giovedì 6 dicembre 2012

sei nelle vele delle navi.



Grandi Speranze
Great Expectations, 2012, UK, 128 minuti
Regia: Mike Newell
Sceneggiatura non originale: David Nicholls
Basata sul romanzo Grandi Speranze di Charles Dickens (Rizzoli)
Cast: Jeremy Irvine, Holliday Granger, Helena Bonham Carter,
Ralph Fiennes, Robbie Coltrane, Jason Flemyng, Sally Hawkins
Voto: 7.2/ 10
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Io ho due problemi: i film in costume e Charles Dickens.
Dei film in costume penso che siano uno spreco madornale di denaro per cucire sì dei meravigliosi e minuziosi corpetti ma che tanto, escluse rarissime occasioni, finiscono col far ridere di sé per la quantità di errori storici messi uno dopo l'altro (leggi: Il Gladiatore), che nella migliore delle ipotesi si faranno ricordare proprio solo per i costumi (leggi: Marie Antoinette) o che non si faranno ricordare affatto, perché il libro cui si ispirano ha radici troppo grosse, sebbene gli sforzi (leggi: Profumo).
Di Charls Dickens quello che penso non lo dico, tranne che solo Roman Polanski mi aveva convinto ad andare al cinema a vedere l'ennesima trasposizione di Oliver Twist, facendomi tornare a casa poi non  con tutta questa gioia.
Bene, alla luce di tutto ciò questo Grandi Speranze (che non capisco perché non sia stato tradotto con “grandi aspettative”) non mi aveva portato a sperare assolutamente niente e allora non sono rimasto né deluso né sorpreso, anche se ad un certo punto ho trovato piacevole l'intreccio. Il succo della trama si spreme dopo più di un'ora e tutto quello che viene prima, eccetto la prima scena, è diluito in un modo estremo da portare quasi al sonno. Pip (così si chiama il protagonista) è orfano affidato alla sorella più grande e corre per le paludi inglesi dove è cresciuto e incontra un barbone sudicio e sdentato che facciamo fatica a collegare al buon Ralph Fiennes che lo interpreta; questo gli chiede cibo e lima, lo minaccia di sbranargli le budella, e Pip il giorno dopo ubbidisce con l'ira della tutrice, che deciderà di mandarlo via, in casa di qualcun altro. Passerà per il salotto buio e impolverato di Helena Bonham Carter, visionario, magnifico personaggio di entrambe le vesti della storia: vedova di se stessa, abbandonata dall'uomo che amava nel giorno delle nozze, si lascia consumare dalla stanza addobbata a festa con addosso l'abito da sposa lercio, con la tavola ancora apparecchiata, con le finestre sbarrate per non vedere né farsi vedere dalla luce del sole. Prende in adozione, però, per ricevere e dare amore, una bambina, la chiama Estella e questa diventerà crescendo sempre più bella, e Pip a prima vista se ne innamorerà. Ma pare che Estella, tutta sua madre, non abbia un cuore nel petto ma solo del ghiaccio, e lui le dice: non fa niente, ti amo lo stesso. Ma soffre. Soffre anche se grazie a un'ingente somma di denaro versatagli sul conto adesso è un “gentiluomo”, ricco e scialacquone, con una casa in suo possesso e un circolo di amici detti “fringuelli” tra cui compare il più ricco giovanotto della città.
Tutti questi personaggi, apparentemente legati solo alla figura di Pip, si scoprirà essere legati molto di più...
E Pip assisterà a tutto questo con la solita faccia (notevole) e le solite (notevoli) labbra che stavano a guardare le fughe e i ritorni del puledro Joey di War Horse di Spielberg, sei candidature vuote agli Oscar l'anno scorso ed esordio cinematografico per questo Jeremy Irvine, notevole ventiduenne inglese. La faccia tonda per cui perde la testa, invece, è di una ben più navigata attrice di poco più grande ma che comunque ha la mono-espressione per due ore pure lei: Holliday Grainger, la baronessa dell'imminente Anna Karenina, la Lucrezia della serie I Borgia, la Suzanne di Bel Ami, la Diana di Jane Eyre. Insomma, una che in jeans non la riconosceremmo.
Dietro la macchina da presa c'è l'esperienza del regista di Quattro Matrimoni E Un Funerale, Mona Lisa Smile e, inspiegabilmente, Harry Potter 3 e, ancor più inspiegabilmente, Donnie Brasco, che aveva provato senza successo a trasportare in sala il più celebre romanzo di Márquez e ci riprova - senza successo - adesso.
Il pregio del film, indovinate un po': il trucco e il parrucco e soprattutto i costumi. Di Beatrix Aruna Pasztor, abituata a lavorare con registoni (Gilliam, Allen, Van Sant). Papabile candidatura all'Oscar, come il tremendo scorso Anonymous.

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