venerdì 28 novembre 2014

32TFF: le bici.



Violet
id., 2013, Belgio/ Olanda, 85 minuti
Regia: Bas Devos
Sceneggiatura originale: Bas Devos
Cast: Cesar De Sutter, Koen De Sutter, Mira Helmer,
Brent Minne, Fania Sorel, Jeroen Van Der Ven
Voto: 7.6/ 10
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Siamo in un centro commerciale, ma la telecamera indietreggia e siamo negli uffici di un centro commerciale in cui vediamo quello che succede nei corridoi e tra i negozi (del centro commerciale) dalle telecamere disposte all'interno. Le immagini si susseguono mostrando tutti i desolati angoli mentre un uomo, una guardia, controlla che tutto vada bene. Ci sono dei ragazzi ad aprire il film, quattro: due coppie e una bici – e iniziano a litigare, e il tempismo fa alzare la guardia poco prima che uno probabilmente accoltelli l'altro, finito steso a perdere sangue in una pozza, mentre l'amico osserva e gli altri due scappano e la desolazione non ha testimoni là dentro. Siamo nel più completo silenzio e siamo in 4:3, per un primo pianosequenza potentissimo, ai limiti della videoarte (soprattutto per l'incipit). Scopriremo che videoarte è tutto il film, ricordandoci del primo e buon caro Steve McQueen che lentamente, da Hunger a 12 Anni Schiavo ha perso la sua volontà di fare tecnica a prescindere dalla narrazione. Qui quell'intento è esaltato all'ennesima potenza: potrebbe non esserci trama – che in effetti non c'è, o che è semplicemente l'elaborazione di questo lutto – perché quello che conta sono le immagini, anzi la costruzione delle immagini, anzi la loro regia. Per accettare la morte si rinuncia completamente al suono e quasi anche al dialogo a discapito di un silenzioso scorrere dei giorni alienante e alienato, un giro con gli amici del defunto, un pianto nella vasca da bagno, un ritrovato rapporto fisico con il padre. A noi spettatori è però impossibile empatizzare col personaggio, coi personaggi, che sono delle lastre di ferro impossibili da penetrare, degli inespressivi, asettici corpi che si relazionano senza peso, senza trasporto. L'asetticismo dei luoghi e di chi ci abita è l'asetticismo di tutto il film che rimanda a quelle atmosfere un po' autoctone e irreali, congelate, di Elephant ma ancora meglio di Paranoid Park: il BMX (Bicycle Motocross) è il collante tra questi adolescenti che non hanno niente da dire né la maturità adatta per dirlo, riguardo questo decesso precoce, e allora condividono la passione e le vie del quartiere in silenzio, mentre il tecnicismo della telecamera gli corre dietro. Ma qualcosa è cambiato e, anche se per pura suggestione o auto-convinzione, Jesse il protagonista (il giovanissimo e androgino Cesar De Sutter della locandina, che non interpreta la Violet del titolo) sa di essere guardato con occhio diverso, in quanto unico testimone della morte di Jonas; sa di dovere alle famiglie e agli amici delle spiegazioni, dei racconti, e vive il peso di questa partecipazione involontaria con notti insonni e tentate fughe, con la testa bassa e la solitudine. La scena finale è potente quanto la prima, ma più destabilizzante. I titoli di coda completano questo quadro di novità, dimostrando che è molto più leggibile un blocco di testo già presente sullo schermo che un'epigrafe infinita che scorre a fondo nero. Ma Bas Devos, al suo esordio al lungometraggio, sa che la sua operazione è di difficile masticazione, e infila un concerto rock, quasi metale, durante il quale le opinioni di gusto sono discordanti: perché alcuni spettatori cercano il suono altri il rumore.

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