venerdì 3 aprile 2015

il delitto perfetto.



Second Chance
En Chance Til, 2014, Danimarca, 102 minuti
Regia: Susanne Bier
Sceneggiatura originale: Anders Thomas Jensen
Cast: Nokolaj Coster-Waldau, Ulrich Thomsen, Maria Bonnevie,
Nikolaj Lie Kaas, Peter Haber, Thomas Bo Larsen,
May Andersen, Molly Blixt Egelind, Ole Dupont
Voto: 5/ 10
_______________

C'era una volta Susanne Bier: regista donna – cosa rara, regista europea, che ottiene presto l'attenzione nazionale e internazionale: candidata all'Oscar per il miglior film straniero due volte, vincitrice con la seconda, espatriata in USA dove una sua pellicola, Non Desiderare La Donna D'altri fu anche riscritta e reinterpretata per il mercato americano, col titolo Brothers; qualche festival, e negli ultimi anni una commedia romantica, un mélo e un thriller – solo l'ultimo girato nella natìa terra, e si vede. Si vede meno, però, che tornare a casa le fa bene: il disastro cominciato fuori dal confine ha portato un capitombolo dopo l'altro: già era dubbia la qualità di In Un Mondo Migliore, l'Oscar di cui prima, che però riscontrò un successo internazionale che non poteva essere ignorato dall'Academy; dubbio era l'applauso fragoroso a Venezia dopo Love Is All You Need, una commediola d'ambientazione italica tanto banale quanto insipida, con dentro addirittura Pirce Brosnan. La direzione di attori hollywoodiani iniziata con Noi Due Sconosciuti prosegue con Serena aka Una Folle Passione: i due interpreti del momento in una soap-opera al limitar del bosco con preannuncio di catastrofe – e adesso Second Chance: la seconda possibilità che si dà in Danimarca, nonostante in questo vagabondare non si sia mai staccata dal suo sceneggiatore feticcio: Anders Thomas Jensen. A ventiquattro anni già autore di cortometraggi (uno dei quali, Valgaften, ancora Premio Oscar – e lui di anni ne aveva ventisette), prolifico scrittore, ha firmato tra gli altri La Duchessa, dirigendo Le Mele Di Adamo che gli ha ampliato la fama. I temi di lui e la mano di lei non sono poi tanto diversi dal solito; il problema sta tutt'intorno. Il commissario (Rex) Andreas fa irruzione in una casa popolare sudicia e malvissuta da un ex detenuto e dalla sua compagna, lividi e pesti, sotto stupefacenti, scoprendo un bambino di poche settimane ricoperto di feci in un armadio; cerca di togliere la custodia del pupo ai due genitori non-modello ma date le sane condizioni di salute del pargolo la richiesta è respinta. Mosso a compassione da ciò che ha visto, corre a casa, dove la moglie apparentemente senza lavoro né ruolo nella vita né amici (come lui), tinteggia la futura camera del loro figlioletto, pure neonato, Alexander, che ogni santa notte strilla e pretende di essere portato fuori a passeggiare. Fino alla notte in cui non strilla più: decretato morto, Andreas lo prende e, obbligato dalla donna a non chiamare ambulanze e polizie, lo sostituisce indisturbato in casa dei tossici al bimbetto lercio ma vivo, mentre i due beoti (beati?) dormono, scenetta da cartoon che non sarebbe stato impossibile portare su schermo ma che rasenta il ridicolo. La mattina dopo, i piagnistei infantili nella cucina illuminano la moglie di Andreas, a cui subito lui rivela la verità: e sarà una luce evanescente. Il tema della paternità a tutti i costi – della paternità obbligata e/ o involontaria, erano già di Dopo Il Matrimonio, ma le relazioni genitori/ figli ma anche genitori/ genitori sono il marchio di fabbrica dei prodotti Bier-Jensen. Questa volta però, oltre al trattamento delle immagini (glaciali, asettiche) che rasenta il distretto di polizia televisivo, si avverte una fretta, una superficialità nella messa in scena a partire dai cliché delle poche ambientazioni che vediamo: l'appartamento Trainspotting dei drogati col pargolo merdoso e la sterminata villetta sul mare dei ricchi, da copertina di Living. Peccato: perché il plot sarebbe anche estremamente interessante e di estrema analisi psicologica: «il delitto perfetto» dice lei, chiedendosi se tenere o meno un figlio che, nell'altra famiglia, si sente come mancante; eppure invece di Hitchcock (per una volta non citato grazie a Dio) ciò che sembra affiorare è Shakespeare, in una consumazione di sensi di colpa, rimorsi e notti insonni. L'inquadratura agli alberi, alle nuvole, al volo degli uccelli che si sommano nel sottofinale chiudono un thriller dai molti colpi di scena che lo spettatore attento sa come andrà a finire ma che la regista non sa come dirigere: cerca di evitare il solito montaggio isterico per la prima metà, le solite minuziose inquadrature ai dettagli anatomici di mani sguardi micro-movimenti ma poi, dopo metà film, ci ricasca come faceva un tempo – cominciando a sforzarsi di non far sobbalzare, come un tempo, la solita telecamera mobile. Ci si chiede dunque a questo punto dove sarà ambientato – e dove sarà girato – il prossimo, visto che questo film ce lo siamo già scordato.

Nessun commento:

Posta un commento