martedì 10 febbraio 2015

bio mitzvah.



Non Sposate le Mie Figlie!
Qu'est-ce Qu'on A Fait Au Bon Dieu?, 2014, 97 minuti
Regia: Philippe de Chauveron
Sceneggiatura originale: Philippe de Chauveron & Guy Laurent
Cast: Christian Clavier, Chantal Lauby, Ary Abittan,
Medi Sadoun, Frédéric Chau, Noom Diawar, Frédérique Bel,
Julia Piaton, Emile Caen, Eddie Fontan, Pascal N'Zonzi,
Salimata Kamate, Tatiana Rojo, Loïc Legendre
Voto: 3.2/ 10
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Abbiamo imparato che dei grandi successi al botteghino francese, dei fenomeni popolari, dei campioni d'incassi non ci dobbiamo mai fidare: Quasi Amici era la storia preventivamente interpretata da Topolino de Il Ricco E Il Povero ma tratta da biografismo vero, e con aggiunta di malattia degenerativa, per cui giù di fazzoletti per la commozione e di risate figlie della commedia degli equivoci e delle parti e anche i nostri quotidiani nazionali abboccarono, applaudendo alla pellicola – per una volta non fece lo stesso l'Academy che non candidò il film all'Oscar nonostante all'Academy piacciano molto le file fuori dalla multisala. Ci sono stati poi casi come quello di Cena Tra Amici da cui la Archibugi ha sapientemente saputo attingere senza esagerare troppo, Giù Al Nord per noi incomprensibile e trasformato in una gioia di popolarismi tra il nostro Settentrione che incontra il Meridione nel remake Benvenuti Al Sud – praticamente c'è sempre, alla base della commedia di successo, campione di incassi, al botteghino francese, lo scontro di generi che possono essere politici, territoriali, sociali, religiosi, linguistici. Philippe de Chauveron si fa furbo e mescola insieme tutto: idea una famiglia di matrice gaullista (diremmo noi di destra, e saremmo politicamente troppo corretti) i cui spermatozoi paterni patriottici e patriarcali hanno saputo dare alla luce solo geni XX, quattro figlie femmine su quattro, sposate una a un ebreo, una a un musulmano e una a un cinese. La madre di famiglia, Marie, il cui rapporto con la progenie sua simile si consuma in un solo abbraccio alla fine di una cena, entra ed esce dalla chiesa cattolica tradizionale di famiglia chiedendosi quando vedrà almeno l'ultima bambina all'altare, in abito bianco, che ringrazia il Signore a lei comune, in francese. Preghiera ascoltata: il fidanzato di Laure è cattolico, è francese e le chiede la mano – ma lo fa in aereoporto, prima di andare a trovare i genitori per le vacanze di Natale, in Africa. Anche questi ultimi, conservatori (ma solamente il padre: la madre, in quanto donna, deve tacere e annuire), tradizionalisti, non vedono di buon occhio l'unione con una bianca, europea, francese: parte il gioco a manomettere la cerimonia, dopo aver scoperto l'inghippo alla melanina. Cliché sulla durata dei pranzi, sulla quantità di cibo, sulla musica della cerimonia, il periodo per le nozze; si lamenteranno perfino delle compagnie aeree. Tutto questo dopo i cliché sulla circoncisione, sulla carne kosher, i licis alla fine dei pasti cinesi, l'economia in mano a questo genere di commercianti, i ghetti parigini – battute a sfondo razziale stemperate dal tono della pellicola, battute tra i generi maschi e tra il suocero senza mai che le donne intervengano: a una viene addirittura diagnosticata la depressione, ha sempre sonno, mai fame, e con leggerezza dirà che «è una malattia seria», quando per prima fa ridere. Scoprirà la gioia di vivere con la zumba e col divorzio, che ovviamente non firmerà, perché il buonismo del film ruota attorno a questo: il matrimonio, unione di persone e di etnie e di famiglie nel bene e nel male. La Francia ha appena avuto dimostrazione che all'integrazione razziale non c'è mai arrivata, nonostante l'altissima percentuale di stranieri che contiene; certo non è stata utile in questo senso la presidenza di Nicolas Sarkozy che ha detto sì all'immigrato soltanto se è un bene per l'economia – e infatti nel ruffiano Non Sposate Le Mie Figlie! David, Chao, Charles e Rachid sono un banchiere, un avvocato, un imprenditore, un attore: si permettono belle case, viaggi, numerosi figli; non hanno preoccupazioni, nemmeno quella di dimostrare la giustezza della propria posizione. Nella parte iniziale del film una lite porta la «famiglia Benetton» a non vedersi né parlare per diciotto mesi, parrebbe. Eppure lo screzio è tutto tra i maschi, e le donne sarebbero tutte sorelle, una delle quali non ancora fidanzata, e con una madre viva. Le femmine in questa storia praticamente non esistono: per fare della facile ironia sul genere, il regista (maschio) schiaccia quello per antonomasia, il maschio/ femmina su cui perfino le commediole italiane hanno già battuto il martello. Sarà la madre nera a vivere un risveglio di ruolo e una microscopica emancipazione. Quando si dice non saper gestire i propri personaggi…

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