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lunedì 13 gennaio 2014

Golden Globes 2014 - vincitori/ 2.



Non importa che Greta Gerwig non abbia vinto per Frances Ha contro Amy Adams (che poverella, 4 nominations all'Oscar, 4 al BAFTA ed era la quinta al Globe – meritava di vincerne) né che Jennifer Lawrence l'abbia fatto, per la seconda volta di fila, immeritatamente, contro la super-favorita Lupita N'yongo e la divertentissima June Squibb; è stata la sera in cui, dopo venticinque anni, per la categoria del miglior film straniero è stato detto un titolo italiano: La Grande Bellezza ha battuto i capolavori di Kechiche, Vinterberg, Farhadi e Miyazaki nella più bella cinquina della serata, probabilmente, la più genuina, non sporcata da premi in avanzo né trovate di marketing – motivo per cui Leonardo DiCaprio, giunto all'undicesima candidatura, pretendeva di ricevere un secondo Golden Globe, così come gli U2, autori della canzone originale per il film su Mandela, erano certi che l'eroe nero sarebbe stato ricordato in qualche modo. Non si sa bene in che direzione punti la doppia vittoria di Dallas Buyers Club, con un favorito Jared Leto miglior attore non protagonista e Matthew McConaughey che sgambetta e trattiene l'euforia perché meno speranzoso di farcela (foto). Entrambi, con la Lawrence, hanno battuto il cast di 12 Anni Schiavo, che perde anche il premio alla regia e si accontenta di una sola statuetta, al miglior film drammatico. Alfonso Cuarón è però giustamente celebrato per la maestria dimostrata in Gravity, e a sua volta celebra Sandra Bullock, che lo guarda dal tavolo con cui è a cena. Insomma una serata di premi seminati un po' in giro, senza una pellicola arraffa-tutto né dei film elogiati per determinate categorie, fatta eccezione per American Hustle, miglior film comedy (ma perché, fa ridere?) e migliori interpretazioni femminili. David O. Russel, regista e sceneggiatore, si vede rubare il globo allo script (giustamente) da Spike Jonze, per la prima volta candidato ai dialoghi (nel 2003 fu nominato come regista per Il Ladro Di Orchidee) – ma la sorpresa più grande è sicuramente questo Alex Ebert che, prima esperienza come compositore per un film, All Is Lost, tiene banco sul palchetto raccontandoci di una festa stringendo il premio alla colonna sonora, tolto al veteranissimo John Williams e al favorito Steven Price.
Qui il sito ufficiale con i video della serata; di seguito e dopo l'interruzione tutti i candidati e i vincitori.

miglior film
drama
 12 Anni Schiavo  di Steve McQueen
Captain Phillips - Attacco In Mare Aperto di Paul Greengrass
Gravity di Alfonso Cuarón
Philomena di Stephen Frears
Rush di Ron Howard

miglior film
comedy o musical
 American Hustle  di David O. Russell
Her di Spike Jonze
Inside Llewyn Davis di Joel & Ethan Coen
Nebraska di Alexander Payne
The Wolf Of Wall Street di Martin Scorsese

giovedì 5 dicembre 2013

31TFF: All Is Lost.



