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domenica 23 settembre 2012

Venezia 69: Olivier Assayas.



Après Mai
id., 2012, Francia, 120 minuti
Regia: Olivier Assayas
Sceneggiatura originale: Olivier Assayas
Cast: Clément Métayer, Lola Creton, Felix Armand,
Carole Combes, Mathias Renou, Léa Rougeron, Martin Loizillon
Voto: 7.2/ 10
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Venezia 69
Migliore sceneggiatura: Olivier Assayas
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In questo festival veneziano fatto di film del tutto privi di trame o storie forti non poteva non scappare il più forte applauso (secondo solo a Pietà) per una pellicola che almeno giustifichiamo nel suo impianto narrativo: Après Mai, titolo bellissimo ed evocativo, ci racconta qualcosa in particolare, e cioè la storia di un gruppetto di ragazzi e qualcuno dei loro amici, ma ci racconta soprattutto una storia generale, ben più grande, quella degli anni '70 in Francia e nell'Europa intera, nelle scuole e nelle case e nelle strade. In questo, si fa impeccabile: perfette scenografie e meravigliose ricostruzioni, identiche monete, identici vestiti, capelli, fumi delle droghe, corpi nudi, musica, aspirazioni artistiche e debolezze psicologiche, ché il premio più meritato sarebbe stato appunto quello tecnico, e non quello all'inesistente sceneggiatura.
Anche se si percepisce poi quale potrebbe essere l'obiettivo del film: mostrare come si viveva in quegli spensierati anni in cui si sceglieva se aderire o meno alla corrente libertina, politica o naturalista, sempre però con la latente e amara consapevolezza che i giorni della quiete prima o poi avrebbero raggiunto la fine, e allora che fare?
Il protagonista (più protagonista degli altri) Gilles (l'azzeccato Clément Métayer) è un esempio in questo: vede la sua fidanzata scappare per inseguire un fuoco fatuo di sogno in Inghilterra e inizia a domandarsi cosa farne di se stesso. Partecipa alle riunioni comuniste, alle proteste, agli atti vandalici (pacifici) ai danni di palazzi e facciate di casermoni, stampa a ciclostile riviste e manifesti da lanciare in aria per smuovere l'opinione pubblica e le masse, ma in fondo una strada non ce l'ha: a casa non si trova bene, e infatti ci passa meno tempo possibile (meraviglioso il dialogo col padre, autore delle trasposizioni cinematografiche di Simenon), e fuori non sa dove andare. Gli viene in soccorso la faccia-da-pesce-lesso di Lola Creton che avevamo lasciato nel surreale Un Amore Di Gioventù e ritroviamo papale papale, forse leggermente meno sbarazzina, che lo trascina in Italia per assistere a un documentario politicizzante. Gilles allora è a metà tra l'amore per il disegno, astratto e non, e quello per il cinema sperimentale, e passa giorni interi con altri amici ad acquerellare bassorilievi di grotte e catacombe e guardare pellicole e leggere saggi pesantissimi.
Si salta senza un ordine da un personaggio all'altro, da una storia all'altra, e si procede per immagini apparentemente fini a loro stesse, che dopo due ore di film forse fini a loro stesse lo diventano: amori che vanno e che vengono, persone che partono e non tornano, lettere inviate, uomini persi, e poi ritrovarsi notando che niente è cambiato, imbrattare ancora i muri, lanciare sassi ai fascisti. Non si fatica a capire che dietro tutto ciò c'è dell'autobiografia, dell'intimismo che si ritrova dopo il successo internazionale avuto con la miniserie Carlos che ha portato Olivier Assayas ai Golden Globes, agli Emmy, agli European Film Awards. A Venezia non c'era ancora stato, e se ne va dal Lido a testa alta. Per quanto riguarda la critica.

venerdì 22 giugno 2012

se mi lasci non vale.





Un Amore Di Gioventù
Un Amour De Jeunesse, 2011, Francia, 110 minuti
Regia: Mia Hansen-Løve
Sceneggiatura originale: Mia Hansen-Løve
Cast: Lola Créton, Sebastian Urzendowsky, Magne-Håvard Brekke
Valérie Bonneton, Serge Renko, Özay Fecht
Voto: 5.5/ 10
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I due protagonisti di questa storia, che si chiamano Camille e Sullivan, escono dal cinema poco prima della fine e lei dice: «bellissimo film, bella storia, bei personaggi», e lui risponde: «è stato retorico, gli attori erano imbarazzanti, troppo francese». Io dalla mia poltroncina ridevo, pensando che questi due stessero parlando di questa pellicola qua. Che alcuni hanno trovato bella, con bella storia e bei personaggi, e che io ho trovato retorica, con attori imbarazzanti e troppo francese.
Camille e Sullivan hanno quindici anni lei e qualcuno in più lui (immagino) ma già fanno l'amore, comprano i preservativi con disinvoltura, li usano, si amano, informano le rispettive famiglie di questa relazione, usano frasi come «piango per la malinconia quando non sei con me» e «se mi lasci ti ammazzo e poi mi suicido». Sono, insomma, una macchietta delle relazioni adolescenziali vere. È il febbraio del 1999, siamo a Parigi, lei va a scuola e lui racimola soldi per scappare in Sud America, nonostante la tenera età hanno il modo e il permesso di trascorrere qualche giorno in una casa dismessa in campagna (cosa che non sta in piedi numero 2) dove litigano, raccolgono ciliegie (vedi locandina) e fanno pace e amore. Poi lui parte come Kerouac per scarrozzare on the road e dopo qualche lettera spedita si mollano. Lei piange ma non lo ammazza né si suicida. Il tempo passa, e lo sappiamo attraverso date scritte sulle lavagne, calendari, quaderni d'appunti. Arriviamo al 2007 che lei è uguale identica a prima (cosa che non sta in piedi numero 3) e lui pure, stessi pettorali glabri, stesso addome piatto, stessa motoretta per andare in giro, ma non stanno più insieme perché lei, infuatuatasi del professore di Architettura, se l'è fatto moroso e quasi gli dava un figlio (cosa che non sta in piedi numero 4).
In due ore di questa storia di formazione ed esperienze, Lola Créton (che somiglia incredibilmente a Ivana Baquero ma che invece è la Marie-Catherine della trasposizione della fiaba di Barbablù) non cambia faccia neanche per dieci minuti; sorride poche volte, molte volte piange, in certi momenti proprio si dispera, e pare che le sia piovuto in faccia, carica di gocce di collirio ma con gli angoli della bocca immobili. Lui si sforza un po' di più, è costretto a sussurrarle frasi dolcissime e terribili mentre sono appartati (e cioè sempre), ma almeno il doppiaggio l'ha salvato.
Per Mia Hansen-Løve questo film arriva subito dopo il successo (meritato) de Il Padre Dei Miei Figli del 2009, con cui aveva vinto il Premio Speciale della Giuria a Cannes nell'Un Certain Regard. Ha ricevuto una menzione speciale a Locarno (dove il film si chiamava molto più dignitosamente Goodbye, First Love e aveva questa locandina) ma non ci ha convinti davvero tutti. A mio avviso, piuttosto che andare a vedere questo in una delle 18 sale italiane in cui è uscito, recuperate (≠ scaricate) Like Crazy, che racconta più o meno la stessa cosa ma con un realismo, un'arguzia e una raffinatezza decisamente migliori.