Prisoners
id., 2013, USA, 153 minuti
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura originale: Aaron Guzikowski
Cast: Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Viola Davis, Terrence Howard,
Maria Bello, Paul Dano, Melissa Leo, Dylan Minette, Zoe Borde,
Erin Gerasimovich, Kyla Drew Simmons
Voto: 8/ 10_______________
I candidati all'Oscar Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Viola Davis, Terrence Howard e la candidata al Golden Globe Maria Bello si preparano a sfilare verso tutte le imminenti cerimonie di premiazione capitanati dalla vincitrice dell'Oscar Melissa Leo (per The Fighter, ma più brava nel piccolo Frozen River – elogiata in Mildred Pierce e qui irriconoscibile) a sua volta capitanata dal regista di questo film, di questo filmone, di questo thriller compatto e straripante come un fiume in piena – Denis Villeneuve, anche lui passato di sfuggita dal Kodak Theatre per il precedente Incendies (in italiano: La Donna Che Canta), altro drammone a metà tra la saga familiare e la tragedia nel passato.
Qui il passato non porta (quasi) nessun male, perché si svolge tutto al presente: durante la sacrosanta giornata del Ringraziamento due famiglie speculari di madre-padre-figlio piccolo-figlio grande (ma una bianca e una nera) si riuniscono per tagliare il tacchino e cantare dopo un bicchiere di troppo mentre fuori la nebbia porta alla pioggia. Le figlie minori sono alla ricerca di un fischietto rosso, e ottengono il permesso di potersi spostare nell'altra dimora a far le esploratrici, e dopo qualche ora di entrambe s'è persa traccia. Parcheggiata sul marciapiedi c'è una roulotte apparentemente dismessa da cui esce però della musica: la polizia ci troverà dentro anche il solito Paul Dano col cervello di un dodicenne a metà tra il colpevole e l'innocuo. Liberato perché privo di accuse, farà traboccare la pazienza delle due famiglie che dopo un giorno ancora non rivedono le loro figlie. Le ore sono scandite con la pesantezza di ciò che potrebbe essere successo, continuamente viene sottolineato da quant'è che queste infante sono scomparse da casa – ed è il tratto, forse, più realistico del film e di solito meno utilizzato, insieme alla depressione di una delle due madri, tutta letto e farmaci, e alla follia del padre che si fa giustizia da solo. Hugh Jackman sarà ri-nominato all'Oscar perché sfocia, qua, nel più ostico e difficile (per lo spettatore) personaggio, continuamente ambiguo, in combutta con un attempato Jake Gyllenhaal dal capello ballerino e dal tic nervoso. Il film è tutto su loro due: che si inseguono, si accasciano, s'illuminano. Molte sono le piste sbagliate per entrambi, molti sono i casi in città di maniaci e folli conservatori di serprenti. Anche noi alla fine non sappiamo più a chi credere, cosa credere, e poi arriva il colpo di scena. Con un finale che rende giustizia alla tensione e al contenitore di realismo. Troppo poco spazio, purtroppo, agli interpreti secondari: Viola Davis ci piace sempre tantissimo, anche quando tace ed è di spalle; Terrence Howard si dimostra bravo anche nelle parti drammatiche; Maria Bello è stata ingiustamente messa nel dimenticatoio da un po'; e il buon Dano lo vediamo sì e no in tre scene quando ha un physique-du-rôle mai così azzeccato.
Il tutto è scritto dal quasi esordiente Aaron Guzikowski, sceneggiatore dell'indifferente Contraband e creatore di un ghetto-drama previsto per il 2014. Il miracolo sta nella costruzione di un thriller giallo né poliziesco né banale nel suo consumarsi finendo, che parte dall'archetipo del labirinto sia per raccontarsi che per confonderci – che sta giustamente riscuotendo già successi di botteghino e festival, soprattutto per i suoi attori. A Toronto è appena stato classificato terzo dietro Philomena di Stephen Frears e l'atteso capolavoro 12 Years A Slave di Steve McQueen.
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