sabato 24 novembre 2012
sei calda come i baci che ho perduto.
E La Chiamano Estate
id., 2012, Italia, 89 minuti
Regia: Paolo Franchi
Sceneggiatura originale: Paolo Franchi, Daniela Caselli,
Rinaldo Rocco, Heidrun Schleef
Soggetto: Paolo Franchi
Cast: Jean-Marc Barr, Isabella Ferrari, Filippo Nigro,
Christian Burruano, Eva Riccobono, Luca Argentero, Romina Carrisi
Voto: 5.5/ 10
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«E la chiamano estate/ questa estate/ senza te» cantava Bruno Martino nel '65, e canta ancora adesso, mentre la luna si riflette in un mare velocizzato ma inquadrato lentissimamente, mentre le piccole onde senza vento si screpolano sulla sabbia, di notte, e forse Isabella Ferrari le sta a guardare, o forse sta dormendo, nuda a gambe larghe con una camicia da notte bianca, vicino all'uomo che ama e che la ama, forse, o forse sono entrambi in spiaggia, una in piedi e l'altro seduto, alla fine di questa storia, all'inizio.
Chi lo sa.
Il primo film che Nicoletta Mantovani (primo nome che compare sullo schermo nero) produce con la compagnia che porta il nome del defunto marito Luciano, è un puzzle i cui pezzi si incastrano magistralmente non per forza con un simile soltanto: ogni scena - dopo che se n'è capito il meccanismo - potrebbe essere la seguente della precedente o la precedente della successiva oppure molto antecedente o totalmente finale, pregna di senso in quel determinato contesto e poi ripresa, rimostrata poco dopo, decontestualizzata e ricontestualizzata.
Bene, nonostante queste tre righe, questo non è un film di logica né di semiotica; è un film di un uomo e una donna che si amano ma qualcosa non va. Lui, che si chiama Dino, è l'esatto opposto dello stesso personaggio moraviano de La Noia che per sconfiggere “l'assenza di rapporto” si buttava tra le braccia di una mezza sconosciuta interrogandola continuamente e pedinandola sospettando il tradimento. Questo Dino è molto simile e molto diverso, perché la sua Anna (la Ferrari) non riesce a toccarla e sa benissimo che lei non lo tradisce, e quindi va alla composta ricerca dei suoi ex amanti per spingerli di nuovo nelle di lei braccia. Tutti rifiuteranno, soprattutto un Luca Argentero in splendida forma che recita poco poco ma recita bene bene.
Intanto, è un mare di bianco, un mare di luci bianche, splendori nella casa e per le strada e sulle lenzuola bianche, sulle camicie bianche, su tutto ciò che è intorno che è bianco o molto chiaro, sui tavoli col rossetto ben disposto e i libri ordinati, su una sala che non viene mai usata, una cucina mai inquadrata. È un'estate molto diversa da quella che i film siciliani ci hanno sempre mostrato (dal Gattopardo a Baaria) perché è un'estate (in una città anch'essa bianca, che mi pare di aver riconosciuto in Ostuni) estremamente elegante quasi da diventar algida, asettica, distaccata tanto da noi quanto dagli attori. Per gran parte del film, questi personaggi sono figure prese da tutto questo bianco, mostrate, e poi rimesse là, irreali, senza ambiente, senza “rapporto”. Poi si scopre che Dino fa l'anestesista e Anna sospettiamo venda divani, e mentre sono a lavoro il bianco non c'è più. Poi si scopre che Dino ha fatto qualcosa per cui Anna va da uno psichiatra, e forse Dino la sente parlare, o forse no. Per colmare la sua sete di carne, poi, Dino va da Filippo Nigro, incontrato in un locale di scambisti, nel quale il film mostra ciò che gli italiani non vorrebbero vedere mai (sesso orale, orge) ma che fanno abitualmente (ed è cosa lodevole, che un film finalmente le mostri). Anna trova sul cellulare del compagno alcuni video di questi tradimenti, perché Dino è ossessionato dal girare video, e ne esce distrutta. O forse no.
Isabella Ferrari, quindi, che mostra la sua venerea fessura nella scena due e poi varie altre parti di sé per tutto il tempo, è una di quelle attrici che anche se cantasse nella spazzatura a noi piacerebbe alla follia. In questo borghese e cervellotico viaggio che forse ricalca Eyes Wide Shut o forse no, è accompagnata da un Jean-Marc Barr maturo e a suo agio e doppiato molto bene da Adriano Giannini. Ma è stata solo lei, alla Festa del Cinema di Roma, a vincere il Premio per la Migliore Interpretazione Femminile, dopo che Paolo Franchi (autore del film e regista di sole altre due pellicole) ha ritirato quello alla Regia smuovendo i fischi e i boati generali. Critiche che come sempre sono esagerate ma come quasi sempre hanno ragione: il film sarebbe un capolavoro se avesse un diverso approccio all'immagine e/o alla narrazione. Se decidesse di essere completamente estetico o completamente psicologico. Invece sta a metà. Ma che musiche magistrali.
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