sabato 29 dicembre 2012

storia di fulmini e di temporali.



Frankenweenie
id., 2012, USA, 80 minuti
Regia: Tim Burton
Sceneggiatura non originale: John August
Basata su Vincent e Frankenweenie di Tim Burton, scritti da Leonard Ripps
Voci originali: Charlie Tahan, Catherine O'Hara, Martin Short,
Winona Ryder, Martin Landau, Robert Capron, Conchata Ferrell
Voto: 7.2/ 10
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Appena arriva il minimo successo ecco che il regista già abbastanza famoso inizia a diventare uno sforna-prodotto, ché non si chiama più nemmeno autore, proprio regista: riceve una sceneggiatura, e la mette in piedi, qualcuno gli propone una cosa, e lui la fa. E dopo che gli stavano andando già bene le cose, prima La Fabbrica Di Cioccolato e poi Alice In Wonderland hanno fatto diventare Tim Burton uno-di-quelli che sfornano un film all'anno (leggi: Woody Allen), addirittura quest'anno ne ha sfornati due (leggi: Clint Eastwood). E la vecchia fantasia l'ha lasciata alle ortiche: il primo film, era una specie di remake di una serie anni '70, questo è l'allungamento di un suo corto degli '80.
A (ri)scrivere la storia ha(nno) chiamato il compagno degli ultimi tempi, il John August già autore di Dark Shadows, La Sposa Cadavere, Big Fish (ma anche i due Charlie's Angels). La produzione è quella degli ultimi tempi, la Disney. L'ambientazione, la solita, di tutti i tempi: personaggi creepy con la faccia triangolare e molta matita intorno agli occhi e qualche dente di fuori e la gobba. Il meno patchwork, si chiama di cognome Frankenstein. Victor, di nome. Asociale, emarginato, sempre chiuso in soffitta a smanettare con il tostapane della madre, col frullatore, con le prese della corrente, con il mixer, il frullino, il fornetto. Il padre lo vorrebbe giocatore di baseball. I compagni lo vorrebbero in gruppo solo per la mostra dei progetti di scienze, perché ha la vittoria assicurata. Non vi ricorda, largamente, niente, questo protagonista pre-adolescente in clima goth?
L'errore di questo film in bianco e nero (con una fotografia immensa) è che esce dopo uno a colori (e che colori!), ParaNorman, una vittoria che pensavamo fosse certa dappertutto e su ogni cosa, prima di vedere Ralph e prima che Le 5 Leggende fosse stabile in classifica americana tra i cinque film più visti del mese. Come quello della Laika, il film della Disney fa affidamento a un climax cittadino che là sfociava in una festa semi-patronale e qua in una fiera semi-scolastica che si tiene l'ultima parte del film; là c'era una strega, qua una serie di creature tornate in modo elettrifico dal mondo dei morti (scimmie di mare, gatto-strelli, tartarughe giganti) e in entrambi i casi il protagonista, reietto sociale, si circonda di persone che prima se lo filavano appena e tutti insieme appassionatamente sconfiggono il male, fino a raggiungere l'approvazione della città. Il tema del film, in realtà, e cioè ciò che viene “rubato” ai due corti precedenti, Vincent (che è all'interno di Cinema 16) e l'omonimo Frankenweenie, è la storia di una separazione non accettata per cui si riporta in vita dal mondo dei morti il cagnetto domestico. E questa è la parte migliore: il (seppur silenzioso, e breve) saluto a tutti quei film anni '20 che giocavano sul ruolo e la figura del pazzo da laboratorio circondato da pozioni e intrugli e soprattutto saette luminose e rivoli di elettricità, che era già stato salutato un lustro fa da Almodóvar. Ma l'immenso repertorio lasciatoci da Mary Shelley non viene nemmeno preso in considerazione, e si ritorna sulle solite figure e i soliti puppet che nelle versioni disegnate quasi ci piacciono di più.
Il dettaglio più simpatico, in questo primo grande cartone animato della storia in cui non c'è neanche una battuta, in cui non si sorride mai: che al cinema del paese stanno proiettando Bambi.

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