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mercoledì 25 marzo 2015

patate riso e cozze.



Latin Lover
id., 2015, Italia, 114 minuti
Regia: Cristina Comencini
Sceneggiatura originale: Giulia Calenda & Cristina Comencini
Cast: Francesco Scianna, Virna Lisi, Marisa Paredes,
Candela Peña, Valeria Bruni Tedeschi, Angela Finocchiaro,
Pihla Vitala, Nadeah Miranda, Neri Marcorè, Claudio Gioé,
Lluís Homar, Toni Bertorelli, Jordi Mollà
Voto: 7/ 10
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Saverio Crispo è stato un attore benedetto su due fronti: quello del cinema dopo il teatro, che l'ha preso e fatto diventare divo – e quello del tempo, che l'ha preso prima della commedia all'italiana degli anni Sessanta e gli ha fatto attraversare tutte le fasi tipiche dell'attore italiano divo (i polizieschi anche politicamente impegnati dei Settanta, i film hollywoodiani dal dubbio gusto, i western, perfino una parentesi nordica bergmaniana). La benedizione è stata anche femminile: latin lover dalla provenienza meridionale, in ogni Paese, in ogni continente ha seminato film ma anche figlie: tutte femmine: tutte da madri diverse. Queste (due ex mogli e cinque figlie) si riuniscono a San Vito dei Normanni, nella mia terrosa Puglia sempre generosa coi fondi cinematografici e coi terreni per gli uliveti, per il decennale dalla morte: una targa commemorativa sulla casa in cui si è spento, giornalisti dalle domande un po' scontatelle, catering, conferenze, un omaggio visivo montato da Neri Marcorè, compagno di una delle figlie, Angela Finocchiaro, figlia di Virna Lisi, prima moglie molto amica della terza, Marisa Paredes, madre di Candela Peña (la più spontanea e incisiva del gruppo), che si chiama Segunda ma è la terzagenita dopo Valeria Bruni Tedeschi (che ricicla l'impacciatezza dei suoi film da regista, il Cammello in primis), anche attrice ereditiera del mestiere paterno ma con molta più ansia di vivere e con molta meno fortuna, al contrario dell'altra attrice sorellastra astro nascente giovane Pihla Vitala, la più piccola finché non arriva la figlia della «puttana americana» Nadeah Miranda, dall'aspetto e dall'accento persiano ma spacciata per una Shelley che fa musica elettronica. Le donne sono tutte qua: tutte riunite in stanze da letto, salotti, vie di paese a confrontarsi su quell'uomo ricordando le estati passate insieme nascondendo un segreto che Lluís Homar (prestato dal cinema di Almodóvar insieme alla Paredes e Jordi Mollà) è venuto a cercare di svelare. Il latin lover Francesco Scianna (ancora una volta costretto in un ruolo antico, «sarà per i capelli cotonati» dice lui, dalla faccia però inevitabilmente siciliana di Baarìa) lo vediamo solo attraverso fotografie, attraverso video e spezzoni di film: ricalca soprattutto la figura di Marcello Mastroianni di cui interpreta Divorzio All'italiana e l'episodio Mara in Ieri Oggi Domani, tra i tanti, che si concede scherzi cinematografici, fantasie, riflessioni e frecciatine: è, tutto il film, un'allegoria della settima arte, della divinità nel Bel Paese antico, del tempo che scorre e del lascito generazionale, della sovrapposizione di ere; è, tutto il film, la riscrittura dell'esperienza di Cristina Comencini, che si vede bene ha impostazione soprattutto teatrale, che assume la figlia per scrivere un film sull'essere figlia d'arte (lei, figlia di quel Luigi) e sorella fra le sorelle (ne ha altre tre). Con la tensione verso un pretesto, un segretuccio da svelare e un colpetto di scena che ribalta “l'importanza” di due personaggi, i dialoghi si susseguono in scenette compartecipate (non esistono figure più protagoniste) sempre a base di sarcasmo, ironia, divertimento anche dei personaggi, ben orchestrate pure musicalmente. Raggiungimento di una maturità (dopo il “campione di incassi” e inspiegabilmente candidato all'Oscar La Bestia Nel Cuore, sofferente quasi quanto il sofferto Quando La Notte, fischiatissimo a Venezia) che era stata accennata, in questa coralità di donne, di donne mamme e di donne figlie chiuse in casa, nello script prima per il palco e poi per lo schermo di Due Partite, svincolato però dall'unità di luogo (non tanto di tempo) e più arioso, bisognoso di spazi aperti dove mostrarsi e anfratti dove confabulare, dove buttare frecciatine sul cinema contemporaneo quali «eppure i film francesi di successo in Italia arrivano tutti», dette da chi il cinema lo fa e lo vede, detto da quella Virna Lisi che fa commuovere, cui è dedicata la pellicola. Poi, la sorpresa non stonata, la conclusione onirica musicale à la Mine Vaganti, forse ispirata dal nord del Salento, forse capriccio per coprire l'unico genere rimasto fuori.

sabato 11 maggio 2013

l'anima gemella.



