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lunedì 10 marzo 2014

premi César - vincitori.



Dopo l'Oscar, il Golden Globe e il BAFTA La Grande Bellezza non si porta a casa anche il Premio César 2014, riconoscimento del cinema francese, come miglior film straniero perché ci pensa The Broken Circle Breakdown a ritirare la bruttissima statuetta – favoritissimo all'inizio della stagione dei premi e poi messo nel dimenticatoio insieme a La Vita Di Adèle, che qui ritira solo il premio all'attrice emergente, giustamente, l'immensa ed esordiente Adèle Exarchopoulos. Fa incetta, come previsto date le infinite nominations, Tutto Sua Madre di Guillaume Gallienne, opera prima personalissima tratta dal suo stesso memoir e da lui scritta, diretta, interpretata in tutti i ruoli e prodotta: miglior film, sceneggiatura adattata, attore, opera prima, montaggio. Lascia la statua alla regia a Roman Polanski per il claustrofobico lavoro teatrale di Venere In Pelliccia, così visivamente semplice così pieno di significati. L'attrice e la sceneggiatura originale solo di 9 Mois Ferme – niente Bérénice Bejo de Il Passato, niente Léa Seydoux; il miglior attore emergente è Pierre Deladonchamps per la rivelazione francese dell'anno Lo Sconosciuto Del Lago, che pure aveva ottenuto molte candidature per un'annata super-queer nel cinema francofono. Renoir, il film che il Paese ha mandato agli Oscar non potendo contare su Kechiche uscito in patria troppo tardi, si accontenta dei migliori costumi per l'unica nomina che aveva ricevuto; le scenografie vanno invece a Stéphane Rozenbaum per il visionario quanto deludente La Schiuma Dei Giorni, opera ultima e in lingua non inglese di Michel Gondry. Capatina di Scarlett Johansson durante la cerimonia di premiazione della scorsa settimana. Qui il sito ufficiale, con le foto e i video della serata; di seguito invece, dopo l'interruzione, tutti i candidati e i vincitori.

miglior film
9 Mois Ferme
Jimmy P
Il Passato
Lo Sconosciuto Del Lago
Tutto Sua Madre
Venere In Pelliccia
La Vita Di Adèle

giovedì 21 novembre 2013

sposare una lontra.



Venere In Pelliccia
La Vénus À La Fourrure, 2013, Francia/ Polonia, 96 minuti
Regia: Roman Polanski
Sceneggiatura non originale: David Ives & Roman Polanski
Basata sulla pièce teatrale di David Ives
Cast: Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric
Voto: 8/ 10
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Le Variazioni di Von Trier ci insegnarono che più restrizioni si hanno, miglior parto avrà il nostro prodotto: i limiti e i vincoli fanno sforzare l'ingegno. E così ha dovuto fare il segregato-in-Polonia Roman Polanski (che però al Festival di Cannes c'era, insieme ai suoi due attori e al suo film in concorso). Una comitiva piccola piccola perché il film due attori soltanto ha, e soltanto una location: un teatro addobbato coi cacti fallici di Ombre Rosse adattato a musical belga. Non potendo tornare al cinema internazionale e en-plain-aire, Polanski è da un paio d'anni che si scrive a pennello sceneggiature claustrofobiche tutte al chiuso: aveva così esagerato con L'uomo Nell'ombra (aka The Ghostwriter) tra isolotti aeroplani traghetti e spiagge, con cui fu applauditissimo a Berlino, che il successivo Carnage l'aveva fatto durare un'ora e l'aveva fatto iniziare e finire in un appartamento. Epopea di bravura per quattro bravissimi attori, fu la perla di Venezia 66 che riportò in auge lo spettacolo Il Dio Del Massacro repentinamente pubblicato da Adelphi. A due anni da quel film, il regista franco-polacco torna a un festival e torna a collaborare con uno sceneggiatore teatrale, il sessantatreenne David Ives che nel 2010 portò sul palco (nel 2011 a Broadway) lo spettacolo Venus In Fur che richiamava alla memoria il romanzo Venus Im Pelz dell'austriaco Leopold von Sacher-Masoch (1870) che scandalizzò il mondo e diede neologia al termine “masochismo” oltre che ispirazione, tra gli altri, al fumetto omonimo di Crepax negli anni '80.
Da questo calderone di arti, il duo di scrittori prende ogni tassello di puzzle e lo monta in un botta-e-risposta labirintico; Mathieu Amalric ed Emmanuelle Seigner si ritrovano dopo Lo Scafandro E La Farfalla e si trovano nel teatro di cui prima, lui regista e adattatore della pièce e lei attricetta spiantata giunta in ritardo alle audizioni per il ruolo di protagonista di questo Venere In Pelliccia, spettacolo a partire dal romanzo di due secoli fa. Da subito, dal completo di pelle e dalla parlata sboccata, capiamo che per questa donna non ci sono chance, che il regista non è e non sarà interessato, lei a malapena ha letto il copione, è convinta che il libro di partenza sia un porno, che gli attori dovranno indossare collari e borchie. Ma poi dalla sua borsa di Mary Poppins tira fuori un pacchiano abito giusto, una giacca miracolosa, raccoglie i capelli e la Wanda von Dunayev di cui c'è bisogno è lei. Entra ed esce dal personaggio e si fa dare le battute dall'incantato Amalric di cui intuiamo l'autobiografismo nel testo, così come dell'austriaco fu per il romanzo. Da una scena saltano all'altra analizzando personaggi e posizioni sul palco, e la Wanda che si chiama veramente Wanda ci sorprende sempre correggendo una luce, intuendo una sottigliezza psicologica – chi è veramente questa donna?, cosa è venuta a fare?
Usciamo dalla sala con ancora queste domande in testa, a bocca amara per la scena conclusiva, musicata magnificamente (come ogni altra scena) da Alexandre Desplat, tribalmente un po' eccessiva, che ci sottolinea come il regista si sia preso gioco di noi, ingannandoci con il trucco delle parti, con un autore in cerca di personaggio e un personaggio in cerca di due corpi. Magistralmente i ruoli si invertono e capovolgono continuamente, al punto che si necessita l'ordine fornito in apertura: dove comincia il libro e dove la pièce e dove il film. La Seigner è maestosa, magistrale, totalmente disposta a mettersi a nudo e in grado di assumere varie forme – lei è l'attrice che il maestro plasma; e il maestro non è qui Amalric (sempre bravo, per carità), ma Polanski, che dopo averci snervato (nel senso buono, per carità) con Carnage, adesso ci spiazza nel labirinto della psiche umana.

