mercoledì 18 giugno 2014

#Cannes: le pecore e il pastore.



Jimmy's Hall
id., 2014, UK/ Irlanda, 109 minuti
Regia: Ken Loach
Sceneggiatura non originale: Paul Laverty
Basata sull'opera di Donald O'Kelly
Cast: Barry Ward, Simone Kirby, Andrew Scott, Jim Norton,
Brían F. O'Byrne, Paul Fox, Aisling Franciosi, Karl Geary
Voto: 8.2/ 10
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Coppia che vince non si cambia – eppure dopo la Palma d'Oro a Il Vento Che Accarezza L'erba e l'Osella alla Sceneggiatura de In Questo Mondo Libero... il sodalizio tra Ken Loach e Paul Laverty ha dovuto affrontare qualche ignoranza da parte di critica e pubblico (L'altra Verità) per sfociare poi nel totale fallimento (La Parte Degli Angeli). Si riprendono, grazie a Dio, tornando a ciò con cui sempre a Cannes trionfarono: i paesaggi d'Inghilterra di inizio Novecento, i bei costumi zozzi, la bella fotografia, le casupole in legno e pietra, l'accento stretto. E lo fanno, come son soliti fare, senza apparire neutrali, costeggiare l'opinione: comunisti sono e comunisti si presentano, e la sala da ballo di Jimmy racchiude perfettamente e completamente i loro ideali. È il Jimmy Gralton realmente esistito, interpretato accademicamente da Barry Ward, di ritorno in Irlanda dopo dieci anni di esilio a New York a causa della sua posizione politica; torna con un grammofono, qualche passo di danza, la conoscenza della musica ne(g)ra, i capelli bianchi tra le orecchie e una madre che lo aspetta, ormai rimasta sola, che ci appare inizialmente scema e paesana, rimbambita perennemente a casa – invece è lei il merito di tutto: ex insegnante di Letteratura, ha passato al figlio la cultura attraverso i libri, la curiosità di conoscere il mondo, il dono del ragionare e del pensare prima di rispondere – tutti fattori che lo rendono una minaccia per la locale fazione religiosa. Si aggiunge la sala di cui prima, locale in legno costruito dalla comunità e poi abbandonato, utilizzato per ballare, insegnare canto, pittura, giocare a carte, ritrovarsi alla sera, leggere poesie. Centro attivo di ritrovo e buon impiego del tempo, è l'oggetto del desiderio della nuova generazione del villaggio, che vede in Jimmy un eroe martire, mandato al confino per aver fronteggiato il sistema, ed è l'oggetto della diaspora con reverendi e cardinali, il pastore del luogo, lo schieramento cattolico che vede nello stanzone dismesso un nervo scoperto di satanismo, anticristianesimo, lontananza da quello che dovrebbe essere il vero fulcro del popolo: la parrocchia, dove già si balla e si canta e si glorifica il Signore. Ne scaturiscono una serie di dialoghi, discorsi, botta-e-risposta ecclesiastici, visite pastorali in case sempre accompagnate da offerte di the e biscotti appena fatti, che annientano la tragicità e la serietà della vicenda. Si ride in modo amaro: e non è mai facile farlo né farlo fare. Ciò che è incredibile, oltre all'intelligenza e all'arguzia dei dialoghi, alla furbizia della trovata scenica, è l'incredibile possibilità di raccontare una storia con così sfacciataggine. I pastori morali non ne escono splendenti, seppure vincitori alla fine della trama; il popolo non più gregge reclama una libertà che nella religione non trova – seppure sia fedele al cristianesimo e vada in chiesa a sentirsi bacchettare. Il rischio, nelle pellicole tipo questa, è sfociare nel patetismo del compianto da biopic, ciò che l'ultimo fotogramma effettivamente fa. Altro canale di lettura: la speranza in un futuro gestito da una generazione non così succube delle proprie «superstizioni». Tanto di cappello al coraggio etico di una coppia storica che affronta a testa alta una storia di vera tristezza facendo sganasciare (tristemente) la sala.

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