giovedì 31 ottobre 2013

space, odyssey.



Gravity
id., 2013, USA, 92 minuti
Regia: Alfonso Cuarón
Sceneggiatura originale: Alfonso & Cuarón & Jonas Cuarón
Cast: Sandra Bullock, George Clooney
Voto: 8.9/ 10
_______________

Era il 2006 quando il Messico invase gli Oscar: Guillermo Del Toro, Alejandro Gonzáles Iñárritu e Alfonso Cuarón si facevano applaudire rispettivamente per Il Labirinto Del Fauno, Babel (scritto da un altro messicano che poi sarebbe diventato regista, Guillermo Arriaga) e I Figli Degli Uomini, pluricandidati con nominations per altri cineasti messicani. Di questi registi poi abbiamo continuato a parlare e la loro provenienza messicana ha superato il confine; di Cuarón dicevamo all'epoca “il regista del terzo Harry Potter”, come adesso diciamo “il regista de I Figli Degli Uomini”, come fra due anni diremo “il regista di Gravity” – perché questo Gravity segna una tappa sotto molti punti di vista. È, innanzitutto, il film che mancava: un kolossal non fantasy ma fantascientifico, un blockbuster che piace ai critici perché è, anche, un'opera d'arte. E lo è purtroppo solo nella prima metà, la metà del rigore tecnico e della tensione ansiogena, che si consuma nella lunga inquadratura di Sandra Bullock rannicchiata su se stessa, fluttuante, centrale nello schermo mentre il vestito appena tolto fa dondolare il tubo dell'ossigeno a mo' di cordone ombelicale per formare la più celebre immagine che la fantascienza abbia mai partorito. 2001: Odissea Nello Spazio viene in mente spesso, soprattutto negli esterni: lì le astronavi e le navicelle erano monumenti scultorei sopraffini che danzavano tra gli archi (musicali) e le volte (celesti) mentre qui le attrezzature appaiono come macchine, ferraglia in grado di disfarsi e decomporsi; lì il tempo era rarefatto nel niente da fare mentre qui il tempo vola e quest'ora e mezzo si brucia in poco perché il da fare è troppo e l'ossigeno scarseggia e le forze troppo poche: Ryan Stone è un ingegnere medico (donna, ma il papà voleva un maschio) alla sua prima esperienza nello spazio, partita per tenere sotto controllo pannelli e comunicazioni con la terra; la accompagna il solito George Clooney che fa la parte del marpione, chiacchierone esperto del campo sempre a suo agio e sempre in grado di dire la cosa giusta al momento giusto, apparente idiota ma necessità del gruppo. I due si trovano fuori dal loro mezzo quando una pioggia improvvisa di meteoriti distrugge parte dell'attrezzatura e la combriccola tutta, e si ritrovano soli superstiti a dondolare e schiantarsi contro le antenne di ricezione e contro di noi, avanzando nel primo grande utile 3D degli ultimi anni. Questi venti minuti iniziali sono una perla aptica: un unico pianosequenza fluttua tra i personaggi e i loro equilibri perduti e ci immerge in una dimensione priva di gravità a cui crediamo ciecamente perché rigorosamente ricreata in digitale, è l'epopea delle leggi fisiche, l'esaltazione della prospettiva, a cui si aggiunge un'impeccabile uso della telecamera e soprattutto del suono: entriamo e usciamo dallo scafandro della Bullock, passiamo da una soggettiva a una panoramica spettacolare di quella che è la Terra vista dall'estremo alto. Accade poi però che il blockbuster, in quanto tale, e in quanto blockbuster americano, si debba piegare alle leggi del patetismo, per cui alla dottoressa Ryan appioppiamo una figlia morta a quattro anni che invocherà in un momento di debolezza subito dopo aver abbaiato, subito prima del finale che ormai aspettiamo, pretendiamo di vedere – e che arriva. Viene a questo punto in mente anche Buried, storia di un uomo in una bara (qui gli uomini sono in due, in uno e mezzo, per tutto il film) che per lo stesso tempo ci angoscia e alla fine ci spiazza (guarda un po' anche quel regista era ispanico), perché un po' un altro finale ce lo aspettavamo: ma non possiamo avere tutto. Abbiamo, qua, un'incredibile maestria tecnica, dalla regia impeccabile im-pec-ca-bi-le alla fotografia di Emmanuel Lubezki che finalmente magari gli dànno quest'Oscar (dopo The Tree Of Life e altre quattro nominations) fino al montaggio sonoro, abbiamo una brava attrice e un budget di quasi 56 milioni che al momento rappresentano un quarto di quanto il film ha incassato in America. Non possiamo lamentarci della trama tutta tensione e dei personaggi banalotti: Avatar sotto questo punto di vista era inaffrontabile.

Nessun commento:

Posta un commento