sabato 25 maggio 2013

#Gray #Chandor



Il premio Oscar Marion Cotillard (foto) arriva a Cannes al penultimo giorno di festival: è una polacca che fugge dall'Europa stremata dalla Grande Guerra insieme alla sorella verso l'America in The Immigrant di James Gray, storia di un inserimento sociale che non avviene; ad aiutarla, nel film, ci penserà Joaquin Phoenix, attore feticcio del regista (anche nell'ultimo Two Lovers), qui arraffone disperato e anche lui desideroso di appartenere ad una New York ricostruita totalmente in studio e fotografata dall'immenso Darius Khondji, qui l'anno scorso per il meraviglioso lavoro svolto in Amour, che per questa pellicola a-temporale sceglie di illuminare tutto col rosso – tipo il tramonto sul Titanic.
Applausi e commozioni per questo film che si mette in fila insieme agli altri in attesa della Palma di domani: The Past di Asghar Farhadi, che dopo l'Oscar per Una Separazione prende la candidata all'Oscar per The Artist e racconta di un matrimonio iraniano per le periferie di Parigi; Like Father, Like Son, del giapponese Hirokazu Koreeda, storia di un figlio scambiato alla nascita e del rapporto tra un padre e ciò che ha cresciuto per tanti anni; ma sono stati soprattutto Nebraska e Inside Llewyn Davis, entrambi americani, rispettivamente dei super-celebrati Alexander Payne e fratelli Coen, a strappare più consensi e recensioni positive.
In questo ultimo giorno di proiezioni tornerà sullo schermo Roman Polanski col francese Venus In Fur; lui ovviamente assente dal tappeto rosso mentre sfilerà il super-cast dell'ultima pellicola in gara, Only Lovers Left Alive – Mia Wasikowska, Tom Hiddleston, Tilda Swinton, John Hurt, Anton Yelchin – prima pellicola fantasy-vampiresca di Jim Jarmusch.
E se il nostro Sorrentino ha diviso, come sempre, il pubblico e la critica, l'italiano a sorpresa che fa il colpaccio è il film Salvo, vincitore di entrambi i premi della Settimana della Critica (il Gran Premio della Giuria e il Premio Rivelazione): cinque anni per raccogliere i fondi necessari per le riprese (un milione di euro), distribuzione francese già confermata e un nome noto dietro la direzione della fotografia (Daniele Ciprì), Salvo è l'esordio di Piazza & Grassadonia a partire da un corto con lo stesso tema di qualche anno fa.
Sullo stesso genere di tensione ha viaggiato All Is Lost due giorni fa: Robert Redford (76 anni non sentiti) e la sua barca in mezzo al mare sono unici figure di questo film totalmente privo di dialoghi – un monologo iniziale, qualche «fuck» nel mezzo – diretto dal celebrato J.C. Chandor di Margin Call che ha messo tutti d'accordo sulla qualità di una regia narrativamente insolita per un film d'azione.

domenica 28 aprile 2013

#Cannes66.



