giovedì 17 gennaio 2013

Alexandre Dumas era nero.



Django
Django Unchained, 2012, USA, 165 minuti.
Regia: Quentin Tarantino
Sceneggiatura originale: Quentin Tarantino
Cast: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio,
Kerry Washington, Samuel L. Jackson, Walton Goggins
Voto: 7.9/10
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Candidato a 5 Premi Oscar:
film, sceneggiatura originale, attore non protagonista,
fotografia, montaggio sonoro
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Non completamente: Alexandre Dumas, lo scrittore francese de Il Conte Di Montecristo e la trilogia I Tre Moschettieri, era nero solo in parte, per un quarto, in quanto figlio di un mulatto. Ma Tarantino che ama le esagerazioni esagera anche la melanina perché gli serve una frase ad effetto in questo film di frasi ad effetto e melanina.
Dopo lo zuccheroso The Help e il trucido The Paperboy, l'America sforna un altro capitolo della passata condizione razziale e va ancora più indietro, alla Guerra di Secessione, e ancora più a Ovest, dove Clint Eastwood era solito sfoderare la pistola sulle musiche di Ennio Morricone. E basandosi su un Django tutto italiano interpretato da Franco Nero (che viene chiamato qui a parlare nella sua lingua natale), il Quentin Tarantino che tutti sappiamo amante dei B-movies, dello splatter e dei piedi delle donne si sposta (coerentemente) su un nuovo binario, quello del western senza troppi spaghetti ma con molti morti ammazzati, il western dei saloon in cui oltre a spaccarsi le bottiglie si spaccano anche i crani, degli schiavi appesi per i piedi a cui viene tagliato via il pisello. Ci era piaciuto così tanto, l'ultima volta, con il geniale Bastardi Senza Gloria (che aveva fatto conoscere al mondo il poliglottismo e la recitazione di Christoph Waltz) e ci era piaciuto molto perché quel film praticamente era fatto di quattro sequenze in tutto, quattro sequenze lunghissime (mamma mia, la prima), estenuanti, ma che ci tenevano impalati davanti allo schermo. C'erano molti personaggi, separatamente intrecciati. Qui invece c'è una trama fin troppo scorrevole, una struttura narrativa semplicissima perché lineare e cronologica, uno schiavo nero come molti schiavi neri eppure diverso, che viene comprato da un cacciatore di taglie perché lo aiuti a riconoscere (ed ammazzare) tre fratelli banditi sulle cui teste c'è una grossa taglia. I due, Jamie Foxx e ancora una volta Christoph Waltz (che è quasi più protagonista del protagonista) inizieranno un'amicizia che non vediamo ma supponiamo fraterna, per lo stupore generale delle genti nel vedere un nero a cavallo. Il suddetto nero, abile nel fingere di essere uno schiavista e non un Gandhi, racconta di essersi sposato con un'altra povera schiava frustata e marchiata e di averla persa perché data ad altri proprietari, e convince il compare (guai a dire padrone) di andarla a recuperare, pagare per lei, farla diventare una donna libera. Waltz, pieno di bontà e comprensione, acconsente, e così si finisce tutti quanti in casa di Leonardo DiCaprio. Eccola la scena lunga, estenuante: quella della cena. Ed ecco il Tarantino che avevamo lasciato, che troviamo pure poco dopo, in un Vajont di sangue e schizzi e pallottole contro la carta da parati, le scale, i fiori bianchi fuori dal taschino.
Fuori dalla trama, c'è la sua regia: un'imitazione pari pari di quei film anni '70 con le scritte rosse sull'immagine, con gli zoom sui protagonisti sorridenti, con la musica che ripete il nome del protagonista – costruita, qua, su materiale vecchio e nuovo: sulle musiche non originali di Morricone e quelle create appositamente come la base per la canzone di Elisa, un po' insipida, al contrario del brano, per esempio, di John Legend. E dentro alla trama c'è Tarantino stesso, che si concede una parte piccola piccola giusto alla fine. E intorno a lui ci sono tutti questi attori bravissimi, primo su tutti Samuel L. Jackson nel suo più snervante ruolo, quello orwelliano di un nero che si comporta come un bianco (davanti agli altri neri).
Due inaspettate vittorie ai Golden Globes (sceneggiatura e attore non protagonista) non sono bastate a lavare l'amaro dalla bocca di Jamie Foxx, che al microfono ha detto «ottimo lavoro, ragazzi» ai candidati DiCaprio e Waltz. Per lui, nessuna nomination. E l'amaro in bocca ce l'abbiamo anche noi.

5 commenti:

  1. Non so, distorce un po' questa sintesi della trama.

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  2. Penso che la tua personale sete di "ironizzare" abbia scavalcato quella che poteva essere una diplomatica ed argomentata recensione del Film.
    Secondo me l'hai apprezzato anche tu, ma è stato più facile fare una satira screditante...
    Da rivedere.

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  3. i film di tarantino si possono criticare facilmente ma trovate qualcun altro che ti fa ancora amare il cinema come lui.....semplicemente geniale

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  4. "Il suddetto nero, abile nel fingere di essere uno schiavista e non un Gandhi, racconta di essersi sposato con un'altra povera schiava frustata e marchiata e di averla persa perché data ad altri proprietari, e convince il compare (guai a dire padrone) di andarla a recuperare, pagare per lei, farla diventare una donna libera".
    Django non convince il "compare" ad andare a recuperare la moglie, piuttosto è il compare a farsi convincere, se vuoi, o comunque è lui, il compare, che glielo propone. Non so, mi pare un dettaglio importante: "Francamente... non avevo mai dato la libertà a nessuno, finora. E ora che l'ho fatto, mi sento vagamente responsabile per te. In più, un tedesco che incontra un Siegfried in carne e ossa è un avvenimento. Come tedesco sono obbligato ad aiutarti nella tua ricerca di liberare la tua amata Broomhilda.". No perché ognuno ha le sue opinioni, e questo è sacrosanto, ma la sceneggiatura in questo è abbastanza oggettiva, e c'è bisogno che quando si fa una critica si rimanga obiettivi su quello che è il racconto, per poi interpretarlo come preferisci. Come ha detto il primo anonimo, distorce un po' questa sintesi della trama.

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  5. Non so, questo film di Tarantino mi è sembrato di un politically correct un po' peloso. Per esempio Alexandre Dumas non era "nero", era figlio di un mulatto, quindi 3/4 bianco. Attori bravissimi comunque

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