mercoledì 18 febbraio 2015
Tess dei d'Ubervilles.
Cinquanta
Sfumature Di Grigio
Fifty Shades Of Grey, 2015, USA/ Canada, 125 minuti
Regia: Sam Taylor-Johnson
Sceneggiatura non originale: Kelly Marcel
Basata sul romanzo omonimo di E.L. James (Mondadori)
Cast: Dakota Johnson, Jamie Dornan, Jennifer Ehle, Eloise Mumford,
Marcia Gay Harden, Rita Ora, Max Martini, Callum Keith Rennie,
Andrew Airlie, Dylan Neal, Emily Fonda, Elliat Albrecht
Voto: 5.4/ 10
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Quanto segue è frutto della visione del film privata di due componenti forse invadenti: la prima, la lettura del libro (100 milioni di copie vendute nel mondo, tradotto in 51 lingue, tra i più venduti di sempre insieme a Harry Potter, Il Piccolo Principe e La Bibbia) da cui è tratto, primo capitolo di una serie di tre, ma lo sappiamo tutti – pare sia aumentato il record (de Il Codice Da Vinci) di 3 milioni versati per i diritti dalla Universal con Focus Features alla vittoria di una serratissima asta a cui hanno partecipato Warner Bros., Sony e Paramount; la seconda componente che a chi scrive manca è il desiderio fortissimo di vedere al cinema (ma anche a teatro), in sala comunque, sul maxischermo, gigantografie di dettagli anatomici maschili quanto femminili o atti non-procreativi ma di quella stessa fattura, perché per vedere del sesso abbiamo infiniti strumenti, oggigiorno, anche per vedere del sesso più o meno esplicito mascherato con svariate trame e svariati assoli di sax (i softcore di Playboy su tutti), il sesso al cinema – prima regola di un film – deve essere giustificato, la scena di nudo soprattutto, altrimenti si scivola subito nel gratuito di cui Riccardo Scamarcio si lamenta sempre. Ma forse la componente che a chi scrive manca di più è l'essere una di quelle porn mummy a cui la saga su cui non esprimo pareri è piaciuta moltissimo, scatenando desideri nascosti o repressi e divorando le due facciate di non-sesso prima di raggiungere quella del rapporto fra i protagonisti Anastasia e Christian – lei studentessa (prende un «diploma universitario») di letteratura inglese, lui amministratore delegato ventisettenne di un'azienda miliardaria; si incontrano perché lei sostituisce la sua coinquilina proto-giornalista e va a intervistarlo nel simpatico incipit fatto molto bene – la parte migliore di tutto il film. Riunione di lavoro disdetta, di quelle riunioni di lavoro che non si capisce mai, nei film, di che natura siano, ma le segretarie bionde le annunciano sempre – e i due si confrontano meno formalmente, si conoscono, e poi incontrano nel negozio di ferramenta dove lei lavora e lui compra corde e scotch. Le allusioni alle pratiche bondage all'inizio sono molte, simpatiche e ben seminate, tanto tutti sappiamo dove stiamo andando a parare, ma la componente che a chi scrive manca, dicevo, è il non essere una casalinga tutta scuola dei figli-casa del marito-chiesa di quartiere e quindi il non lasciarsi rabbrividire pelvicamente se in un libro si dice membro, sesso o peggio turgido: chi scrive sa benissimo che al mondo ci sono persone che ricavano godimento sessuale, magari, venendo trasportati in spalla su sentieri di montagna – e non scherzo, persone a cui la penetrazione non interessa e preferiscono starsene stesi con un paio di piedi a premere sul petto, persone che dominano i propri partner consenzienti facendoli pranzare a quattro zampe dalla ciotola del cane, per cui questo film, e la saga letteraria che gli sta dietro, non stuzzicano in me né stupore perverso né desiderio di nudità pubbliche, anzi: mentre il mondo si scatena per l'assenza dei restanti centimetri di pene oltre al primo inquadrati a Jamie Dornan, quello-di-Once Upon A Time, mancanza che era già stata annunciata al Guardian dopo la firma del di lui contratto (inizialmente proposto a Charlie Hunnam, da twink in Queer As Folk a Hulk vivente), io contesto proprio la presenza di performance sessuali (quattro, tre con penetrazione e due con canzoni di Beyoncé): se la figura di Dakota Johnson studentessa educata, vergine, impacciata romanticona e credibile solo al cinema è consapevole di ciò che vuole (un fidanzato «che la porti al cinema»), Christian invece pratica sadismo a intermittenza, e questo nella realtà di rado accade. Certi uomini hanno l'erezione soltanto se sculacciano, o se vengono sculacciati. Eppure lui propone contratti minuziosi e dettagliati a base di pinze vaginali e divaricatori anali che poi non usa, perché «cambia», ci dice la regista, «in realtà viene dominato da Anastasia». Sam Taylor-Johnson, britannica scelta appositamente da E.L. James, parla della «grande sfida» che ha voluto affrontare e dice una cosa saggia: che «l'erotismo finisce nel momento della penetrazione», e il gusto sta nei preliminari. Alla seconda regia dopo Nowhere Boy, dove ha incontrato il suo attuale marito di 23 anni più giovane, pare sia interessata solo alla psiche maschile per cui da John Lennon semi-abbandonato dalla madre e cresciuto senza contatto fisico passa a Christian Grey figlio di una drogata e adottato a quattro anni da una famiglia di ricchi – ma invece, precisa, le interessa l'erotismo, a lei e alla sua montatrice Anne V. Coates ultranovantenne (ha montato Lawrence D'Arabia). Il problema di queste scopatine fintamente hard sta nei discorsi che le presentano e le preparano, tipicamente cinematografici, a-effetto apposta per diventare slogan da locandina, eppure la sceneggiatrice è la stessa di Saving Mr. Banks. Impossibile non rifarsi a due pellicole recenti; la prima, Nymph()maniac, seppur discutibile, ci presentava un personaggio a cui non interessava altro: il sesso: di qualsiasi tipo – e si faceva frustare cristologicamente dai veri “pervertiti” sublimandone l'atto e giungendo all'orgasmo; la seconda, Shame, IL capolavoro, il cui protagonista aveva un altro tipo di necessità e un altro tipo di passato – ma niente ci veniva esplicitamente detto perché non siamo proprio cretini, e la macchina da presa si muoveva in modo particolarmente dignitoso dal momento che quel regista era un videoartista. Ah ma anche questa.
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