giovedì 22 maggio 2014
on the metro.
Prossima Fermata: Fruitvale Station
Fruitvale Station, 2013, USA, 85 minuti
Regia: Ryan Coogler
Sceneggiatura originale: Ryan Coogler
Cast: Michael B. Jordan, Melonie Diaz, Octavia Spencer,
Kevin Durand, Chad Michael Murray, Ahna O'Reilly, Ariana Neal
Voto: 8.6/ 10
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Avrebbe dovuto essere il film-indipendente-dell'anno, inserito nella classifica dell'AFI e vincitore di altri trenta premi (Avenir Prize all'Un Certain Regard, due Gotham, un Indipendent Spirit, un Satellite, Premio del Pubblico al Sundance) come fu per Le Terre Selvagge l'anno scorso, ingiustamente glorificato di fianco a questo che di Oscar ha solo il nome del protagonista, un Michael B. Jordan ai margini di Chronicle e nel prossimo That Awkward Moment totalmente inserito nel ruolo, ben scritto, da farci credere per tutto il tempo che quello sia lui, quella sia la sua vita: mai ci passa per la testa che siamo davanti a un film; la telecamera segue il protagonista assoluto a livello quasi documentaristico, includendo gli aspetti anche apparentemente inutili, tipo l'acquisto dei gamberi al supermercato, che però nascondono belle trovate di sceneggiatura: evidenziare la generosità perenne di questo ragazzo (22 anni, già in carcere in passato) anche verso gli sconosciuti e farci sapere, al contrario della compagna che ne è all'oscuro, che ha perso il lavoro a causa di troppi ritardi e lo rivorrebbe. Un protagonista però forse un po' troppo santificato: ex spacciatore d'erba redento, che arriva a regalare un'oncia di fumo senza trarne soldi né sballo, una figlia piccola che adora e che lo adora, una ragazza tradita a cui ora è devoto, una madre per cui pretende il meglio. Il giorno in cui lo conosciamo (e lo perdiamo) è il 31 dicembre del 2009. I cellulari non sono ancora smart ma onnipresenti, e Ryan Coogler, tra i tanti meriti da regista e sceneggiatore esordiente inserisce anche la bella trovata, bella e ben fatta, del display del cellulare su cui vediamo scorrere rubrica e lampeggiare chiamate senza stacchi di telecamera: molti pianisequenza che a noi son sempre piaciuti in modo da calarci ancora di più nella situazione. Tutto è incredibilmente immersivo: la precarietà a casa, economica e lavorativa, i preparativi per Capodanno, la cena nei piatti di plastica e la periferia americana. Sotto suggerimento di Octavia Spencer, che di Oscar è madre oltre che detentrice (per The Help), prenderà la metro, insieme alla sua combriccola nera e alla fidanzata latina: per eccessiva lentezza si ritroveranno a fare il conto alla rovescia nel vagone circondati da sconosciuti tutti amici in occasioni tipo questa, più un volto noto: nasce e si consuma una piccola rissa, per la quale interverrà la polizia una volta giunti alla stazione vicina: Fruitvale. Episodio realmente accaduto e romanzato (ma il materiale di repertorio è pochissimo, non si può non pensare a lavori tipo Diaz) a raccontare la vita di un ragazzino giù uomo, con tanta di quella esperienza che alcuni trentenni se la sognano, martire della società per la condizione pubblica e razziale, approcciata senza (troppo) pathos ma con il giusto coinvolgimento. I volti straziati finali sono straziati la metà di quanto potrebbero (che occasione sprecata per Melonie Diaz, che poteva essere l'unica non-protagonista di questa pellicola), ma è giusto così all'interno di un ghetto reso duro dagli eventi, ai quali si aggiunge questo: una morte che non ha quasi trovato giustizia né riscatto, per quanto si può riscattare – un episodio dimenticato (non dalla comunità nera) e riportato in auge in un gran bel modo: un film diviso a metà, la prima parte classicheggiante, la seconda di estrema tensione. Come tutte le cose belle, è stato in sala sei giorni, in tre città.
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