venerdì 8 novembre 2013

videogioco di guerra.



Ender's Game
id., 2013, USA, 114 minuti
Regia: Gavin Hood
Sceneggiatura non originale: Gavin Hood
Basata sul romanzo di Orson Scott Card
Cast: Asa Butterfield, Harrison Ford, Viola Davis, Hailee Steinfeld,
Ben Kingsley, Abigail Breslin, Aramis Knight, Suraj Partha
Voto: 6.9/ 10
_______________

A poco più di trentacinque anni dalle Guerre Stellari, Harrison Ford rimette piede su un'astronave per andare a sconfiggere un pianeta nero-morte che minaccia di farci fuori tutti. Siamo, ancora, in un futuro più o meno prossimo, in cui l'addestramento militare si fa senza gravità e le brande sono disposte in stanze munite di nome/ animale in cui sono ammesse anche le ragazze. È, questo, un futuro in cui l'uomo si accorge che il bambino cresce a videogiochi e simulazione, con tablet durante la pausa pranzo e giochi quasi di-ruolo coi propri compagni. Il bullismo scaturisce dalla strategia sbagliata e la violenza fisica convive con quelle psicologica e ludica. A partire da ciò, si può accettare che un pischello di quindici anni circa venga messo al comando di una piattaforma galattica intera di cui è forse il più giovane, per dirigere una guerra che o li vedrà quasi tutti vincitori o completamente tutti morti. Follia pura, ma il film – che è un film come tanti, un Hunger Game in orbita e non nel bosco, un romanzo della formazione di un carnefice buono – è in realtà un videogioco che teorizza la guerra, che strizza l'occhietto alla trattazione pacifica, ma l'Adulto gioca d'impulso perché assetato di vittoria e non permette che l'ingenuo Bambino patteggi col nemico che non parla la sua lingua. Il videogioco, che non a caso è anche nel titolo, entra nella pellicola anche come realtà aumentata, e ci mostra un'Abigail Breslin animata, cresciuta e con un accenno di seno: e pensare che l'avevamo quasi lasciata a trafugare un trofeo dopo aver perso la corona di Little Miss Sunshine. Troppo poco spazio le viene dato, candidata all'Oscar a nove anni – e troppo poco a Viola Davis, candidata all'Oscar per nove minuti, che qui rappresenta la psicologa o antropologa in grado di decifrare i comportamenti di questi ragazzi, del protagonista in particolare. I turbamenti del giovane Ender scaturiscono da una crescita fatta di frustrazione per essere il terzo figlio (ne traiamo come conseguenza che a ogni famiglia spettano massimo due pargoli) e di cattiveria non troppo repressa a causa di un fratello sempre nervoso. Ender è però personaggio particolare, indecifrabile, «sempre alla ricerca di affetto» e «in conflitto con l'autorità». Risponde male ma è educato, parla alle masse ma mangia da solo. A scrivergli le battute (e le patetiche scene di vittoria antigravitazionale e di confessione in zattera con la sorella) è il regista Gavin Hood – Oscar al film straniero Tsotsi nel 2005, direttore di un cast stellare nel 2007 (il film era Rendition) e campione d'incassi nel 2009 con il film su Wolverine degli X-Men – mentre a interpretarlo è Hugo Cabret Asa Butterfield che né ha sviluppato in altezza né ha preso peso. Oltre che a Star Wars (di cui si percepisce la trama, il grottesco di certi personaggi, il giovane capace al comando e la Morte Nera da sconfiggere), il film deve molto a certe trovate scenografiche di 2001: capisaldi del cinema nello spazio, impossibili da non ricordare davanti a certi lunghi corridoi o al vassoio del pranzo fatto a scomparti. Ma c'è qualcosa, del film, che non quadra. Oltre ai tatuaggi maori sulla faccia di Ben Kingsley. Ed è la confezione del film in sé, che non ci dà assolutamente niente di nuovo rispetto a quello che siamo abituati a vedere, non ci sorprende né ci commuove né ci emoziona – e pare, ancora una volta, che sia stato fatto come pretesto per mettere su schermo giganteschi effetti speciali che hanno fatto incassare, al momento, 32 milioni di dollari in America (il film però è costato 110).

Nessun commento:

Posta un commento