giovedì 16 aprile 2015

l'oro.



Black Sea
id., 2014, UK/ USA/ Russia, 114 minuti
Regia: Kevin Macdonald
Sceneggiatura originale: Dennis Kelly
Cast: Jude Law, Scoot McNairy, Ben Mendelsohn,
Tobias Menzies, Jodie Whittaker, Grigoriy Dobrygin,
Michael Smiley, Karl Davies, Konstantin Khabenskiy
Voto: 6.8/ 10
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(Molto) stempiato e con accento fortemente dell'Est, Jude Law è per la prima volta un uomo licenziato dalla compagnia dove ha lavorato per lustri (non più bisognosa di un uomo che guidi un sottomarino, né di un sottomarino), con una moglie scappata verso un marito più abbiente, un figlio che non vede se non in appostamenti fuori da scuola – senza buon'uscita, senza apparente brio nel futuro (e per quello che vediamo noi dalla sala del cinema, pure senza casa). Ha un paio di amici, li incontra in un bar – dove solitamente stanno tutti quelli che non hanno lavoro, casa ecc. – quattro e quattr'otto, uno propone agli altri: di trovare un magnate che li finanzi, mettere in piedi un sottomarino, raggiungere quel confine georgiano dove dovrebbe essere affondato il sommergibile che trasportava oro dalla Germania di Hitler alla Russia di Stalin dopo un prestito, una rottura di alleanza e una Guerra. Di quell'oro: il magnate prenderà il 40%, la ciurma il resto, in parti uguali. Per ormeggiare un sottomarino servono nove persone, ma Jude ne recluta di più: un po' inglesi un po' russe (per necessità: il relitto arenato è in quella lingua), e un diciottenne apparentemente vergine che quindi, superstiziosamente, porterà sfortuna alla missione. Tutto questo succede, nel primo quarto d'ora appena: in fretta e furia lo sceneggiatore Dennis Kelly, autore televisivo della bislacca serie Utopia e in fase di adattamento del musical Matilda (sì, quella Matilda), vuole chiudere in questo ferro malandato i migliori mozzi e sommozzatori per assistere alle solite dinamiche del gruppo di lavoro che necessita la presenza dell'altro per non perire ma che, se l'altro perisse, guadagnerebbe una percentuale maggiore dell'incasso. Alla bramosia di lingotti si aggiunge che, i migliori sommozzatori e mozzi russi e inglesi, sono anche teppistelli licenziati e/o allontanati dai propri posti di lavoro. Dieci Piccoli Indiani incontra Gravity, forse anche La Fattoria Degli Animali e, per ambientazione e sfiga, All Is Lost. Un incidente dopo l'altro, una serie di morti, e il cieco percorso verso quelle tonnellate d'oro, non importa a costo di cosa. A questo punto: in qualsiasi modo dovesse finire il film, pensiamo, saremmo scontenti: e invece nell'ardua impresa riesce a sorprenderci. Per arrivarci però ci tocca sopportare una scena di tensione dopo l'altra, manna per i film di due ore, e con una fotografia marina sopraffina; ma non siamo ai livelli di Gravity di cui prima, né di All Is Lost: per innovazione, sicuramente; per dipanamento delle vicende. Nonostante ciò, chapeau al regista Kevin Macdonald, passato alla storia per aver diretto L'ultimo Re Di Scozia, pellicola agli antipodi di questa, ma celeberrimo e navigato documentarista, premio Oscar per Touching The Void (ma sono suoi anche i più recenti Marley, Life In A Day che ha ispirato il nostro Salvatores e Il Nemico Del Mio Nemico) Si cimenta col film-sul-sottomarino abbandonando i territori del puro dramma e ampliando i confini del thriller sfociando nell'avventura da polverizzare in breve tempo – tratto tipico delle serie TV – trattando la sceneggiatura come se fosse di Indiana Jones o Captain Phillips. Buona ricostruzione dell'interno, ma soprattutto dell'esterno dello scafo, di quel Mar Nero da cui il titolo, e delle dinamiche fra il dentro e il fuori che non conducono lo spettatore alla claustrofobia – ma il personaggio sì. Il problema di tutto questo è alla radice: l'annoso problema del già-visto a cui si poteva porre rimedio solo con una telecamera coraggiosa.

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