Manca poco meno di un mese all'apertura del 66esimo Festival del Cinema di Cannes che, sappiamo bene, si aprirà con la prima, ritardata di cinque mesi, de Il Grande Gatsby, ultima attesissima fatica del visionario Baz Luhrmann che eleva le tecniche del 3D ancora più in alto di Hugo Cabret e conquista i fan di Fitzgerald insieme a quelli di tutta una serie di cantanti (Beyoncé, Jay Z, Florence + The Machine, Sia, Lana Del Rey, Emeli Sandé, Jack White...) facendosi aspettare anche con una colonna sonora originale composta apposta (qui la preview). Dall'altra parte del concorso, in giuria, ci sarà a visionarlo la sua attrice-feticcio Nicole Kidman – per quanto possa essere “feticcio” un'attrice che ha fatto due film su cinque – ultima aggiunta alla serie già splendente di nomi (soliti) all'evento: Ang Lee che di qui passò con Motel Woodstock, Lynne Ramsay che due anni fa presentò ...E Ora Parliamo Di Kevin, il Cristian Mungiu due volte vincitore e ancora l'attore austriaco Christoph Waltz appena premiato col secondo Oscar, il francese Daniel Auteuil, Vidya Balan, Naomi Kawase. A sedersi sulla poltrona che l'anno scorso tra le polemiche e le approvazioni fu di Nanni Moretti, ci sarà questa volta Steven Spielberg che di presentazioni non ha certo bisogno, per un Festival strabordante che in occasione del numero 66 si celebra in locandina con un 69: Joanne Woodward e Paul Newman si baciano, molto prima che Spiderman li copiasse, sul set de Il Mio Amore Con Samantha di Melville Shavelson (1963), in uno scatto digitalizzato e ridisegnato dall'agenzia Bronx di Parigi che l'ha anche fatta muovere per lo spot ufficiale.
Due italiani nelle gare: il navigato Paolo Sorrentino, che dopo il successo de Il Divo e la fama ottenuta con This Must Be The Place torna a raccontare un pezzo d'Italia, di Roma in particolare, con La Grande Bellezza, ancora una volta dirigendo il camaleontico Toni Servillo (e Carlo Verdone e Sabrina Ferilli); e Valeria Golino, esordiente dietro la macchina da presa col duro Miele, storia dei malaffari gestiti da Jasmine Trinca. Ritornano poi i soliti festivalieri: Abdellatif Kechiche (Cous Cous, Venere Nera), Roman Polanski con una produzione francese che ovviamente presenzierà al posto suo, segregato in Polonia, il Nicolas Winding Refn miglior regista con Drive che torna a Cannes dopo aver reso un cult il suo scorso film, il super-prolifero Steven Soderbergh che si appresta a uscire nelle nostre sale con Effetti Collaterali ma che in Francia porterà la biografia di Scott Thorson Behind The Candelabra – e poi ancora gli osannati Alexander Payne (recente Oscar per Paradiso Amaro), i fratelli Cohen di Fargo con la storia dei fratelli Berkey nella musica folk degli anni '60 (saranno Carey Mulligan e Justin Timberlake), l'iraniano Asghar Farhadi maestro dietro Una Separazione e il François Ozon reduce dal successo di Nella Casa.
Fra le molte produzioni francesi e quelle americane, un altro attore e regista amato in patria, Guillaume Canet, compragno di Marion Cotillard, presenterà Blood Ties con un cast stratosferico che include Mila Kunis, Zoe Saldana, Clive Owen e ancora la coppia Cotillard-Schoenaerts di Ruggine E Ossa.
Dopo l'interruzione, le liste dei film in concorso, fuori concorso e la giuria; questo è il sito ufficiale.

domenica 17 giugno 2012

Cannes65: Woody Allen, A Documentary.





