lunedì 6 ottobre 2014

cazzo!, figa!, vaffanculo!



Pasolini
id., 2014, Belgio/ Francia/ Italia, 86 minuti
Regia: Abel Ferrara
Sceneggiatura originale: Maurizio Braucci
Soggetto: Abel Ferrara & Nicola Tranquillino
Cast: Willem Dafoe, Riccardo Scamarcio, Ninetto Davoli,
Valerio Mastandrea, Maria de Medeiros, Giada Colagrande, Luca Lionello
Voto: 6/ 10
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È già impensabile pensare di poter sintetizzare il pensiero o la vita di una personalità così complessa in un paio d'ore; non vengono approfonditi temi importanti come ad esempio il rapporto con la Chiesa, la democrazia cristiana, il comunismo italiano (ma essendo americano come può sentirlo o capirlo a fondo? – è difficile per gli italiani, figuriamoci per uno che viene dal Bronx). C'è soltanto un piccolo accenno iniziale, quando un francese chiede a P. se il sesso è politica e nel frattempo scorrono immagini de Le 120 Giornate Di Sodoma. E grazie. Tanti aspetti essenziali trattati in maniera superficiale e tanto spazio a dettagli o filoni marginali tranquillamente trascurabili. E ancora: quando si parla un po' del suo pensiero durante l'intervista (unico momento in cui lui ha qualcosa da dire effettivamente) non dice molto, chiede al giornalista di dargli tempo per scrivere; se si guardano un po' di interviste [fatte a Pasolini, ndr], di certo non gli manca la parola: sapeva esprimersi molto bene a voce. E poi due ore di scena dell'omicidio, troppo spazio ad un fatto che ancora oggi non è stato chiarito [...] e invece sembra davvero soltanto un intellettuale a cui piaceva andare con i ragazzini e una sera mentre s'imboscava gli è andata male. Così scrive Stefania Magli, una che di Pasolini ne sa sicuramente molto più di me – e se prendo in prestito le sue parole è proprio per questo, perché nel vedere un film del genere si rimane immobili, impotenti, ignoranti davanti a scene che non si sa come giudicare: sono fedeli alla realtà o meno?, al personaggio o alla persona? E poi, questo film-ascesa al paradiso che Pasolini aveva in cantiere, in questa trasposizione di Abel Ferrara, a Pasolini sarebbe piaciuta o no? Adesso, apparte tutto, la pellicola comparsa dal nulla e in concorso a Venezia è parsa un po' girata di fretta, scritta di fretta – e devo dire che questa aspettativa non è stata confermata durante la visione. Un pregio sicuramente ce l'ha: ed è l'essersi calato nel modus del suo protagonista e del suo modo di riprendere, soprattutto i volti, da vicino vicinissimo; le «interviste» a cui la Magli fa riferimento sono un esempio delle inquadrature tipiche che hanno fatto passare l'intellettuale, poeta, politico, narratore, regista, filosofo alla Storia, e il film pare volercele ridare fedelmente: la locandina (orrenda) ne è un esempio. Ma nel momento in cui si deve giudicare non più il prodotto filmico ma il suo intento, ecco che si vacilla. La presenza di Ninetto Davoli parrebbe rendere il tutto credibile: un attore che Pasolini lo conosceva sul serio, con cui ha lavorato per anni. Lo vediamo qui interpretato da Riccardo Scamarcio, che si affida al mutismo perché incapace (per sua stessa ammissione) di imitare il più anziano; Ninetto si ritaglia un grande cameo nel meta-film, un'operazione visionaria, felliniana, e non a caso mi è molto venuto in mente Che Strano Chiamarsi Federico, un tributo di un amico a un genio incontrastato, ahimè venuto male, che qui trova specchio ben più narrativo ma con la stessa punta di nostalgia, di rimembranza. La domanda è: è, Abel Ferrara, così visceralmente legato alla figura di PPP? La risposta non ci è data. Certamente, sempre come la Magli dice, la presa di posizione sul finale, sull'omicidio dell'uomo, che ancora resta senza un colpevole e con un ex carcerato che si dice innocente, pare troppo forte, troppo urlata, come urlata è questa omosessualità, ostentata, che vedeva ben più nascondigli nel quotidiano. Psicologicamente, la figura è scavata poco: la solitudine dell'intellettuale, il rapporto con la madre, l'estro creativo eclettico, che spazia su più strumenti... Willem Dafoe è però una buona fotocopia fisica, somigliante ma non troppo e con addosso lo sforzo del dialogo in italiano. Peccato per le scenografie (e qui si vede la fretta), dove gli anni '70 si perdono completamente, per ritrovarsi sui costumi e qualche capigliatura. Brave anche le comparse. Ma non si riesce ad aggiungere altro che non sia tecnico. Per cui: 6 politico.

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