mercoledì 11 dicembre 2013

dell'ammazzare il comunista.



L'atto Di Uccidere
The Act Of Killing, 2012, Danimarca/ Norvegia/ UK, 115 minuti
Regia: Joshua Oppenheimer
Cast: Anwar Congo, Herman Koto, Syamsul Arifin,
Ibrahim Sinik, Yapto Soerjosoemarno, Safit Pardede
Voto: 8.6/ 10
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Il 30 settembre 1965 i militari del generale golpista Suharto fanno irruzione nelle case degli indonesiani e deportano gli uomini che sono sospettati di comunismo: decideranno in seguito, in seguito a colloqui tenuti insieme al maggiore direttore di giornali del Paese, se ammazzarli subito, e in che modo. Il massacro di persone innocenti – incluse le donne e i bambini che vedevano bruciata la propria casa e subivano qualunque tipo di violenza – andò avanti per due anni, portando a più di un milione di morti, ma le persecuzioni dittatoriali sono continuate fino al 1998, anno in cui l'Indonesia è divenuta Repubblica ed è caduto il regno (durato 32 anni) di Suharto. Grazie al genocidio e al potere militare (in stretto contatto con le forze mafiose che nel film vengono chiamate “gangster” trovando etimologia nell'inglese “uomo libero”, cioè persona libera di fare qualsiasi cosa, anche quella sbagliata), l'Indonesia si affacciò in quegli anni all'economia mondiale, fino alla rendita petrolifera del 1973 che avvantaggerà la multinazionale Shell, creando un'oligarchia corrotta che oggi detiene la ricchezza di 60 milioni di cittadini comuni. Ma queste cose i libri di storia non le dicono: né i nostri né i loro. L'istruzione è stata intaccata pure quella dalla dittatura violenta e ha ribaltato la vicenda, dipingendo il Comunismo come pericolo distruttore dal quale il generale Suharto ha salvato tutti. Gli ex carnefici sono oggi dei piccoli eroi, davanti ai quali nessun commerciante si tira indietro se c'è da sborsare del denaro.
Neanche il regista Joshua Oppenheimer, giovane autore già di qualche corto e qualche altro documentario, sapeva della carneficina degli anni '60, quando si è recato in Indonesia per produrre The Globalization Tapes, progetto documentario partecipativo realizzato a Sumatra nel 2003. È stato l'incontro con i sopravvissuti al massacro che l'ha portato a conoscere la storia e a desiderare di volerla portare sullo schermo. Ma in Indonesia è una storia che non deve essere raccontata, o almeno non da chi c'è scampato: le milizie hanno imposto al regista inglese di abbandonare il progetto o abbandonare gli ex-comunisti, per raccontare la stessa cosa utilizzando soltanto quelli che furono i carnefici. Così, saranno gli assassini a dirci dettagliatamente cosa hanno fatto e dove. Ci porteranno negli uffici dei massacri, sui terrazzi dove venivano radunati corpi, ci mostreranno il modo migliore per sgozzare una persona senza (o quasi) perdita di sangue. Tutto questo attraverso il metacinema: Oppenheimer molto astuto realizza il film con i boia ma non spegne mai la telecamera, e scade nel grottesco più estremo nella ricostruzione di set e costumi pacchiani per rendere l'impunità di questa gente ancora libera, i cui reati sono caduti in prescrizione. Sostenuto dai sopravvissuti e dai figli di quelle vittime, non prende mai posizione sullo schermo ma fa scivolare i suoi “attori” nell'autoanalisi, ponendoli di fronte al dubbio di apparire i cattivi della situazione, di sembrare troppo feroci e non semplicemente giusti, di macchiarsi l'immagine. Ma, tutti completamente convinti di aver fatto la cosa giusta, procederanno ciecamente nella farsa, a partire dal più protagonista degli altri, il “gangster del cinema” Anwar Congo, circa mille morti ammazzati sulla coscienza, che comincerà ballando il Cha Cha Cha dove aleggiano «i fantasmi di cento persone che non volevano morire» e finirà scendendo silenziosamente delle scale, perché la cecità davanti alla tragedia è l'unico modo che questi assassini hanno per non impazzire.
Un documentario forte, intelligente, costruito a scatole cinesi e visionario quanto basta che, nonostante sia stato realizzato con non troppa cura del dettaglio, segna un pezzo di cinema («non ha precedenti» ha detto Werner Herzog) e riporta a galla un pezzo di storia, perché il mondo la sappia.

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