Mi Rifaccio Vivo
id., 2013, Italia, 105 minuti
Regia: Sergio Rubini
Sceneggiatura originale: Sergio Rubini,
Carla Cavalluzzi, Umberto Marino
Cast: Emilio Solfrizzi, Neri Marcorè, Pasquale Petrolo, Vanessa Incontrada,
Margherita Buy, Sergio Rubini, Gianmarco Tognazzi, Valentina Cervi
Voto: 5.2/ 10
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Comincia la Festa del Cinema che non è quella di Roma ma quella di tutta Italia per cui al cinema si va con € 3 se non si scivola nel 3D (che costa 5) per ventisei film (qui l'elenco) inclusa la nuova uscita di Sergio Rubini, il – ed esagero considerevolmente – Tornatore della mia Puglia, colui che non riesce a staccarsi dalla propria terra e che, al contrario di Tornatore, quando si stacca fa cilecca. Come questo Mi Rifaccio Vivo, tremendo titolo dal doppio senso non così difficile da cogliere, soprattutto se si è già visto L'anima Gemella – con cui questo film condivide il tema dello scambio d'identità ma assolutamente non il potere della terra, del caldo truce e trucido, e la Valentina Cervi che abbiamo prestato all'America di True Blood e che ci siamo ripresi. Dunque, si comincia con una lettera d'addio alla moglie, un posacenere pieno di sigarette fumate, un paio di scarpe lasciate sul molo, un sasso legato alla corda legata al collo e un tentativo di suicidio, ma: prima del lancio volontario si mette di mezzo un chiodo che spingerà Biagio prima nell'acqua e poi nel taxi che va verso l'albergo-copia della solita scena di 8 e 1/2 a cui si rifaceva anche il tremendo Il Volto Di Un'altra. A guidare c'è Enzo Iacchetti, uno dei tanti personaggi che picchiettano la pellicola, ma nessuno eguaglia il regista & sceneggiatore & interprete Sergio Rubini che, nei panni prima di un barbone e poi di un portinaio, aiuterà il defunto Biagio a non finire, così come il regolamento vuole, ai piani bassi (che in 8 e 1/2 erano alti), convincendo Karl Marx a dargli una seconda possibilità della durata di una settimana sul mondo dei vivi: dal suo comportamento se ne dedurrà l'esito. E il contento Biagio può anche scegliere in che corpo infilarsi, e sceglie: non quello della nemesi di tutta una vita, un Neri Marcorè sempre bravo che prende qui il nome improbabile di Ottone, ma del Dennis super-ricco che Ottone ha come amico. Sulla terra ritroverà le mogli Margherita Buy – ancora nevrastenica e cornuta come qualsiasi altro ruolo della carriera – e Vanessa Incontrada – rassegnata e quasi insipida – insieme alla matta segretaria-amante, la Cervi di cui prima. In tutto questo, l'idea migliore è la presenza di Marx nell'aldilà, e forse la struttura del trapasso. Potrebbe anche essere piacevole il fatto che i riflessi nello specchio rivelano ai vivi la doppia natura di Dennis/ Biagio, ma il fatto che le due figure si scolleghino e parlino separatamente rende la trovata peggiore delle peggiori gag di Woody Allen a cui ogni tanto il film sembra guardare. Emilio Solfrizzi, poi, che credo di non aver mai visto al cinema, ricalca movenze e gesti di Pasquale Petrolo che nella commedia degli equivoci e del denaro si confondono insieme a tante altre cose: le donne, tutte pazze sessuomani; gli uomini, tutti arrivisti truffatori. Fino a Gianmarco Tognazzi, il cameo migliore.
In conclusione, il film è una sciocchezza che non fa ridere quasi mai, totalmente privo di morale – o meglio, che una morale ce l'ha, ed è meglio che non ce l'avesse tanto è banale. Tra il cast e le scenette sciape, pare di essere di fronte a una puntata de I Cesaroni o che ne so, allungata per il cinema e proposta a Natale. Ma io non ho mai visto né I Cesaroni né i film di Natale per cui potrei anche sbagliarmi. Fatto sta che a metà film mi sono bellamente addormentato e ho pensato: mannaggia a Sergio Rubini; ma grazie a Dio è costato solo tre euro.

giovedì 18 ottobre 2012

la Svizzera tedesca.



