venerdì 19 dicembre 2014

il film israeliano.



Viviane
Gett: Le Procès De Viviane Amsalem, 2014, Israele/ Francia, 115 minuti
Regia: Ronit Elkabetz & Shlomi Elkabetz
Sceneggiatura originale: Ronit Elkabetz & Shlomi Elkabetz
Cast: Ronit Elkabetz, Simon Abkarian, Sasson Gabai,
Gabi Amrani, Dalia Beger, Shmil Ben Ari, Rami Dadon
Voto: 9/ 10
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Candidato al Golden Globe:
miglior film straniero
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Da tre anni Viviane Amsalem non vive col marito, col quale litiga di continuo, arrivando a lanciare piatti e far preoccupare i vicini; da dieci ha iniziato seriamente a pensare di lasciarlo; dal giorno in cui si sono sposati è incerta sulla giustizia nella coppia. Ed è di giustizia che, tutto il tempo, si parla: perché Viviane adesso è in tribunale, un tribunale rabbinico israeliano, a chiedere a tre giudici il divorzio dall'uomo che «non ama più»; ed è la giustizia che la costringe ancora a lui, e la giustizia che lui evoca su una coppia che si spegne quando solo uno dei due membri perde l'amore. Mentre nella vita di tutti i giorni, occidentale, americana, si piange perché si viene lasciati ancora carichi di sentimenti, qui Viviane rasenta la follia costretta a dividere ancora la fede totalmente prosciugata della pazienza, del trasporto sentimentale, ma non della tenacia: ci vorranno circa quattro anni per raggiungere un accordo, perché il marito Elisha non si presenta ripetutamente in aula, i testimoni amici della coppia si contraddicono data la poca imparzialità, in punto di disdetta un avvocato si aggrappa a una teoria becera, vengono date punizioni sul ritorno in tribunale. Noi spettatori assistiamo a questo calvario estenuante seduti di fronte ai volti che ci guardano, che ci parlano, chiusi continuamente in queste quattro mura mai claustrofobiche, stretti fra questi pochi individui mentre vedremo poi come fuori la vita avanza, procede, la vita delle persone libere, e nonostante siano passati quattro anni pare che il tempo si sia fermato sempre in queste stanze. Viviane chiede soltanto di poter togliersi un'etichetta che non le appartiene più, quella di moglie, quella di moglie di Elisha, il quale non accetta e non si piega all'acconsentimento del divorzio fino all'ultimo minuto. E per la legge israeliana è lui ad avere il coltello dalla parte del manico – le donne non possono che tacere, a meno che poi non esplodano in monologhi strepitosi come quelli a cui assistiamo: due, tre forse di una potenza sovrumana, il primo grottesco e paradossale, divertentissimo, l'ultimo commovente, lo straziante urlo d'aiuto di chi non ha nessuna colpa ma si vede giustiziato. Viviane è il capitolo conclusivo di una trilogia sul ruolo e la figura della donna schiacciata dalla legge israeliana, firmato questa volta dalla sua interprete Roni Elkabetz, regista e sceneggiatrice, sorella di Shlomi. Impossibile non pensare all'iraniano premio Oscar Una Separazione. Non perché sia in lizza per l'Academy anche questo, ma perché i due partivano da un intento praticamente opposto: lì era una separazione il soggetto fondamentale, e nel susseguirsi di vicende il nostro punto di vista cambiava continuamente schierandoci ora col marito ora con la donna che lo accusa interferendo nella burocrazia, la nostra posizione non è mai fissa fino a quando non sappiamo per chi tifare; in questo caso invece il fulcro è Viviane: ci viene presentata, in tribunale, per ultima, nonostante tutti la guardino, e per ultima si metterà a parlare, alla fine, e anche se ogni tanto il sospetto che stia mentendo o che abbia un amante o che il suo gioco sia un po' sporco potrebbe assalirci, dalla locandina all'ultima scena sappiamo che è per lei che siamo in sala.

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