sabato 12 gennaio 2013

questa vita, la precedente.



The Master
id., 2012, USA, 144 minuti
Regia: Paul Thomas Anderson
Sceneggiatura originale: Paul Thomas Anderson
Cast: Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams,
Laura Dern, Jesse Plemons, Ambyr Childers
Voto: 8.7/ 10
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Candidato a 3 Premi Oscar:
attore protagonista, attore non protagonista, attrice non protagonista
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Pochi film iniziano in questo modo.
Affidandosi ancora una volta (dopo Il Petroliere) alla bravura compositiva del Johnny Greenwood dei Radiohead (che però quella volta non poté gareggiare per un Oscar che sarebbe stato certo, a causa della non totale originalità della colonna sonora), Paul Thomas Anderson già dall'inizio ci immerge nel suo cinema esteticamente elegante, algido, perfetto. Con un Joaquin Phoenix che si guarda intorno, elmetto in testa, dietro a un cespuglio, e poi si concede a bambole gonfiabili fatte di sabbia e alle masturbazioni non così celate agli occhi dei compagni. Compagni tutti maschi, perché siamo su una costa tra marinai che hanno fatto la Seconda Guerra. Attraverso scene anche lunghe, ma che certo non sono narrativamente accessibili a tutti, capiamo che quest'ossessione per il sesso e il corpo femminile e la penetrazione deriva da uno stress causato dalla lunga astinenza durante il conflitto; è una menomazione psichica alla quale sono costretti quasi tutti i coinvolti, alla quale si aggiunge, per Phoenix, uno zoppicamento perenne, una cicatrice in faccia, un occhio mezzo chiuso, mezza bocca immobile. È un Joaquin Phoenix che tocca livelli di quasi perfezione, che nel più bizzarro e psicologicamente complesso ruolo della sua carriera non si fa offuscare dalla stazza (e dall'immensa bravura) di Philip Seymour Hoffman che butta giù pozioni alcoliche fatte con qualsiasi cosa ricordando le vite passate, urlandole alla folla, pubblicandole in dubbiosi libri. È lui il “master” del titolo: colui che non accettando la condizione di vivere sotto un capo supremo, s'è fatto egli stesso capo, capo della famiglia e di gruppi di credenti (o creduloni), praticando cure per (certi tipi di) leucemia e repressione della rabbia; per questo il loro incontro, tra Hoffman/ Lancaster Dodd e Phoenix/ Freddie Quell provocherà scintille e si trasformerà in una sorta di rapporto padre-figlio fatto di alti e bassi, altissimi e bassissimi, ma un totale rispetto reciproco e una devozione (maggiore da una delle due parti) per cui quando qualcuno parla male del genitore con cui ho appena litigato, lo faccio fuori perché solo io posso urlargli contro.
Tra i due litiganti la terza gode, che per la quarta volta viene candidata all'Oscar (in soli sei anni, e sempre come Attrice Non Protagonista) nonostante la sua sia una parte meteoritica, molto inferiore alle precedenti (sicuramente avrebbe dovuto vincere per Il Dubbio) e di nuovo, dopo Il Dubbio, torna a lavorare con Hoffman solo che mentre in quel film gli faceva causa senza prove, qua lo appoggia con totale fiducia: Amy Adams moglie del capo-mastro accoglie e promuove le teorie del marito credendoci lei quasi più di lui che le partorisce, aiutandolo nelle terapie, mantenendo i piedi per terra quando la relazione con un ubriacone ninfomane sta diventando poco razionale.
E sebbene il Tom Cruise che Anderson lanciò quando era infuocato grazie a Magnolia (sicuramente inarrivabile a livello di costruzione narrativa) non ha gradito molto questa ricostruzione della nascita di una setta para-Scientology, il regista e sceneggiatore (che non è stato candidato né per l'una né per l'altra categoria) non scivola nella pericolosa fossa per cui pare che se la rida facendo innervosire senza rispondere effettivamente il maestro ma evita di affrontare il tema dello sperperamento di denaro a cui ha costretto i suoi adepti.
Ne consegue un film difficile, molto cerebrale, che si guarda coi sensi, con le orecchie soprattutto, che si guarda con gli occhi in quarta fila per cogliere le simmetrie e le bellezze di certe immagini tutte a fuoco, i discorsi e le domande ripetute venti volte. Ma, c'è un ma. Come se non sapesse lui per primo (Anderson) in che modo va a finire la storia, pare che la storia non finisca, o meglio: si conclude e si consuma, ma alla fine usciamo dalla sala convinti di aver dimenticato qualcosa sulla poltroncina.

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