Il Comandante E La Cicogna
id., 2012, Italia, 108 minuti
Regia: Silvio Soldini
Sceneggiatura originale: Doriana Leondeff, Marco Pettenello, Silvio Soldini
Cast: Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston,
Claudia Gerini, Luca Zingaretti, Maria Paiato, Michele Maganza
Voto: 7.2/ 10
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Film a episodi misti e mischiati, pasticcio di generi e di trovate, la “nuova commedia di Silvio Soldini” promette benissimo dal trailer e ancora meglio dal titolo (dopo Pane E Tulipani, Agata E La Tempesta, Giorni E Nuvole, gli piacciono le coppie insomma). Promette bene, poi, per il cast, che è il solito (Battiston è in tutti i suoi film, la Rohrwacher negli ultimi tre) e che sappiamo essere sempre ben diretto e magistrale. Ma poi il film comincia, mentre Garibaldi in groppa al suo cavallo guarda tutta la piazza dall'alto e ciò che la abita, le liti tra le parcheggiatrici, gli incendi dolosi dei liceali, i furti ai parchimetri, e fuori campo si mette pure a parlare (con la voce subito riconoscibile di Pierfrancesco Favino) e no, la cosa non ci piace. Non ci piace nemmeno che poco dopo Garibaldi si metta a parlare, sempre statua e sempre a bocca cucita, con il cavalier Cazzaniga poco lontano da lui, fatto di un altro materiale, adagiato su un altro marciapiedi. I battibecchi, simpatici se li si prende con la satira dell'Italia di oggi e soprattutto se non si è della Lega, fanno una parentesi a sé stante che ogni tanto viene riaperta e richiusa, mentre a Torino cala la notte e l'unico che rimane sveglio è Leopardi, pure lui parlante, o Leonardo (entrambi doppiati da Neri Marcorè), dato che i busti li fanno con gli occhi aperti.
Nel mentre, anche Alba Rohrwacher, col nome simbolico di Diana, si guarda intorno. Si guarda come può fare solo un'artista, una disegnatrice, e come le artiste non arriva a fine mese e non si decide a partire per Berlino o Barcellona come tutti i suoi amici. Vede passare un furgoncino di idraulici e poi vede il suo proprietario di casa con cui è sempre in debito, senza sapere che tutte le loro strade si incroceranno. L'idraulico, Valerio Mastandrea, arranca pure lui tirando avanti una casa gravata da mutuo, una figlia porno-diva involontaria, un figlio ambientalisticamente nerd, una moglie morta che alle quattro di notte torna ad annusare il caffè miscela indiana Coop. Il proprietario di casa, Giuseppe Battiston, cita grandi nomi del passato e impara lingue per frasi fatte e dorme su cassetti impilati e sotto radio pendenti e ruba (sempre alla Coop) per dare a se stesso.
La commedia procede ad alti e bassi e bassissimi e più procede più migliora e sorprende (fatta eccezione per le solite dissolvenze a cerchio nero che non si possono vedere più e gli effetti speciali soprattutto nella corsa in bici in mezzo al traffico). Sono un po' patetici e ritriti i personaggi di Luca Zingaretti avvocato dei malavitosi e Maria Paiato segretaria lecchina mentre sono originalissimi e ben riusciti quelli dei protagonisti, e su tutti la Rohrwacher dà una delle migliori interpretazioni della carriera. Di contorno ci sono anche Giselda Volodi, appena vista in È Stato Il Figlio, che ha due battute contate ma le dice benissimo, e poi tale Shi Yang, cinese con nome italiano (geniale abbreviazione) che parla fluentemente dialetto. Altro aspetto interessante del film: il melting pot sociale e giustificato - Claudia Gerini è irrealmente genovese e ha sposato un realistico napoletano da cui si presentano due genitori sardi disperati...
Poi, mentre continuano gli alti e i bassi (bella la storia dei morti che fanno sciopero eccetera, meno bella la scappatella in Svizzera), si giunge a una pessima scena finale che però viene subito ripresa da splendidi titoli di coda.
Un film da vedere alla domenica pomeriggio, se ci si è abbuffati a pranzo.