martedì 18 febbraio 2014

il film belga.



Alabama Monroe: Una Storia D'amore
The Broken Circle Breakdown, 2013, Belgio, 111 minuti
Regia: Felix Van Groeningen
Sceneggiatura non originale: Carl Joos, Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch
Basata sullo spettacolo The Broken Circle Breakdown
Featuring The Cover-Ups Of Alabama di Johan Heldenbergh & Mieke Dobbels
Cast: Veerle Baetens, Johan Heldenbergh,
Voto: 7.5/ 10
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Candidato a un Premio Oscar:
film straniero
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Ispirato alla “performance teatrale” dall'omonimo titolo (originale) The Broken Circle Breakdown di Johan Heldenbergh, già nel precedente film di Van Groeningen, la pellicola candidata all'Oscar in rappresentanza del Belgio narra le vicende di Didier (Heldenbergh) ed Elise (Veerle Baetens), coppia bluegrass con bambina di sette anni malata di cancro, che vediamo già dall'inizio in ospedale a combattere contro i rigurgiti della chemio e la perdita dei capelli. Si alternano immagini dei genitori, sereni e spensierati, che supponiamo appartenere al passato; è giusto, ma non solo. La particolarità del film è proprio il montaggio, come fu per il già citato precedente The Misfortunates: a queste succedono scene di Elise in ambulanza, che corre priva di coscienza seguita dalla macchina del marito in completo bianco (quando lo indosserà?). Lui, barbuto suonatore di benjo; lei, tatuatrice stracolma di tatuaggi che ora copre il nome di un ex fidanzato ora ne scrive uno entrante sulla pelle. Si conoscono nel di lei studio, e lui attacca a parlare della buona musica, del suo gruppo, dei suoi testi – dopo la prima a Berlino, la colonna sonora del film, curata anche da Bjork Eriksson, si è imposta in cima alla classifica dei dischi più venduti in patria. Poi, mentre la nostra Grande Bellezza agli European Film Awards faceva incetta di statuette, miglior film incluso, la star nazional-popolare Veerle Baetens batte a sorpresa la sublime Barbara Sukova di Hannah Arendt, perché almeno un premio uno doveva riceverlo. Ed è questo, più de Il Sospetto, il film che dobbiamo temere la notte del 2 marzo. Mentre il nostrano Sorrentino dirige la decadenza di un Paese capeggiata da Toni Servillo, un Guido Anselmi di oggi che non riesce a scrivere come quello non riusciva a dirigere, nella Roma della dolce vita, Felix Van Groeningen fa il furbo e gioca doppiamente con l'animo umano: impietosendoci davanti alla figlia Maybelle che riceve una collana da dare alla sua progenie – che immaginiamo non avrà mai; e poi raccontandoci la follia del lutto, la perdita di terreno sotto ai piedi, di motivi per vivere, lo sfacelo dei sentimenti – e la seconda parte segue questa frammentazione anche nell'ordine delle cose che ci dice, che impazzisce. Si aggiunge la polemica politica, l'impossibilità dello studio delle staminali, l'attacco a microfono aperto al Vaticano, un pelo fuori luogo ed esagerato (quanto gli piace l'America? In TV non si parla d'altro) ma utile alla conclusione del film, la più bella conclusione di quest'anno forse, toccante, straziante, originale (ma non troppo). Altra furberia: darci alti e bassi per mantenerci in tensione, continuamente, chiederci come andrà a finire, dopo 45 minuti non abbiamo più idea di cosa possa succedere. E tutto si concentra attorno a lei, una madre improvvisa(ta), una donna a cui non avremmo mai messo in braccio una bambina e che si trasforma quando le arriva. L'uomo, e tutti gli uomini, sono figure di contorno: gli altri membri del gruppo non li distinguiamo nemmeno, con tutta quella barba a testa. Facilità compensata dagli espedienti tecnici – non si scende mai nel musical, non che ci sia qualcosa di male, ma nemmeno alla fine, quando miracolosamente il titolo italiano trova un senso molto più interessante e toccante dell'originale.

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