giovedì 12 febbraio 2015
il film mauritano.
Timbuktu
id., 2014, Francia/ Mauritania, 97 minuti
Regia: Abderrahmane Sissako
Sceneggiatura originale: Abderrahmane Sissako & Kessen Tall
Cast: Ibrahim Ahmed, Abel Jafri, Toulou Kiki,
Layla Walet Mohamed, Mehdi A.G. Mohamed,
Hichem Yacoubi, Kettly Noël, Fatoumata Diawara
Voto: 9/ 10
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Candidato a un Premio Oscar:
film straniero
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«La nostra Palma d'Oro» scriveva Le Figaro prima che il Festival di Cannes finisse premiando Il Regno D'inverno (ironia della sorte: questo è in corsa per l'Oscar e l'altro no) e a Timbuktu spettasse solo il Premio della Giuria Ecumenica. Di co-produzione francese, all'uscita nelle sale d'oltralpe, il film ha incassato quasi un milione di euro in due giorni, segno che non è piaciuto soltanto al quotidiano; partendo da fatti di cronaca, il maestro africano Abderrahmane Sissako, nato in Mauritania ma cresciuto nel Mali, già a Cannes con Waiting For Happiness, era intenzionato a girare un documentario su una coppia vittima della furia dei jihadisti per il loro affronto alla decenza: convivevano con due figli senza essere sposati. Furono lapidati e il video della loro morte messo online dagli assassini. L'intreccio narrativo però nella produzione si rimpolpò e diventò finzione: un allevatore tuareg, Kidane, vive con la moglie e la figlia dodicenne in una tenda tra la periferia di Timbuktu e il deserto del Sahara nella più calma armonia, mentre i fatti della città lo raggiungono solo di striscio, fino a quando il suo giovanissimo pastore – a cui avevano pensato di regalare la mandria intera – si lascia scappare una vacca che dopo preventivi avvisi disturba le reti di un pescatore. Il quale la ucciderà d'impulso e lo screzio sarà risolto dai due adulti finendo in un semi-involontario omicidio. La sorte del colpevole è in mano al solo Signore ma a giudicare il suo reato ci pensano gli emissari sulla terra, i jihadisti provenienti da altre zone, la Libia ad esempio, che col loro pastiche linguistico ricreano una Babele dentro alla quale si sentono in dovere di portare ordine e rigore, attraverso un'interpretazione estrema del Corano: le donne devono indossare velo e guanti, i bambini non possono giocare a pallone, sono proibiti canti e balli – tranne alla pazza del villaggio, l'immensa Kettly Noël, perdonata perché incapace di realizzare quello che fa e dice, insultando gli uomini armati mentre è a passeggio con la sua gallina in spalla e il suo lunghissimo strascico. L'episodio di Kidane si circonda quindi di altri personaggi e altre situazioni che chiarificano l'intento ultimo del film: non fare una stirata denuncia del fondamentalismo islamico (eppure una venditrice di pesce, costretta a indossare i guanti, preferisce che le vengano tagliate le mani, che la si porti via dal suo bancone, perché come si può pulire e vendere il pesce coi guanti? Un uomo che chiede in sposa una ragazza che conosce appena quando il padre di lei non è in casa e si sente dire «non si fa così, non è tradizione», risponde: perché?) ma riportare i fatti nel modo in cui sono, e allora si incontra l'imam locale nella casa del Signore che disteso svela: «non mi oppongo alla jihad, io per primo ne farei parte se non fossi impegnato con la mia crescita spirituale, che è il mio jihad personale». Alle truppe è allora permesso di incarcerare e frustare liberamente e pubblicamente, quando non dedicano il loro tempo ai videofonini e alle (poche) automobili, mentre il villaggio accetta religiosamente il volere di Dio con paradosso e i più giovani sono costretti a giocare a calcio senza pallone oppure scappare, chissà verso dove. Dalla prima all'ultima scena il ritratto di questo microcosmo africano è fatto nel male e nel bene, a partire da quel bene che è paesaggistico, l'incontaminato deserto, le acque e gli alberi e gli animali, il modo accampato di vivere che non può essere altrimenti: la fotografia di Sofian El Fani (che nella carriera conta La Vita Di Adèle) sin dall'inizio immerge, sommerge lo spettatore occidentale in territori a lui estranei restituendoglieli non come questo se li aspetta ma come li sogna; ogni inquadratura è un quadro, una perla per gli occhi – valore aggiunto di un film adulto, maturo, stranamente osannato dalla critica quanto dal pubblico.
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