venerdì 20 giugno 2014

#Cannes: Gloria.



Party Girl
id., 2014, Francia, 96 minuti
Regia: Samuel Theis, Marie Amachoukeli-Barsacq e Claire Burger
Sceneggiatura originale: Samuel Theis, Marie Amachoukeli-Barsacq e Claire Burger
Cast: Sonia Theis-Litzemburger, Joseph Bour, Mario Theis,
Samuel Theis, Séverine Litzemburger, Cynthia Litzemburger, Chantal Dechuet
Voto: 6.5/ 10
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Camera d'Or, Premio del Cast
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Quand'era ancora studente di Cinematografia, a Samuel Theis fu chiesto di approfondire un esercizio scolastico, raccontare cioè la storia bizzarra di sua madre. Lo fa adesso, affiancandosi Marie Amachoukeli e Claire Burger dietro alla macchina da presa e mettendoci davanti mezza famiglia e molti conoscenti. A partire da Sonia, la genitrice che prende qua il nome di Angelique Theis-Litzemburger, sia sulla locandina che dentro alla pellicola. Frequentatrice e amministratrice di uno strip-club, direbbero in Francia, agée, ha sfornato quattro figli cedendoli al mondo e cedendone soprattutto una, affidata a un'altra famiglia e quasi scomparsa per anni. Si ritrova, con piercing vicino al labbro e sessant'anni, a patire la solitudine del non essere sposata, e non le serviranno grassi corteggiamenti per accettare le avances di un suo cliente abituale, Michel, ex minatore, pacatamente silenzioso fino alla proposta di matrimonio. Il film è spaccato in due parti: la prima, che ci presenta la stravagante situazione familiare e affettiva, le “colleghe” di lavoro del bar-cabaret, le discussioni in casa, i the del pomeriggio e gli smalti sulle unghie; e la seconda, lungo resoconto dell'addio al nubilato e celibato, della cerimonia e della festa che ne segue. E, inevitabilmente, si pensa a: Tournée di Mathieu Amalric (sempre nell'Un Certain Regard di questo Festival di Cannes con La Camera Azzurra) per la prima metà, storia circense di un gruppo di entusiaste ballerine di burlesque che vivono e preparano spettacoli in simbiosi col loro mentore; e al cileno Gloria per la parte finale, soprattutto l'ultima scena, ripresa pari pari, con l'aggiunta della canzone di chiusura che, tanto qui quanto là, dava poi titolo a tutta l'opera. Se però la straordinaria pellicola di Sebastián Lelio raccontava senza patetismi né prese di posizione la vita di una donna preoccupata del restare da sola al traguardo dei suoi giorni, facendole apprezzare solo alla fine i risvolti amari ma positivi della solitudine, Angelique appare come una ragazzina che non ha mai accettato di crescere e non è stata in grado di crearsi un nucleo affettivo attorno, dando via in principio una bambina. Troppo tardi si accorge di non avere niente, e se le amiche-colleghe la dovessero tagliare fuori il mondo le si frantumerebbe addosso. È, quindi, colpa sua; nonostante ciò non riesce a non piacerci, non riusciamo a non volerle bene. È sboccata, senza filtri, ironica, semplice – ecco perché ci ricorda le ragazze on tour. Ma non è Paulina García: è cinéma-vérité troppo scontato sui luoghi comuni dei sentimenti e troppo fiducioso nei suoi non-attori. Camera d'Or contestata per un film che «ha registro uguale a se stesso» e non si evolve all'evolversi della trama, che scorre, s'ingrassa, si spezza, si ripiglia – ma viene documentato nel modo in cui è nato: e cioè come esercizio scolastico. Parrebbe, come hanno notato alcuni, un'esorcismo, una terapia di famiglia.

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