venerdì 7 febbraio 2014
river deep, mountain high.
20 Feet From Stardom
id., 2013, USA, 91 minuti
Regia: Morgan Neville
Cast: Darlene Love, Merry Clayton, Lisa Fischer,
Judith Hill, Claudia Lennear, Bette Midler, Janice Pendarvis,
Sting, Mick Jagger, Bruce Springsteen, Stevie Wonder, Sheryl Crow
Voto: 7.1/ 10
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Candidato a un Premio Oscar:
documentario
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I “venti piedi dalla celebrità” del titolo sono quelli che separano la fila di coriste dall'artista sul palcoscenico, cantante o musicista celebre che si prende le glorie e le ovazioni mentre loro, mezze all'ombra, ci mettono la voce. Questi “venti piedi” spesso si cerca di accorciarli, diminuirli, e questo documentario racconta i successi e gli insuccessi delle vocalist, spesso nere, che hanno assecondato (e che avrebbero potuto fare) la storia della musica dagli anni '50 ad oggi. In principio erano ragazzine bianche, che accompagnavano sulla stessa linea il cantante di turno, con pochi movimenti e tanta compostezza. Poi irruppero le donne di colore: sfrenate, acute, la cui presenza sul palco era già show. Spesso le nere registravano brani che poi venivano sincronizzati sulle labbra di qualche bianca, per spettacoli televisivi; l'opera di una sola veniva pubblicizzata come lavoro di gruppo. Si sente l'eco di un film non lodevole ma che pure aveva, tra lustrini e dive, raccontato la difficoltà della black music ai tempi. In Dreamgirls si sottolineava come il successo sia cosa vana, evanescente: come la scalata delle chart porta a una troppo pesante presenza dell'etichetta discografica, dei produttori, di manager che decidono all'occorrenza di mandare qualcuno a casa; parlava anche delle cover realizzate a partire da brani di piccola diffusione, spacciandoli per originali, senza pagarne i crediti. Adesso, tutta questa cattiveria in questo film non c'è, ma si percepisce il sapore di sfiancamento contro cui questi personaggi si devono scontrare ogni giorno. «Credevo che se ci avessi messo tutto l'impegno del mondo, se avessi usato il mio dono lavorandoci, studiando, svegliandomi all'alba per cantare con sentimento, ce l'avrei fatta». Invece per ogni Tina Turner o Patti LaBelle che ci riesce, dieci di loro finiscono a fare le pulizie nei bagni dei bianchi, a cercare lavori “veri” per campare, «la gente crede che non debba stendere un contratto per una corista, che non debbano essere pagate». E sono pochi gli artisti che invece hanno il coraggio di dire: «puntale addosso il faretto». L'hanno fatto Sting, Stevie Wonder, Mick Jagger, tutti presenti qui dentro a dare testimonianza delle straordinarie capacità delle voci che li hanno accompagnati. Attraverso importanti passaggi storici, si disegna velocemente il percorso di questo difficile mestiere: dalla rivoluzione d'intenti apportata da Sweet Home Alabama fino alla morte di Michael Jackson che ha annaffiato il bocciolo di celebrità di Judith Hill – finita da poco alle spalle di Kylie Minogue. Lei è una delle tre principali figure attorno cui ruota la pellicola: le fanno compagnia Lisa Fischer e Darlene Love. La prima, corista storica di Sting, è riuscita da solista a vincere anche un Grammy, che adesso spolvera nella libreria in plastica di casa. Ma si passa anche attraverso l'incredibile voce di Táta Vega, la carriera di Claudia Lennear – tutti nomi che non ci dicono niente ma che hanno reso le canzoni dei Rolling Stones e di David Bowie quello che sono. Il problema del documentario è che consuma il suo intento nella prima mezz'ora, nel raccontarcelo: dopodiché diventa una carrellata di curiosità su queste donne (o si altro: le musiche de Il Re Leone, la canzone Thriller e addirittura i versi degli animali di Avatar contengono le voci di questi attori), una serie di aneddoti sulle loro vite e non più sul mestiere in generale. I dischi di una, le performance di un'altra, i premi, le collaborazioni. Ma il montaggio di Morgan Neville (bianco appassionato di musica, già regista di Johnny Cash's America) è furbo: alterna momenti di gospel a contributi d'autore (Paul Epworth, Sheryl Crow), canzoni eseguite dal vivo a battute e frecciatine di queste donne. Siamo partecipi della loro condizione grazie alla musica. «Siamo tutte figlie di sacerdoti» dicono, «abbiamo la musica nel sangue dall'infanzia». E noi ne gioiamo.
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