All Is Lost - Tutto è Perduto
All Is Lost, 2013, USA, 106 minuti
Regia: J.C. Chandor
Sceneggiatura originale: J.C. Chandor
Cast: Robert Redford
Voto: 7.9/ 10
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Tutto è perduto già dall'inizio. Qualcosa galleggia nell'acqua e Robert Redford («un film intero solo con Robert Redford? Ma non è super-vecchio?») ci dice fuori campo le uniche parole che ci dirà per tutto il film: c'ha provato, ad essere una persona buona, una persona migliore, ha provato a resistere, ma non ce l'ha fatta, e ciò che galleggia ne è la prova.
Tutto è perduto, per cui, anche nella seconda scena: il presagio triste e l'incipit ci hanno svelato un finale che pare imminente. Unico passeggero della sua barca, Redford – di cui non sapremo mai niente, né nome né provenienza né altre informazioni se non il pacchiano anello che ha al dito – si vedrà un carico caduto di scarpe probabilmente cinesi sfondargli il fianco dell'imbarcazione che lentamente e in modo abbastanza realistico riparerà con colla e rete d'uso, calandosi con l'imbracatura, svuotando la cuccetta dall'acqua entrata. La sua barca è la borsa di Mary Poppins: ha tutto per ogni evenienza, tira fuori sempre ogni accessorio, è pronto a ogni cosa, conosce qualsiasi trucco per farcela, marinaio navigato, ed effettivamente, fino all'ultimo istante, riesce a farcela. Gli succederà che una tempesta lo travolgerà in pieno, il gommone di salvataggio avrà un buco, gli s'allagherà tutto, addirittura s'incendierà qualcosa, e mai nessuna nave di passaggio si accorgerò della sua presenza, nonostante i bengala, i razzi, i fuochi segnalatori, né la radio capterà il segnale utile per chiedere aiuto. Insomma un bastimento di sfiga, al punto da risultare grottesco all'ultima sciagura tanto che una signora in sala è scoppiata a ridere gridando «non è possibile!». Poco prima dell'ambiguo finale, «ambiguissimo» hanno commentato in molti, il finale giusto per un'epopea tremenda, che ti lascia l'amaro in bocca perché non sai se va così in vita o in morte, se la scena iniziale si riferisce a qualcosa di precedentemente registrato o no.
Diventando poi anche esperto cartografo, munito di mappe e manuali e strumenti di misurazione per segnare precisamente la sua posizione nell'Oceano Indiano, Redford diventa clone – mentre in sala c'è un'altra storia di mare, In Solitario, e c'è appena stato il piratesco Captain Phillips – dell'indiano Pi del film di Ang Lee. Solo che quello, decisamente più spettacolare, viveva il mare solo in una parte del suo svolgimento e aveva più ospiti, e soprattutto si sviluppava in un arco di tempo più ampio senza mai farci perdere le speranze pur vedendo lo smagrimento del viso e la barba incolta. E anche quello aveva il doppio finale. Ma a J.C. Chandor, regista alla sua seconda prova passata da Cannes e adesso attesissima nelle nostre sale, abbiamo capito che piace fotografare l'istante, il momento, l'episodio strappato allo svolgimento. L'aveva già fatto con il premiatissimo e osannato Margin Call, racconto della notte del crollo finanziario con un cast gigantesco – in cui figurava anche Zachary Quinto che di questo film è produttore – rendendo il lato umano degli agenti di borsa, le disperazioni composte e trattenute; lo fa ancora, concedendoci un'unica scena in cui Redford effettivamente scoppia in lacrime, conscio di ciò che potrebbe accadere. Ma incentrare un film in un solo avvenimento, con un solo attore, senza nemmeno un dialogo (cosa che va molto di moda di questi tempi) non era impresa difficile: e questo film pur imperfetto (negli stacchi del montaggio, in qualche ripresa) ci riesce, senza mai annoiare.

mercoledì 4 dicembre 2013

Film Independent Spirit Awards - nominations.




Sono state annunciate mercoledì scorso le nominations ai 29esimi Independent Spirit Awards che, come da titolo, premiano il miglior cinema indipendente d'America e del mondo anche se, col passare degli anni, hanno cominciato a considerare indipendente un po' troppa roba; perciò vediamo il drammone biografico di Steve McQueen 12 Years A Slave (7 nominations) che dopo il successo mondiale di Shame proprio un piccolo film non è, così come Nebraska di Alexander Payne, 6 candidature, reduce dal successo e dall'Oscar per Paradiso Amaro – e quanto è meraviglioso questo nuovo, prima sceneggiatura di Bob Nelson, candidato contro Joseph Gordon-Levitt per Don Jon; già si riducono le dimensioni con All Is Lost, 4 nominatons tra cui l'azzeccata fotografia che resta coerente nelle scene sopra e sotto l'acqua (i direttori sono due diversi). Ma forse il meno indipendente è anche il più incredibile, Inside Llewyn Davis, perla dei fratelli Coen con un bravissimo Oscar Isaac che recita e canta e rincorre i gatti; anche qui nomination alla fotografia contro Computer Chess che era fuori concorso a Torino (candidato al miglior film a basso budget) e a sorpresa Spring Breakers di Harmony Korine. Il mio Frances Ha si ritrova nella cinquina dei migliori film e poi soltanto nel montaggio: niente elogi per l'interpretazione della Gerwig o la sua sceneggiatura; la sovrasta Cate Blanchett, elogiatissima in Blue Jasmine di Woody Allen (insieme a Sally Hawkins) che pure si ritrova ad essere indipendente al fianco di, per esempio, Short Term 12 di Destin Cretton (incetta di premi a Locarno, soprattutto per Brie Larson) e The Spectacular Now con una nuova Shailene Woodley premiata al Sundance. Ma soprattutto: ci siamo anche noi. La Grande Bellezza è uno dei migliori film stranieri insieme a La Vita Di Adèele, l'ormai antico Il Sospetto, il cinese Il Tocco Del Peccato attualmente nelle nostre sale e soprattutto il bel Gloria cileno. Si accende una speranza, soprattutto dopo la conversazione agli Oscar che il nostro Toni Servillo ha tenuto poco fa.
Di seguito, dopo l'interruzione, tutti i candidati.

