giovedì 5 febbraio 2015

il tempo.



Jupiter
– Il Destino Dell'universo
Jupiter Ascending, 2015, USA, 127 minuti
Regia: Andy Wachowski & Lana Wachowski
Sceneggiatura originale: Andy Wachowski & Lana Wachowski
Cast: Mila Kunis, Channing Tatum, Sean Bean, Eddie Redmayne,
Douglas Booth, Tuppence Middleton, Nikki-Amuka Bird,
Christina Cole, Nicholas A. Newman, Ramon Tikaram, David Ajala
Voto: 4.8/ 10
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Un racconto fuori campo della prematura morte del padre, della fissazione per Stalin della russa madre, del desiderio di ricomprare un telescopio che fu rubato – ma di seconda mano, su eBay, perché Jupiter fa le pulizie in tre case al giorno per campare e tutte le mattine si sveglia alle quattro e mezzo dicendo: «odio la mia vita». Si lascia convincere dal cugino a donare ovuli con un nome falso e tu guarda il caso, il nome che dà è quello dell'umana tanto desiderata da un millenario alieno, che fa in modo che questa venga rapita; poi si scopre il tranello e tu guarda il caso, Jupiter si scopre ereditiera di un pianeta, goccia d'acqua della defunta madre degli Abraxas, antico casato intergalattico i cui tre discendenti adesso si fanno la guerra per avere più spazio nel cielo, e soprattutto più tempo – e il tempo è dato dalla longevità fornita dal corpo umano, ogni cento persone una fiala di lunga vita, ne consegue una coltivazione e mietitura di corpi che abbiamo già trovato in tutto il cinema dei fratelli Wachowschi, quelli-di-Matrix, come dice la locandina, perché dopo Matrix (dopo il primo Matrix, chiedete in giro a quanti è piaciuto il seguito) hanno subito un colpo basso dopo l'altro; eppure quello è stato uno spartiacque nel cinema sci-fi e nella modernità: primo esperimento di narrazione crossmediale (la storia proseguiva in videogiochi, corti animati, fumetti) è stato il trampolino di lancio per qualsiasi progetto futuro, e il futuro è stato Speed Racer, remake psichedelico di un anime buttato nel dimenticatoio il giorno dopo l'uscita; V Per Vendetta l'hanno consegnato nelle mani di John McTeigue, Invasion a Oliver Hirschbiegel e sono dovuti andare in Germania a reclutare un co-regista, Tom Tykwer (quello-di-Profumo), per dirigere l'atlante della filosofia del tempo Cloud Atlas: che tra alti e bassi si faceva comunque apprezzare, la cui unica pecca era stata presentarsi come un complicatissimo gioco a incastri narrativi decodificabili solo da schemi e alberi genealogici – quando a metà pellicola era tutto cristallino e quasi già detto. Consegnando le scene retrò a quell'altro, nella più grossa produzione indipendente della storia, i Wachowschi avevano diretto i tre episodi futuristici e con un perfetto filo conduttore si collegano da quelli a questo, che spazia tra lo skyline di Chicago ai varchi temporali dall'aspetto quasi desertico (chiaro riferimento a Dune, insieme ai reali interstellari) puntellandosi qui e là di scene d'azione. La prima, è talmente lunga che si finisce col domandarsi cosa preparare per pranzo domani, cosa faranno in televisione alla sera; le successive si concluderanno sempre con la venuta di Channing Tatum perennemente al momento giusto, quattro volte su quattro, pronto per salvare sua maestà Jupiter da capitomboli o pistole spaziali, tempismo che scatena in lei l'ormone al punto da renderla sfacciata (politicamente correttamente diremmo così) in modo da dare almeno un risvolto un po' saporito a questo personaggio insipido, sciapo, stretto nel corpo di Mila Kunis poco credibile come stura-cessi e che poveretta non azzecca un film da Il Cigno Nero. L'amato però si ritrae: perché è un ibrido mezzo lupo, perché è stato privato delle ali; il suo pizzetto biondo (chiaro omaggio alle boyband degli anni '90) catalizza tutta l'attenzione anche se mezzo film se lo fa senza maglia – ché Magic Mike 2 esce solo a settembre e in Foxcatcher ha una striminzita tutina da cui escono solo i capezzoli – e con stivali antigravitazionali e scudi trasparenti laser ci regala tutto ciò che abbiamo visto in tutti gli Spider-Man: la gente però al cinema chiede questo, altrimenti il film se lo guarda in streaming, e il duo di registi non si risparmia. Era stato chiesto loro uno script originale, che non fosse basato su libri o fumetti: attingono così alla propria adolescenza, quegli anni '80 di film nello-spazio dal kitsch estremo e dalle musiche epiche, e con un incipit frettoloso paro paro a Guardiani Della Galassia e con uno sviluppo blando supportato da dialoghi surreali sviluppano la solita storiella della terrestre che si scopre regina dell'universo ma deve scampare ai pericoli del cielo e poi torna a casa a vivere la sua vita rivalutandola. L'aver messo una donna come protagonista invece del solito uomo non eleva la cosa; soprattutto perché si fa una fatica madornale a carpire dettagli sul suo ruolo e sull'effettiva storia del mondo che il film finge di raccontarci. Terry Gilliam si riserva un cameo per ringraziare la citazione a Brazil nella più riuscita sequenza, le musiche di Michael Giacchino salutano da lontano quelle di John Williams per Lucas e Spielberg ma soprattutto alla fine sentiremo dire: «non sono tua madre» a Eddie Redmayne (unica decente prova d'attore visto anche che c'è un Oscar dietro l'angolo), per ribadirci forse che: non siamo davanti a Star Wars.

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