lunedì 9 marzo 2015

…e si salvò solo l'Aretino Pietro, con una mano davanti e l'altra dietro.



Già avvicinatisi alla rappresentazione filmica di novelle con Kaos del 1984, messa in scena di quattro Novelle Per Un Anno di Pirandello, quelle che «più a fondo potevano rappresentare l'essere siciliano», i fratelli Paolo e Vittorio Taviani tornano alla grande tradizione letteraria italiana e ai racconti per episodi col Decameron di Boccaccio mostrando, per la prima volta, la condizione fiorentina della peste ma soprattutto riappropriandosi dello scrittore conterraneo, già citato ne I Fuorilegge Del Matrimonio (1963) e dell'ambientazione delle vicende: quarantaquattro anni fa, infatti, Pier Paolo Pasolini dava avvio a quella che sarebbe stata definita la Trilogia Della Vita con un adattamento dell'opera boccaccesca spostata a Napoli, perché, a suo avviso, il fuoco delle vicende ben si sposava con la cultura partenopea, molto più lontana invece da quella toscana. Abbandonando la cornice dell'opera – i dieci ragazzi (cinque femmine e cinque maschi e non, come nell'edizione 2015, sette e tre) segregati nella villa di campagna a raccontare le cento novelle (e non, come nell'edizione 2015, cinque in due settimane) – Pasolini cuce insieme le più corpose vicende, accavallandole spesso, senza apparenti filoni narrativi ma soprattutto senza personaggi in comune; addirittura, una di queste storie, non è rappresentata ma raccontata da un vecchio, in napoletano, alla folla. L'intento di Pasolini era quello di mettere in scena il maggior numero di episodi affinché si avesse un'immagine «completa e oggettiva del Decameron»: alle novelle della Napoli popolare se ne devono aggiungere altre per rappresentare «lo spirito interregionale e internazionale» dell'opera, «una specie di affresco di tutto un mondo, dal Medioevo all'epoca borghese: il film dovrà durare almeno tre ore ed essere diviso in tre tempi, ognuno dei quali rappresenti un'unità tematica». La rigorosissima struttura narrativa si allenta con le varie stesure della sceneggiatura – a differenza del lavoro dei Taviani, rimandato per anni ma fedele a se stesso; viene abbandonato l'atto centrale, incorniciato dal personaggio di Chichibio, e l'eterogeneità delle vicende raccontate risponde involontariamente a un dato comune, rafforzato dal «puro parlare napoletano». Il Giotto del copione diventa su pellicola un allievo, interpretato da Pasolini stesso, che si reca a Napoli per affrescare la Chiesa di Santa Chiara, e nella sua bocca, come ultima battuta, viene dato il nocciolo della trasposizione: «perché realizzare un'opera quando è così bello sognarla soltanto?». Il bizzarro quesito, che andrebbe a disintegrare i 110 minuti precedenti, è in realtà un germe che si infila poi fra le pellicole successive, I Racconti Di Canterbury e Le Mille E Una Notte; per la conclusione della Trilogia, come per l'iniziale Decameron, l'interesse di Pasolini è esaltare i momenti decisivi della vita, spesso caratterizzati dai piaceri, dal sesso, dalla cupidigia, dal dolore ma anche dall'amore. Il sesso è componente fondamentale, non a caso viene spesso sottolineato che il collante delle novelle pasoliniane sia quello erotico, come dei film successivi, e che questa sia una delle primissime pellicole in Italia a mostrare tanti nudi maschili frontali con disinvoltura e temperamento. Ma l'approccio sano e innocente di Boccaccio all'atto sessuale viene subito bocciato, insieme alla predilezione delle belle forme, del parlar forbito – il regista romagnolo gode invece nella contemplazione della prole più sudicia e gretta, degli ambienti poveri e malsani, rendendo la trasposizione popolare e non fedele. Ma la fedeltà, e in questo la domanda finale ci aiuta, a cosa servirebbe? Ad avere un prodotto che si ha già – ed è l'errore in cui cadono i Taviani, togliendo dall'originale elementi minimi e secondari, sforzandosi di rimanere a tutti i costi su quei binari (ma pure loro si contraddicono, mettendo in bocca espressioni contemporanee come «non gliela dà»), invecchiando la macchina da presa che, nei passaggi obbligati (ma non obbligatori!) tra una novella e l'altra tratta le giovani leve del cinema italiano (attenzione a Fabrizio Falco, già in È Stato Il Figlio e Bella Addormentata e a Rosabell Laurenti Sellers, Tyene Sand de Il Trono Di Spade) teatralmente e non, appunto, cinematograficamente. È per la sua incapacità (o in-volontà) di osare, quindi, di superare il porto di partenza e affrontare il mare con altri venti, con altre direzioni, che Maraviglioso Boccaccio, nonostante sicuramente di più facile lettura rispetto al precedente Decameron, è inferiore: alla pellicola che l'ha preceduto ma, anche, alle pellicole che i Taviani hanno precedentemente realizzato.

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