Woody Allen: A Documentary
id., 2012, USA, 113 minuti
Regia: Robert B. Weide
Sceneggiatura: Robert B. Weide
Cast: Woody Allen, Letty Aronson, Marshall Brickman, Dick Cavet,
Larry David, Josh Brolin, Penélope Cruz, John Cusack, Naomi Watts,
Scarlett Johansson, Diane Keaton, Julie Kavner, Sean Penn
Voto: 6.2/ 10
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Il film parte e l'atmosfera è quella: la musica francesizzante, il carattere delle scritte solito (quello con cui, qui a lato, è scritto “Woody Allen”), le immagini di Manhattan. Siamo dentro a un film del più celebre comico d'America e forse del mondo, del più prolifero, del più longevo.
Il film parte e lui comincia a parlare, ci racconta degli esordi, della scuola (che andava male) e delle battute che spediva a qualche giornale, dei primi spettacoli a teatro e del loro insuccesso, poi del loro successo, della sceneggiatura per il primo film - che fu una catastrofe, del controllo totale che aveva sul secondo, anche da regista. Prosegue, lui insieme ai suoi storici compagni d'avventura, Larry David e Dick Cavett e poi sua sorella Letty Aronson, passando in rassegna tutti i primi film, le risate generali, le copertine a lui dedicate, le candidature agli Oscar, i premi vinti, il passaggio al dramma con Interiors e la maturità sentimentale di Manhattan e Annie Hall, e poi gli insuccessi, gli altri successi, la necessità di sfornare un film all'anno. Ecco, questo è forse il pregio più grande di questo documentario: fa dire ai cineasti e al regista stesso in questione ciò che noi tutti ci diciamo tra di noi: insieme a dei grandi bei film, Woody Allen ha fatto un sacco di scemenze, qualche scivolone, la gente gli dice «perché non ti prendi un anno e il prossimo film lo fai uscire tra due?» e lui risponde «se faccio tantissimi film, prima o poi ne verrà uno buono». Un documentario, questo, che passa in rassegna ciò che è successo, che la mia generazione non sa (tipo lo scandalo per la relazione con la figlia adottiva) e ci aggiunge poche altre cose: la macchina da scrivere che è la stessa da quarant'anni, la sala di montaggio.
Si ride, spesso, molto, ma non perché il documentario faccia ridere, solo perché fanno ridere le immagini di repertorio, le scene dei film, gli spezzoni in televisione. Il documentario si sforza davvero poco. Due sole immagini prese dal set, poche interviste agli attori che dicono ciò che ci si può aspettare da un attore che parla del regista che lo dirige (fa eccezione il perfezionista Josh Brolin), tanti complimenti e qualche ammissione di colpa per gli errori del passato. Ma gli errori più grandi, Woody Allen, li ha fatti adesso (viene mostrato e nominato Incontrerai L'uomo Dei Tuoi Sogni senza sottolinearne la schifezza), e invece si guarda al presente solo per il grande successo di Midnight In Paris e per il cambio di registro del bellissimo Match Point.
Presentato al primo giorno di Festival di Cannes 2012, che senza Allen non riesce proprio a stare, l'insipido documentario è diretto da Robert B. Weide, che con Larry David ci ha lavorato per Curb Your Enthusiasm ed è stato regista di quella serie e di Parks And Recreation.
Decisamente molto più interessante la travagliata vita di Roman Polanski, pure quella passata per Cannes e adesso al cinema.

sabato 26 maggio 2012

Cannes65 - Roman Polanski.





Quando c'è Cannes non si può parlare di altro che di Cannes. E se il primo giorno è stato presentato il documentario (insieme a quello su Woody Allen) Roman Polanski: A Film Memoir, ecco adesso spuntare un corto promozionale che il regista polacco ha girato per i prodotti Prada, sempre mostrato al Festival in questi giorni e visibile su YouTube cliccando qui.
Nel primo caso si tratta di una vera e propria pellicola sulla vita e la carriera del povero regista, accusato di aver violentato una ragazza in America, colpa ancora non del tutto chiarita, e per questo impossibilitato a toccare il suolo americano e quello di tutti gli altri stati, segregato ormai in Polonia dalla quale non può uscire, dove ha girato gli ultimi L'uomo Nell'ombra e Carnage (non ha potuto ritirare l'Oscar alla regia per Il Pianista per questo motivo). Distribuito in Italia dalla Lucky Red e al cinema in contemporanea alle sale francesi, il film è oggi in sole sei sale di tutto il bel Paese.
Nel secondo caso, invece, siamo di fronte ad un corto che non vuole essere uno spot ma ogni tanto ci casca, interpretato (magistralmente) da Helena Bonham Carter (che ormai è dappertutto, anche nell'ultimo video di Rufus Wainwright) e Ben Kingsley, all'occorrenza ambiguo davanti al cappotto per signora che la sua paziente appende dietro alla porta. Si chiama A Therapy perché è ambientato nello studio di uno psichiatra, luogo chiuso e maniacalmente ricostruito, esattamente allo stesso modo di Carnage (Kate Winslet rivelò che Polanski, prima di girare, passava ore a cercare la giusta inclinazione di un fiore nel vaso).
Per conoscere le sale che proiettano Roman Polanski: A Film Memoir basta cliccare qui.