domenica 29 dicembre 2013

il film cambogiano.



L'immagine Mancante
L'image Manquante, 2013, Cambogia/ Francia, 92 minuti
Regia: Rithy Panh
Sceneggiatura: Christophe Bataille & Rithy Panh
Narratore: Randal Douc
Voto: 6.9/ 10
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17 aprile 1975, Phnom Penh: i Khmer Rossi, le truppe di Pol Pot, marciano sulla città cambogiana per diffondere e instaurare il socialismo reale, che dai politici viene decantato come liberazione del popolo e per le strade risulta atto di forza violenta, prigionia, lavoro forzato e deportazione degli abitanti. Rithy Panh quel giorno ha nove anni, la sua carriera di documentarista è ancora lontana, e insieme alla sua famiglia sarà trascinato nelle lagune a lavorare la terra, nelle risaie, tra le baracche con letti in legno a subire qualsiasi tipo di sopruso. Perderà tutti, i molti fratelli, la madre e il padre, insegnante, che si lascerà morire non accettando la perdita della dignità. Come loro, morirà là dentro, in tre anni, quasi un terzo dell'intera popolazione cambogiana.
Del genocidio cambogiano non si parla(va) come non si parla(va) di quello indonesiano che Joshua Oppenheimer ci ha raccontato ne L'atto Di Uccidere. Il problema de L'image Manquante è proprio l'essere uscito nello stesso anno di quell'osannato piccolo capolavoro, che fa parlare i cattivi in prima persona spostando l'attenzione non sui morti ma sui carnefici. Ma Oppenheimer non c'era, né ha vissuto direttamente quei fatti; Panh invece ha subito in prima persona la tragedia del lavoro forzato, della distruzione della sua città e della famiglia, e il tono del narratore è fortemente personale, straziante e straziato. “L'immagine mancante” è proprio quella dell'evento: che non è documentato e non utilizza quasi (mai) immagini di repertorio (come faceva anche la pellicola inglese). È, anche, l'immagine di un popolo che non c'è più, che nel '79 dovrà rinascere dalle proprie ceneri. Dice il regista: «ci sono così tante immagini nel mondo che crediamo di aver visto tutto. Pensato tutto. Da anni, cerco un'immagine mancante. Una fotografia scattata tra il 1975 e il 1979 dai Khmer Rossi, quando governavano la Cambogia. Da sola, ovviamente, una foto non prova i crimini di massa, ma porta a pensare, a meditare. A costruire la Storia. L'ho cercata invano negli archivi, nei giornali, nelle campagne del mio paese. Ora lo so: questa immagine manca; e non la cercavo – non sarebbe oscena e senza senso? Allora la creo io. Quello che oggi vi offro non è un'immagine, o la ricerca di una sola immagine, ma l'immagine di una ricerca, quella che consente il cinema. Alcune immagini dovrebbero sempre mancare, sempre essere rimpiazzate da altre: in questo movimento c'è la vita, la lotta, il dolore e la bellezza, la tristezza dei volti perduti, la comprensione di ciò che è stato, a volte la nobiltà, e anche il coraggio: ma l'oblio, mai».
L'immagine che Panh ricrea è fatta della stessa terra che l'ha inghiottito, terra rossa da cui si ricava il materiale argilloso con cui vengono costruite le bamboline (come vediamo nella prima sequenza) antropomorfe e dipinte, che saranno le vere protagoniste del film, attori di una serie (infinita) di presepi viventi, ricostruzioni kitch fedeli ed essenziali, tappe della via crucis – scrive Marzia Gandolfi – della passione di questo popolo. Una volta finito l'incanto, però, sebbene la quantità illimitata di bamboline ricostruite, e la quantità di scenari statici, la pellicola, soprattutto per la sua sceneggiatura, si accascia e inizia a rotolare su se stessa, ripetendo ciò che è già stato ripetuto, raccontandoci ciò che abbiamo già visto. Rithy Panh aveva raccontato questa stessa storia in un lungometraggio di finzione del 1994, Rice People, su una famiglia costretta all'oppressione, ma passa oggi al documentario per rafforzare la sua denuncia. Sia il film del '94 che questo sono stati inviati all'Academy in rappresentanza della Cambogia. Nessun Oscar per questo Paese che solo due volte ci ha provato – questa è la terza; e questa volta è entrato nella shortlist semifinale, con un film che si presenta vincitore dell'Un Certain Regard di Cannes ed è stato preferito, a sorpresa, a pellicole come La Bicicletta Verde, che rappresentava un'altra rivoluzione. Forse ancora più grande.

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