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sabato 29 agosto 2015
ukulele!
Minions
id., 2015, USA, 91 minuti
Regia: Kyle Balda, Pierre Coffin
Sceneggiatura originale: Brian Lynch
Voci originali: Geoffrey Rush, Sandra Bullock, Jon Hamm,
Michael Keaton, Allison Janney, Steve Coogan, Jennifer Saunders,
Steve Carell, Pierre Coffin, Katy Mixon
Doppiatori italiani: Alberto Angela, Luciana Littizzetto,
Fabio Fazio, Riccardo Rossi, Selvaggia Lucarelli
Ralph Palka, Roberta Pellini, Max Giusti, Monica Ward
Voto: 6.7/ 10
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In principio il Signore divise la luce dalle tenebre, le acque dalle terre – e nelle acque creò un microrganismo, che crebbe a mo' di girino, che mise su due piedi e due mani e, a volte, due occhi, scampò alle fauci dei mostri marini e popolò la terraferma: un microrganismo che divenne una tribù, priva di leader, desiderosa di servire e riverire il più cattivo della terra. La tribù lo cercò, il più cattivo, per decenni, per secoli: ma con Dracula e con gli unni, persino con Napoleone, ha avuto qualche intoppo. Negli anni '60 qualcuno si eleva sulla folla, e parla alla tribù, e dice – ehm, e dice: che partiranno in tre per andare a trovare quel cattivo cattivissimo da servire e riverire, da rispettare e inseguire, e con quel cattivo torneranno indietro – e partono: Kevin, Stuart e Bob – l'adulto, il teenager e l'infante, in qualche modo riescono ad arrivare nella New York hippie del '68 prima e nella Swingin' London poi, illuminati dal Villain-Con, il festival della cattiveria presso cui giungono scortati da una famiglia di ladruncoli. Ospite d'onore, attesissima, della serata, è Scarlet Overkill, voce originale di Sandra Bullock inspiegabilmente piazzata su tutte le locandine, causa Oscar – la cui gonna è capace di diventare punta d'astronave, razzo, canna di cannone. Questa, dal palco, indice un contest: premio in palio è il diventare suo assistente per un colpaccio alla regina – e indovinate chi vince. Peccato, giustappunto, per questa trama un po' insipida, un po' sempliciotta, per questi personaggi umani un po' invadenti senza averne le qualità, un po' surreali. Era il 2010 quando la Illumination ci provò: un film su un cattivo, e non su un buono, che rubava la piramide di Cheope e la torre di Pisa – un cattivo però che scopriva il suo lato tenero e umano, che si circondava di marmocchie e di cosi gialli – un film che a differenza di Frozen metteva d'accordo tutti, maschi e femmine piccoli e grandi: risultato: 534 milioni di dollari d'incasso; ne derivò un previsto sequel, in cui i cosi gialli già prendevano il sopravvento, finendo (da soli) sulla locandina: risultato: 970 milioni di dollari d'incasso. I cosi gialli, poi, furono inseriti da Empire nei cento personaggi cinematografici più rilevanti di tutti i tempi, e come i pinguini di Madagascar (ma attenzione: in TV adesso arrivano anche le scimmie) hanno cominciato col fagocitare l'attenzione; ne derivò prima un corto, poi un previsto spin-off: mischiando italiano, spagnolo, inglese, francese, cinese, indi, giapponese, coreano e indonesiano, seguiamo i cosi dal loro formarsi fino ad oggi, dal loro scoprire la prima salopette dopo il giaccone per i ghiacci, la loro inesistente gerarchia tribale. Basandosi sulla slapstick comedy (di Charlie Chaplin, di Stanlio e Ollio, ma anche di Tom & Jerry) ma soprattutto sulla voce digitalizzata del loro creatore e regista Pierre Coffin (qui in coppia con Kyle Balda) che conia tormentoni dal semplice «banana» o «mega ukulele», i minions ne combinano, involontariamente, una dopo l'altra – e come tutti gli eroi dell'involontario la scampano sempre: sbucano dai tombini della capitale inglese mentre i Beatles ci passano sopra, passando per Abbey Road, e infastidiscono le riprese dell'allunaggio in realtà ricostruito e girato negli studi USA: i due momenti di comicità più brillante della pellicola. Nonostante si sia rinunciato ai soliti meccanismi di traino in favore della trama, a partire dall'inesistente canzone originale: Jimi Hendrix, i Doors, i Kinks, gli Who e i già citati scarafaggi fanno da sfondo alla detronazione di una finta Elisabetta e alla conservazione degli ori inglesi già visti (e quasi rubati) in Muppets Most Wanted: tutto fa sfondo per lasciare spazio e campo ai cosi gialli adesso negli Happy Meal di McDonald's, nelle edicole, sulle confezioni della UHU, su certi taxi: mettendo tutti d'accordo, e molti scontenti. Risultato, in due mesi, solo in America: 325 milioni di dollari. (E non avendo, purtroppo?, visto il film in italiano non posso dilungarmi sulla performance di Selvaggia Lucarelli, voce adesso, oltre che firma, del più noto giornalismo nostrano).
mercoledì 2 luglio 2014
tra dieci giorni.
