venerdì 30 gennaio 2015

pane, amore e fantasia.



Gemma Bovery
id., 2014, Francia, 99 minuti
Regia: Anne Fontaine
Sceneggiatura non originale: Pascal Bonizer & Anne Fontaine
Basata sulla graphic noverl Gemma Bovery di Posy Simmonds
Cast: Fabrice Luchini, Gemma Arterton, Jason Flemyng,
Isabelle Candelier, Niels Schneider, Mel Raido, Elsa Zylberstein,
Pip Torrens, Kacey Mottet Klein, Edith Scob
Voto: 7.5/ 10
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Lei si chiama Gemma Bovery, e nessuno mai le ha fatto notare la straordinaria somiglianza col personaggio di Flaubert – annoiata dalla vita e forse anche dal marito restauratore si trasferisce nella campagna normanda cercando di adattarsi ai paesaggi coi topolini e l'acqua che piove in casa. Lui si chiama Martin Joubert, nato in Normandia e trasferito a Parigi e tornato in Normandia a fare il pane nell'azienda paterna dopo un lavoro d'insegnante che si è sedimentato sotto la pelle; è molto più annoiato di lei, dalla vita, al punto che qualsiasi spunto dalla realtà può trasformarsi nell'incipit di una storia di cui si autoproclama regista: un tradimento, un matrimonio in rovina, un altro tradimento. Sotto al nome, vede infatti i caratteri di Bovary Emma tutti dentro alla sua nuova vicina: che instaura una relazione adultera con un bel giovane locale, che ne ritrova un altro che pensava perduto ormai da tempo, mentre i debiti quasi la schiacciano... Martin, sposato e con un figlio che pensa solo ai videogiochi ma si rivelerà più arguto del previsto, interviene preoccupato dall'arsenico per topi, che nel celeberrimo romanzo fa altri morti. E per farla meglio... Ironia della sorte, Gemma Arterton interpreta un'altra protagonista di fumetto dopo essere stata Tamara Drewe nell'omonimo, grottesco, nonsense film di Stephen Frears – che è forse il più grottesco e nonsense film d'autore degli ultimi cinquant'anni – e la mano della disegnatrice è sempre la stessa, quella di Posy Simmonds, che dopo essersi cimentata con la cricca degli scrittori questa volta passa dall'altro polo e racconta dei lettori, quelli accaniti, quelli irrazionali. Fabrice Luchini è la vittima di questa malattia, sempre bravissimo, sempre da solo in grado di soddisfare il costo del biglietto. Per la riga finale delle recensioni, se vi è piaciuto guardate anche, si consiglia Molière In Bicicletta, con lo stesso protagonista maschile alle prese con un'altra ossessione letteraria, ma questa volta teatrale – ironia della sorte quel film e questo erano stati presentati felicemente in anteprima a Torino. Le commedie francesi (quella e questa) hanno una dote altissima: farsi contaminare dalla cultura, scorrere leggere lasciando il germe della Letteratura che le ha contaminate, che era Il Misantropo in quel caso ed è Madame Bovary in questo, in cui si cerca sempre il parallelismo con la narrazione flaubertiana, le somiglianze psicologiche, i risvolti drammatici. A questo si aggiunge una pudicizia e una messa in scena gentili, con scene di sesso, poche, sempre dai vestiti addosso, dalle vestaglie démodé che rendono la Arterton ancora più di quanto non sia; inquadrata nei punti giusti, nei momenti giusti, privata di volgarità dalla telecamera e di civetteria dal suo corpo, nell'unica scena drammatica che le concerne si dimostra anche molto capace, adatta al ruolo. Un'altro valore che i francesi hanno è il non impaurirsi davanti al plurilinguismo: un terzo della pellicola è infatti in inglese, senza sottotitoli – un po' perché non è necessario che si capisca, un po' perché si suppone ci si riesca. Dietro alla macchina da presa c'è Anne Fontaine: quella-di Two Mothers, disastro femminista sullo scambio di coppia tra due amiche storiche e i loro figli, con vent'anni di differenza generazionali. L'assurdità di quella trasposizione, che veniva da un libro di un Premio Nobel, che risultava in-credibile a causa anche dall'isolamento marittimo degli allegri fidanzati, rischia qui la stessa problematica geografica (vediamo solo un panificio, due case, una cattedrale), ma viene abilmente scansata dallo sceneggiatore de La Bella Scontrosa Pascal Bonizer, che gioca con la voce narrante, un diario ritrovato e qualche occhio alla camera per parlare direttamente col pubblico, senza infastidirlo. Un film luminoso, letteralmente.

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