lunedì 23 febbraio 2015

#VanityOscar.



Senza badare a spese né sprechi, Vanity Fair Italia ha fatto ciò che ogni cinefilo (under 30 diciamo, e la discriminazione è puramente narcolettico-lavorativa) sognerebbe: una diretta dal Kodak Theatre di Los Angeles mediata da quelli-di-Sky Cinema per la cerimonia di premiazione ultima e più importante dell'inverno: gli Academy Awards a.k.a. premi Oscar. Addio quindi ricerche spasmodiche di amici muniti di decoder pay, di connesioni a fibra ottica per streaming salterini, posticipati, non-sync, chiusi all'improvviso, ridoppiati in portoghese, a qualità bassa, con commenti invadenti di lato, con commenti pubblicitari intorno. Per l'edizione 87 della premiazione Vanity non si limita a portare lo show al cinema: ma costruisce intorno a questo un cineforum, diremmo, una marathon, hanno detto loro, in cui proiezione dopo proiezione si poteva assistere – gratuitamente – agli otto film candidati alla maggiore statuetta, in versione originale e con sottotitoli in italiano, al cinema Odeon di Milano da cui si vedrebbe il Duomo se non ci fosse il soffitto. Ultimo nell'elenco, guarda un po', è stato Birdman O (L'imprevedibile Virtù Dell'ignoranza) – proiettato profeticamente ieri sera intorno alle 22:00 tra le gioie generali. Ma prima del film, piccolo e composto siparietto orchestrato da un sorprendente Luca Dini, direttore della testata, che forse ispirato dal recente Ariston ha saputo magistralmente ospitare sul palco ospiti di livello sempre crescente: da Valentina Lodovini, che ha ripassato le nomine più importanti lasciandosi scappare i favoritismi, a cinque dei doppiatori delle pellicole più di cassetta (Valentina Favazza e Davide Perino per La Teoria Del Tutto, Christian Iansante per American Sniper, Myriam Catania e il-fu-Riccardo Niseem Onorato per The Imitation Game), tutti protagonisti di un bizzarro e interessante servizio fotografico a opera di Reed Young che ha ri-vestito i panni dei personaggi addosso alle voci e non agli interpreti; poi: Gabriele Salvatores, senza accennare mai al suo Ragazzo Invisibile né al precedente Italy In A Day, ha ricordato l'annuncio della sua candidatura al miglior film straniero per Mediterraneo, negli anni '90 del non-Web, e alla successiva vittoria, durante la quale ha invitato a evitare le guerre ed è stato invitato a evitare discorsi politici. Tappa d'obbligo sui look delle star con chi il red carpet l'ha vissuto (o l'ha fatto) sotto il nome di Max Mara e poi saluti dalla sempre più fortunata Paola Jacobbi in differita da L.A. pronta al Vanity Party e prima ancora al tappeto rosso. Dalle 18:00 di ieri alle 7:00 di questa mattina, come in Non Si Uccidono Così Anche I Cavalli, si giocava a chi restava per più tempo in piedi: siamo arrivati in una ventina a colazione, e tutti abbastanza giovani. Nonostante l'impossibilità che ci sentissero, battevamo le mani come se fossimo lì, sotto Neil Patrick Harris la cui pungenza è stata colta così poco da far sorgere dubbi sulla platea e non sulla conduzione. Orgoglio patriottico per Milena Canonero prima e per Virna Lisi poi mentre gli allievi di Gianni Canova presenti, intanto lui in diretta dagli studi di Sky che commentava à salotto le numerose intermittenze pubblicitarie, si disperavano per i pochi premi a Interstellar e American Sniper (di cui io gioivo) e l'assenza di Francesco Rosi nel memoriam. Quando si dice che le cose belle arrivano alla fine: corsi via i mondani giunti a ritirare il plaid griffato (vedi foto) o lo champagne Pommery, alle quattro del mattino chi esultava per il primo Oscar polacco della storia lo faceva con sincerità, e senza il visone addosso.

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