Quel Che Sapeva Maisie
What Maisie Knew, 2012, USA, 99 minuti
Regia: Scott McGehee & David Siegel
Sceneggiatura non originale: Nancy Doyne & Carroll Cartwright
Basata sul romanzo di Henry James
Cast: Onata Aprile, Julianne Moore, Steve Coogan,
Alexander Skarsgård, Joanna Vanderham
Voto: 6.4/ 10
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“La trionfatrice del Festival di Cannes Julianne Moore” si legge sulla locandina italiana del film – ma il film è di due anni fa e Julianne Moore non aveva ancora trionfato a Cannes (per una modesta parte in un mediocre film, tra l'altro, e non era nemmeno presente alla premiazione); il paradosso è ancora più grande se si considera che è una modesta parte e un mediocre, discreto film anche questo: primo nome dei titoli di testa, il suo, solo per fama rispetto al resto del cast (Steve Coogan non aveva ancora sbancato il lunario con Philomena) dato che la si vede a malapena. Rockstar agée che non molla, che si circonda di artistoidi molto più giovani alla sera, a guardarsi live in tv e bere birra e fumare, ha una bambina che in questi bivaccamenti è messa a letto con la fatica del far addormentare – e restare addormentati – i bambini, mentre l'uomo con cui l'ha messa al mondo se n'è andato, artista pure lui, e s'è portato dietro la bambinaia, che a dispetto di tutte le bambinaie è giovane e bionda e british. Mamma e papà sono sempre al telefono con altri, e quando sono insieme si urlano addosso, e Maisie assiste silenziosa e impotente a tutto ed ecco che scopriamo quel che sapeva, ci chiediamo cosa effettivamente capisca, quando la bambinaia se la ritrova in casa del padre e poi nelle foto di matrimonio, quando a prenderla da scuola non ci va nessuno e poi compare un omone di due metri e dieci che non ha mai visto prima. Sono: lei, Joanna Vanderham e lui Alexander Skarsgård, lentamente traslocato dalla televisione di True Blood al cinema (Melancholia), i buoni buonissimi che si prodigano per questa bambina di sei anni di cui spesso tutti si dimenticano: con la regola del lanciarla nel campo avversario ogni dieci giorni, i genitori la mettono su un taxi e la spediscono via senza preoccuparsi che arrivi effettivamente alla meta – ma non sono genitori cattivi; nei momenti di presenza vomitano dolcezza e regali e parole di lode come spesso succede, più per se stessi che per l'infante. Riversano su di lei gli insulti all'ex consorte, spettatrice anche delle liti coi fidanzati attuali, e inconsapevole di ciò che accade finisce a dormire da colleghi di lavoro e ad aspettare nell'androne col postino. Impossibile, dato il tempismo dell'uscita italiana, non paragonare questo film a Incompresa di Asia Argento, storia vera e autobiografica di un'altra figlia di artisti. Lì le ambientazioni erano molto meno patinate per quanto patinate fossero le figure: attore e pianista che si odiano e spesso usano la progenie per odiarsi; Aria trovava la sua dimensione solo a contatto con gli oggetti e gli animali muti, incapace di trovare affetto nemmeno nei compagni di classe. Maisie invece il suo nucleo famigliare lo trova nei parenti non di sangue che si sono dimostrati genitori migliori per un sacco di tempo – e pare si voglia filosofeggiare sulla vera natura dell'essere padre e madre, quando la biologia non s'intromette. Julianne Moore domanda: «sai chi è la tua mamma, vero?» sconfitta dalla preferenza della bambina per la bambinaia. Lei annuisce, ma al cavallo a dondolo con cui giocherebbe da sola preferisce il giro in barca con due adulti che le vogliono bene. Intento lodevole per quanto storia tristemente nota. Onata Aprile, protagonista indiscussa, sorregge ogni scena della pellicola con una naturalezza e una gioia di muoversi incredibili, attrice maestosa dalle risate ai patimenti. I due autori che la dirigono, invece, noti per la performance di Tilda Swinton ne I Segreti Del Lago, si affidano a una sceneggiatura scritta a quattro mani da dei quasi-esordienti che trasportano le pagine di Henry James ai giorni nostri, senza mantenere assolutamente niente dello spirito ottocentesco. La superficialità della società si è, purtroppo, intrufolata nella resa stilistica rendendo la pellicola distaccata dagli avvenimenti: niente pietismi, ma nemmeno partecipazione.
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