martedì 1 gennaio 2013

l'atlante delle nuvole.



Cloud Atlas
id., 2012, Germania/ USA/ Hong Kong, 172 minuti
Regia: Tom Tykwer, Andy Wachowski e Lana Wachowski
Sceneggiatura non originale: Tom Tykwer, Andy e Lana Wachowski
Basata sul romanzo Cloud Atlas di David Mitchell (Frassinelli)
Cast: Tom Hanks, Halle Berry, Jim Broadent, Hugo Weaving,
Jim Strugess, Ben Wishaw, Doona Bae, Xun Zhou, James D'Arcy
Keith David, David Gyasi, Susan Sarandon, Hugh Grant
Voto: 7.5/ 10
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Che titolo straordinariamente meraviglioso, che meravigliosa immagine: cosè, l'oceano, se non l'atlante delle nuvole che riflette con la luce?
E, l'oceano, non è ciò che lega noi tutti dovunque siamo e in qualsiasi momento ci troviamo?, e le nuvole non fanno altrettanto?
Meno potente è il sottotitolo: “everything is connected” (lo dico all'inglese) rende immediatamente pretenzioso – aggettivo che hanno usato in molti – il film che si cela dietro la locandina, e soprattutto riporta alla mente una pellicola che, seppur di tema decisamente più attuale e realistico, faceva vedere come sul serio everything is connected tra i pozzi petroliferi dell'Iran e gli studi televisivi svizzeri e le case dei dipendenti CIA. Quel film era Syriana e, forse per colpa del sottotiolo, ritorna un po' in mente mentre scorrono le immagini di uno degli episodi di cui è composto questo, quello ambientato negli anni '70, quando Halle Berry cerca di scoprire motivi e modi di disattivazione di un reattore nucleare che potrebbe farci saltare tutti in aria. Ma questo non fa il film; gli episodi sono sei, e non sono staccati ma vengono mostrati a incastro (trovata che salva la pellicola intera): in ordine temporale sono nell'Oceano Pacifico coloniale del 1849, dentro e fuori da una barca in cui un nero salverà lo stomaco a un bianco che si ribellerà al suo mandante; nella Scozia del '36, patria di musicisti e poveracci, dove un noto e attempato compositore “assume” un giovane (MyMovies ci tiene a precisare: «bisessuale», come se lo dicessimo anche di Shakespeare) romantico e sognatore affinché metta su carta e su piano le melodie che gli entrano in testa di notte; a San Francisco, nel '73, una giornalista in erba figlia di giornalista in tomba, resta chiusa in ascensore con l'amante del compositore di cui prima e tenterà di bloccare l'esplosione del reattore di cui prima ancora; 2144, in una metropoli dell'estremo Oriente, una sorta di fast-food cibernetico, il Papa Song, conta centinaia di commesse geneticamente identiche che rispettano le regole di contratto e servono i clienti volgari, si fanno palpare, dormono senza fiatare e ingurgitano sapone per campare; una si ribella e viene fatta fuori e la sua amica, iniziata alla ribellione, viene studiata perché il ribellarsi non era inserito nel pacchetto originale di cui sono composte, e diventerà una sorta di figura simbolo di un movimento, una sorta di Aung San Suu Kyi tutta pace e filosofia di vita, che appunto verrà considerata divinità per i posteri, e cioè: 2321, dopo “la caduta” non si sa di cosa il mondo è tornato alla vita bucolica di Virgilio tra i monti e le capanne con qualche tatuaggio in testa in più; Tom Hanks vede e sente il diavolo, ma non come ne Il Maestro E Margherita, perché questo diavolo lo minaccia di cose che poi non fa, e contro il demonio ha la meglio la bella e bianca (di vestiti) Halle Berry di cui ancor prima, perché qua gli attori sono dieci e con trucco e parrucco e vestiti ora da donna ora da uomo sono sempre loro a interpretare tutti i ruoli ora in costumi di pizzi inglesi ora para-scientifici. E se, in linea di massima, i due più presenti attori (i premi Oscar Berry e Hanks) si rintracciano sempre, già facciamo fatica, per esempio, con Hugo Weaving che diventa prima Spock e poi la signorina Trinciabue, o con Hugh Grant, o con Ben Whishaw.
Quest'ultimo, il John Keats di Bright Star, torna a lavorare con Tom Tykwer dopo l'esordio ne Il Profumo e assiste, di nuovo, a un finanziamento tedesco per girare un film in inglese. Con la differenza che questo è il finanziamento tedesco: il più corposo di tutti i tempi, il più costoso film indipendente che sia mai stato girato, perché la Germania in Tykwer ci crede (Süskind non aveva mai accettato che si girasse un film dal suo libro più famoso) e poi perché mentre questo stava adattando per lo schermo il romanzo di David Mitchell (edito in Italia da Frassinelli e appena ristampato) i fratelli Wachoski, quelli di Matrix per chi non lo sapesse, si sono inseriti nel progetto e hanno scritto tre dei sei episodi; questi tre, li hanno girati con propria troupe e proprie regie distintamente da Tykwer, e mentre il mondo non ne aveva notizie, in tre mesi hanno finito. Le sei mani, però, si vedono: i segmenti “del futuro” sono tutti inseguimenti e sparatorie che contrastano con la telecamera a spalla delle scene in costume; dove si alza la tensione per la scoperta dei cloni e per l'attentato in aereo, Tykwer risponde con scene-cardine totalmente ingiustificate, irreali, al limite del ridicolo (le botte nel bar scozzese). E se lui si fa tutto romantico con voci fuori campo che parlano di amore lontano e annaspamenti per campare, i fratelli cibernetici ricreano città, gerarchie, sale di sacrificio, sistemi di visualizzazione – al solito.
Il patchwork è tenuto però magistralmente in piedi dal montaggio (non dal montatore). La scena dell'acqua dimostra tutto, e dunque l'attenzione dello spettatore è alta per tutte le quasi tre ore del film che scorrono per scene ora brevissime ora più descrittive. Ma, eccetto qualche collegamento palese, everything is not connected: le voglie a forma di stella cometa?, la fuga dall'ospizio?, tutto scorre scorre e in certi momenti sembra non andare da nessuna parte.
Ci era stato promesso come una perla per gli occhi (da questa immagine uscita in anteprima), poi come una perla per il cervello (da quest'altra), poi la stampa americana l'ha bocciato salvando trucco, scene, effetti e la magistrale colonna sonora (candidata al Golden Globe) e abbiamo pensato che sarebbe stato pura merce da botteghino; invece, ha fallito anche là.

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