martedì 26 novembre 2013

31TFF: Frances Ha.



Frances Ha
id., 2012, USA, 86 minutiRegia: Noah Baumbach
Sceneggiatura originale: Noah Baumbach & Greta Gerwig
Cast: Greta Gerwig, Mickey Summer, Michael Esper,
Adam Driver, Michael Zegen, Patrick Heusinger, Grace Gummer
Voto: 9.2/ 10
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«C'è una scena, di un film di Greta, in cui lei canta in un locale e nessuno la ascolta, tranne uno stregato Ben Stiller, che ha ispirato una sequenza del mio ultimo film» dice Paolo Virzì – penso sappiate quale sia il suo ultimo film – direttore del 31esimo festival di Torino e felice di esserlo (e accompagnato, il primo giorno, da Luciana Littizzetto); sotto braccio ha Greta Gerwig, con cui è entrato preceduto da suoni di trombe e un disordinato applauso. «Siamo tutti fan di Greta, che ha cominciato come scrittrice di copioni ed è adesso la musa del cinema indie: riesce ad essere sexy, goffa, ironica, spontanea, intelligente, ridicola – è la nuova Geena Rowland». La Gerwig arrossisce davanti a una sala che la adora, una sala che non la riconoscerebbe mai per strada, data la metamorfosi (capelli lunghi e poco mossi, vestito nero). Racconta che per Frances Ha ha impiegato un anno a scrivere la sceneggiatura con Noah Bumbach e un altro anno a girarlo (i due avevano già collaborato per Lo Stravagante Mondo Di Greenberg e lui è il regista dello splendido Il Calamaro E La Balena). «È stupido parlare di un film davanti a una sala che non l'ha ancora visto» dice saggiamente, «ma spero che vi divertiate».
E il divertimento arriva poco dopo: la gente si sganascia, a volte più di quanto dovrebbe. Ma il film – in un bianco e nero a cui «poi ci si abitua» – spinge a farlo, in un montaggio entusiasta, frizzante, ritmato, che scandisce un tempo che scorre senza peso. È un enorme, nostalgico tributo al cinema francese di Truffaut, chiaro dalle veloci immagini sul prato, le corse per strada, i pantaloni neri fino al ginocchio sotto la gonna, la trama (neo)realistica.
Frances è un'aspirante ballerina di danza moderna, ventisettenne, nata e cresciuta a Sacramento e trasferita a New York. Vive con Sophie, con cui vediamo, all'inizio, porta avanti un'amicizia-matrimonio di intese e spensieratezze, lotte al parco e film sul computer nel letto alla sera. Nella danza Frances crede molto, ma pare che l'amore non sia reciproco; si aggiunge il trasferimento di Sophie in una casa a Tribeca, ma le cose dei ragazzi vanno così, e per amici comuni Frances finisce nella «stanza piccola» di un appartamento «sicuro di sé» in cui vive l'Adam Driver di Girls. Altro idillio: lei e Lev e Benji che saltano sul letto, mangiano cinese davanti alla tv (e Lev porta a casa one-night-stands che preparano i bagel). «Non posso restare a colazione, devo uscire, non sto combinando niente» dice Frances con la giacca addosso; e poi a colazione ci resta. I soldi sono sempre meno e la casa sempre più cara e l'amica più lontana e le vacanze di Natale arrivano: va a trovare i suoi, fa la pulizia dei denti, la rimpatriata di quegli amici... Tutto è così talmente realistico che è impossibile non immedesimarsi prima in lei poi in qualcun altro: la paura di crescere, la difficoltà di farcela da soli, il contrasto tra i ricchi e i poveri, la solitudine che piomba dietro l'angolo, le vacanze che vanno male, i ritorni degli affetti, le relazioni che diventano serie – tutto che diventa serio. È un film “newyorkese” l'ha definito Virzì, ma è in realtà un film universale, forse per una fetta di gioventù. Nel cast tutto indie, poi, ogni personaggio è azzeccato: l'amaro in bocca resta solo per la psicologia ambigua di Frances: intelligente e spigliata, con la battuta pronta, ma poi capace di intavolare conversazioni imbarazzanti e inutili alle cene con gli sconosciuti. Autrice di un pensiero meraviglioso su cos'è lo stare in coppia e poi dispettosa verso se stessa nel non accettare un lavoro nel momento di bisogno. Ad ogni modo, tutti i difetti si nascondono dietro l'etichetta della casella postale, quando ci verrà svelato il perché di questo titolo, Ha.

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