A Tale Of Love And Darkness tra le proiezioni speciali (mamma quante donne!) anche se sono i film fuori concorso a catalizzare le attenzioni: dal certo campione d'incassi Mad Max: Fury Road a quello che si prospetta essere il capolavoro assoluto mai sfornato dalla Pixar, Inside Out, passando per l'ennesima pellicola di Woody Allen, Irrational Man, con la neo-musa Emma Stone e Joaquin Phoenix. Gli italiani però sono quattro: e va a finire che l'attesa si sposta tutta su Roberto Minervini, di cui il Corriere parlò settimane fa, italiano emigrato negli USA pre-11 settembre (cui ha latentemente assistito) con il documentario Louisiana - The Other Side; «è lui il cineasta italiano da battere» scrive Mauro Gervasini nell'editoriale di Film TV. Ingrid Bergman sul manifesto perché questa è l'edizione delle donne (!) ma Cannes Classics guarda al centenario dalla nascita di Orson Welles, alla morte di Manoel De Oliveira e al film depositato da vedersi postumo; una versione restaurata di Rocco E I Suoi Fratelli, fra le altre cose, e poi gli esperimenti dei Lumière, tributo alla nascita del cinema, per la cui occorrenza i presidenti di giuria sono due, fratelli: Joel & Ethan Coen, cui si aggiungono Guillermo Del Toro e Rossy De Palma, Sophie Marceau e Jake Gyllenhaal, e Xavier Dolan che alla fine della kermesse andrà a dirigere Marion Cotillard, Léa Seydoux, Vincent Cassel e Gaspard Ulliel in Juste La Fin Du Monde. Ma questa è un'altra storia: di seguito, dopo l'interruzione, tutti, tutti, ma proprio tutti i film del festival “più grande del mondo”.
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