miglior film
12 Years A Slave di Steve McQueen
All Is Lost di J.C. Chandor
Frances Ha di Noah Baumbach
Inside Llewyn Davis di Joel & Ethan Coen
Nebraska di Alexander Payne

miglior regista
Shane Carruth per Upstream Color
J.C. Chandor per All Is Lost
Steve McQueen per 12 Years A Slave
Jeff Nichols per Mud
Alexander Payne per Nebraska

sabato 25 maggio 2013

#Gray #Chandor



Il premio Oscar Marion Cotillard (foto) arriva a Cannes al penultimo giorno di festival: è una polacca che fugge dall'Europa stremata dalla Grande Guerra insieme alla sorella verso l'America in The Immigrant di James Gray, storia di un inserimento sociale che non avviene; ad aiutarla, nel film, ci penserà Joaquin Phoenix, attore feticcio del regista (anche nell'ultimo Two Lovers), qui arraffone disperato e anche lui desideroso di appartenere ad una New York ricostruita totalmente in studio e fotografata dall'immenso Darius Khondji, qui l'anno scorso per il meraviglioso lavoro svolto in Amour, che per questa pellicola a-temporale sceglie di illuminare tutto col rosso – tipo il tramonto sul Titanic.
Applausi e commozioni per questo film che si mette in fila insieme agli altri in attesa della Palma di domani: The Past di Asghar Farhadi, che dopo l'Oscar per Una Separazione prende la candidata all'Oscar per The Artist e racconta di un matrimonio iraniano per le periferie di Parigi; Like Father, Like Son, del giapponese Hirokazu Koreeda, storia di un figlio scambiato alla nascita e del rapporto tra un padre e ciò che ha cresciuto per tanti anni; ma sono stati soprattutto Nebraska e Inside Llewyn Davis, entrambi americani, rispettivamente dei super-celebrati Alexander Payne e fratelli Coen, a strappare più consensi e recensioni positive.
In questo ultimo giorno di proiezioni tornerà sullo schermo Roman Polanski col francese Venus In Fur; lui ovviamente assente dal tappeto rosso mentre sfilerà il super-cast dell'ultima pellicola in gara, Only Lovers Left Alive – Mia Wasikowska, Tom Hiddleston, Tilda Swinton, John Hurt, Anton Yelchin – prima pellicola fantasy-vampiresca di Jim Jarmusch.
E se il nostro Sorrentino ha diviso, come sempre, il pubblico e la critica, l'italiano a sorpresa che fa il colpaccio è il film Salvo, vincitore di entrambi i premi della Settimana della Critica (il Gran Premio della Giuria e il Premio Rivelazione): cinque anni per raccogliere i fondi necessari per le riprese (un milione di euro), distribuzione francese già confermata e un nome noto dietro la direzione della fotografia (Daniele Ciprì), Salvo è l'esordio di Piazza & Grassadonia a partire da un corto con lo stesso tema di qualche anno fa.
Sullo stesso genere di tensione ha viaggiato All Is Lost due giorni fa: Robert Redford (76 anni non sentiti) e la sua barca in mezzo al mare sono unici figure di questo film totalmente privo di dialoghi – un monologo iniziale, qualche «fuck» nel mezzo – diretto dal celebrato J.C. Chandor di Margin Call che ha messo tutti d'accordo sulla qualità di una regia narrativamente insolita per un film d'azione.