venerdì 22 febbraio 2013

la sopravvalutata penetrazione.



The Sessions - Gli Incontri
The Sessions, 2012, USA, 95 minuti
Regia: Ben Lewin
Sceneggiatura non originale: Ben Lewin
Basata sull'articolo On Seeing A Sex Surrogate di Mark O'Brien
Cast: John Hawkes, Helen Hunt, William H. Macy,
Moon Bloodgood, Annika Marks, Adam Arkin, Rhea Perlman
Voto: 7/ 10
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Candidato a un Premio Oscar:
attrice non protagonista
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«Aveva un uccello così grosso che credevo non entrasse».
«Perché lo chiami uccello e non pene?».
«Perché pene sembra il nome di un vegetale che ti fa schifo mangiare».
Un dialogo come questo, nonostante viviamo nella società in cui viviamo, fa ancora roteare gli occhi delle dame composte e saltare l'ormone dei fanciulli in fiore (e drizzare la dote di certi vecchini che al cinema alle tre vanno non per il film). Però un dialogo come questo, insieme ai nudi integrali di Helen Hunt che arriva agli Oscar per la seconda volta dopo aver vinto quello del 1998 di Qualcosa È Cambiato, in questo film fatto di scene tristi e poesie d'amore, c'è, e non per poco. Ed è il merito della pellicola: mantenere un decoro senza scadere mai né nella volgarità né nel grottesco dato il tema base, e quello di contorno: storia vera del poeta e giornalista Mark O'Brien, quasi-del-tutto paralizzato dal collo in giù per colpa di una poliomelite maturata dall'età di 7 anni – dopo una badante un pelo violenta e molto scontrosa decide di pubblicare l'annuncio per una giovanotta che sia anche interessata alla scrittura, e di questa prima fanciulla il buon Mark, in grado di muovere solo la testa sulla sua lettiga e confinato per i due terzi del giorno in una gabbia di ferro che lo fa respirare, si innamora perdutamente. Lei, turbata, come tutte le donne turbate in amore (...), scapperà. Le succederà la cino-americana Vera, autrice della frase di cui sopra, interpretata dalla Moon Bloodgood di Terminator, con la quale Mark deciderà di avviare una terapia sessuale mediata da un'esperta del campo (Helen Hunt), che di mestiere fa questo: iniziare (o far continuare) i disabili al sesso, in massimo sei sedute distribuite per tappe, molto diversamente da quanto farebbe una prostituta, che «è interessata a rendere il cliente fisso». Si inserisce nella vicenda anche il prete della parrocchia di quartiere, un poco credibile William H. Macy dai lunghi capelli e dalla birra in mano (e sigaretta in bocca), che porta lo humor del film che quindi tocca tutti i temi più scomodi del mondo: il sesso, la disabilità, la religione, la morte. Ma nessuna polemica: perché dietro la macchina da presa c'è il melenso e televisivo Ben Lewin, australiano, disabile ma solo da stampelle, regista di episodi da Il Tocco Di Un Angelo e Ally McBeal e, per il cinema, Un Pesce Color Rosa e La Misteriosa Morte Di Georgia White (mai sentiti?, neanche io). Lewin parte malissimo: immagini di repertorio del “vero” O'Brien in lettiga che si avvia per l'università mentre un cronista racconta dell'ultima poesia pubblicata e mentre i titoli di testa vanno; poi: voce fuori campo, interno sera con gatto e starnuto trattenuto, dialoghetti alla Dawson's Creek con salti temporali eccessivi. Ma poi s'aggiusta, e le confessioni in chiesa che si mischiano all'episodio narrato (cronologicamente indietro) sono un buon espediente per tenere la suspance. Peccato per il cerchio non chiuso – del receptionist con Vera, sottolineatura delle minoranze etniche che tendono a copulare con individui della propria specie – e per il finale da filmetto TV desideroso di far piangere la casalinga di turno. Ma, nel complesso, un film che batte di gran lunga il molto più composto e pudico Hope Springs e che regala due performance (quelle della Hunt e di Hawkes, che è comparso dal nulla con Un Gelido Inverno e adesso non ce lo perdiamo più) che valgono ogni scena – ma non in italiano.

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