martedì 10 marzo 2015

tema di Bruno.



Suite Francese
Suite Française, 2014, UK/ Francia/ Canada, 107 minuti
Regia: Saul Dibb
Sceneggiatura non originale: Matt Charman & Saul Dibb
Basata sul romanzo omonimo di Irène Némirovsky (Adelphi)
Cast: Michelle Williams, Matthias Schoenaerts, Kristin Scott Thomas,
Margot Robbie, Ruth Wilson, Sam Riley, Harriet Walter,
Lambert Wilson, Eileen Atkins, Tom Schilling, Clare Holman
Voto: 7/ 10
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Sposata a un soldato partito per il fronte, che ha visto due volte prima del matrimonio e di cui non ha nessuna notizia da tempo, Lucile è costretta a vivere nella lussuosa villa di sua suocera con lei, proprietaria immobiliare di case e cascine fino a fuori dal paese di Bussy, campagne che bazzica con costanza per riscuotere l'affitto senza sconti né favori, attenta ai dettagli domestici per carpire il tenore di vita dei suoi mezzadri. Se Madame Angellier è notoriamente arcigna e indisponente, Lucile non riesce a non farsi scappare il lato umano delle cose e delle vicende, diventa amica della modesta Ruth Wilson fino a nascondere ai tedeschi il sovversivo marito zoppo Sam Riley, sorride per strada a Margot Robbie anche se ha iniziato una relazione (sessuale) con un soldato nemico. Scoppiano le bombe a Parigi e la milizia si sposta in provincia: ai possessori di casa, acqua e corrente vengono assegnati militari a cui dare una camera e un orologio con l'orario esatto. Per Madame Angellier e Lucile, nella più abbiente dimora della cittadella, è riservato il tenente Bruno Von Falk, educato ma con un cane, che subito chiede le chiavi del pianoforte – nonostante la musica sia stata proibita fino al ritorno del marito e figlio Gaston. Dalla sua improvvisata stanza, Lucile sente ogni sera una musica che non riesce a riconoscere (composta dal prolifico Alexandre Desplat, a cui era inizialmente stata assegnata la colonna sonora, poi passata a Rael Jones, tanto novizio quanto efficace nel suo lavoro). Lei fuori luogo in casa sua, lui poco a suo agio con le armi in mano: si ritrovano silenziosamente nei rispettivi disagi, ma devono soffocare qualsiasi tipo di sentimento. Il clima è caldo: la presenza dei nemici in paese scatena i rancori e i pettegolezzi del popolo per cui affiorano verità nascoste attraverso lettere anonime – si scoprirà quindi un dettaglio della vita di Gaston che porterà Lucile ad esternare senza più preoccupazione il suo trasporto per Bruno, anche se tutta la seconda parte del film è completamente priva di sentimento. Il problema de La Duchessa è ancora presente: l'estetizzazione continua e totale, la distrazione dalla vicenda, dalla vicenda umana dei personaggi inquadrati, verso l'ambiente in cui sono calati – per carità, minuziosamente e devotamente ricostruito. Gli interni, della «più bella» e «più brutta casa del paese» non hanno pecche: non hanno pecche i fiori nei vasi, i costumi addosso ai soldati, alle contadine e alle viscontesse. Ma nelle situazioni di maggiore pathos il regista Saul Dibb si appisola sui dettagli: su una mano poggiata al marmo, sullo stipite di una bella porta. Accanto a queste distrazioni, ci sono numerose riprese apparentemente rubate, numerosi scorci, che danno il valore artistico a tutto il film: e che sanno valorizzare l'impianto estetico molto ben fatto. Menomale che dentro a questa casa di bambola (e il riferimento è doppio) ci sia la più grande giovane attrice del nostro secolo, Michelle Williams, giustamente candidata a tre Oscar e con un curriculum intelligentissimo, fatto di film indipendenti in cui riusciva a dare tutta se stessa, sempre accanto ad attori del suo stesso calibro. Qui è un po' sotto tono – ma è colpa del personaggio, un'anti-Malèna che viene sfruttata per la sua confidenza con lo straniero, poco giudicata, dalla fama ribaltata – ma comunque intensa, di fianco al solito ruolo dato all'altra colonna portante tra gli attori, Kristin Scott Thomas, che copia e incolla, tra gli altri, il carattere rigido e materno di Nowhere Boy. Bizzarro che, come poi ci dicono le solite scritte finali, il best-seller mondiale di Irène Némirovsky, ebrea di adozione francese, in francese scritto, sia stato adattato per lo schermo da inglesi, con un'attrice americana e, nella parte del tedesco, un attore belga: perché Matthias Schoenaerts, che abbiamo visto accanto a Marion Cotillard in Ruggine E Ossa, è l'energumeno, il Channing Tatum europeo, del magistrale Bullhead; anche per lui, physique-du-rôle azzeccato ma gestione della psiche un po' blanda. Tant'è, il film è proprio da vedere e non da sentire.

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