mercoledì 14 novembre 2012

Bari caput mundi.



La Nave Dolce
id., 2012, Italia, 90 minuti
Regia: Daniele Vicari
Sceneggiatura: Antonella Gaeta, Daniele Vicari e Benedetto Atria
Soggetto: Luigi De Luca, Silvio Maselli, Antonella Gaeta, Daniele Vicari
Cast: Eva Karafili, Agron Sula, Halim Milaqi, Kledi Kadiu,
Robert Budina, Giuseppe Belviso, Fortunata Dell'Orzo, Raffaele Nigro
Voto: 7.8/ 10
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«Accogliamo il nostro nuovo compagno di classe Dennis che ora si presenterà raccontandoci un po' di lui e del Paese da dove viene, va bene Dennis?» chiede la maestra Loredana a questo omaccione che pare uno di terza media e che invece da oggi sarà in classe con me, in quarta elementare, e Dennis ci racconta di quanto dista il suo paesino da Tirana e mi fa scoprire - con non poco sgomento - che le macchine, in Albania, ce le hanno pochissime persone, tendenzialmente quelli che contrabbandano sigarette e altri di lavori affini.
Era il 1998 ed eravamo a Brindisi; il film di Daniele Vicari si sposta un po' più su, a Bari, e un po' prima, nel 1991.
È l'8 agosto: si sparge la voce, dall'altra parte del Mar Adriatico, che da Durazzo sta per partire una nave gigantesca carica di tonnellate di zucchero. Si dice che toccherà le coste dell'Italia, e gli albanesi, giungendo da ogni dove, si mettono a correre perché non hanno la macchina, o pigliano la bici, e giungono al porto, e vedono questo colosso di ferro e ci salgono sopra, si arrampicano, funamboli senza circo ma con grandi speranze. Salgono lasciando le madri a casa, i parenti a terra, salgono senza preavviso, senza piani, senza logica: salgono. Si ritrovano ad essere circa ventimila. E come tutte le comunità con davanti il futuro rosa (gli albanesi hanno per anni visto la nostra televisione, parlato l'italiano, pensato che da noi ci fosse il benessere) creano una solidarietà più che patriottica e allora, nonostante non ci siano centimetri quadrati vuoti sul pavimento, né acqua né cibo né ripari dal sole, si arrangiano come possono e salutano il porto di Brindisi prima che il comandante, consapevole del carico non solo solubile del suo barcone, viene costretto a girare per Bari. E a Bari, la nave arriva. Attesa da Croce Rossa, polizia, volontari, attracca al porto e lascia scendere questo mare di teste e corpi e aspettative e lo trattiene là, in attesa di nuovo ordine. Si pensa di costruire delle temporanee tendopoli sulla banchina, dove una nave di carbone è da poco passata e dove gli uomini e le donne e soprattutto i ragazzi si stanno impiastrando di nero; si decide per il trasporto, attraverso pullman di linea, allo stadio della città.
Ventimila stranieri chiusi (letteralmente sigillati dall'esterno) in uno stadio, un miscuglio di poveretti e malavitosi, ancora senza cibo, senza acqua, senza servizi igienici, con un elicottero che ogni tanto passa sulle loro teste, diventano ben presto una fattoria Orwelliana, dove il maiale comanda e si torna inconsciamente a ciò che si è perso.
Poi il Presidente della Repubblica scende a Bari e si infuria con la stampa sottolineando che farà espellere il sindaco in quanto “avventato” nell'accoglienza data a queste persone.
Nello stesso anno, Daniele Vicari si gira i festival di Berlino e Venezia con due pezzi di storia dell'Italia recente messi nel dimenticatoio. Se Diaz era un vero e proprio film, però, che ricostruiva le scene per amalgamarsi al materiale di repertorio, questo abbandona la fittizia narrazione e si concede alle più disparate immagini girate da Telenorba e mai usate che vengono contestualizzate e alternate alle figure su fondo bianco di chi su quella nave c'era, dal comandante costretto a partire all'ormai celebre Kledi Kadiu, passando poi per chi ha operato a Bari, chi è dovuto tornare in Albania e poi è ripartito.
Anche questa volta riesce a confezionare una pellicola completamente priva di giudizi morali, che non mette in bocca niente alle persone e, fatta eccezione per qualche aggettivo, mostra la vicenda così com'è andata facendoci pensare “poveri albanesi” per tutto il tempo ma poi mostrandoci la devastazione che hanno lasciato nello stadio (com'è stato per i black block nell'altro film). Asciutto, non prolisso, non retorico. Peccato solo per questo schermo che si rimpicciolisce e ci fa vedere, dei volti, solo i dettagli.

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