giovedì 25 giugno 2015

i mandarini.




Violette

id., 2013, Francia/ Belgio, 132 minuti
Regia: Martin Provost
Sceneggiatura originale: Martin Provost,
Marc Abdelnour, René de Ceccatty
Cast: Emmanuelle Devos, Sandrine Kiberlain,
Olivier Gourmet, Catherine Hiegel, Jacques Bonaffée,
Olivier Py, Fabrizio Rongione
Voto: 7.7/ 10
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Nata ad Arras, figlia illegittima di una cameriera e mai riconosciuta dal padre, Violette Leduc crebbe con la convinzione di non essere stata voluta da nessuno in famiglia, di essere completamente sola; non bastarono le due relazioni lesbiche, con una compagna di classe e un'insegnante, a farle passare il tarlo. La Guerra non le permise di finire le scuole. Nel 1938 conobbe Maurice Sachs ed è da qui che il film parte, col capitolo uno: Maurice, appunto. Lui omosessuale, lei innamorata di quell'amore ingenuo e infantile che è l'amore dell'essere amati, portano avanti una finta relazione sociale fino a quando lui parte per la Germania nazista. Scioltamente inserita nel mercato nero, Violette riuscirà non solo a campare da sola ma anche a vivere dignitosamente, con tanto di cappotti e cappelli che non passerebbero inosservati; come non passava inosservato il suo comportamento senza filtri, senza restrizioni, la sua risposta pronta e sempre sincera, spesso fuori luogo, i suoi atteggiamenti teatrali, privati della compostezza etica. Violette era una donna cresciuta quasi senza figure educative ma con un profondo rancore che la legava, attaccava a qualsiasi persona si fermasse a salutarla. Succederà più di tutti con Simone de Beauvoir, intellettuale già affermatissima, con all'attivo un libro scabroso su un triangolo (due donne e un uomo). Rapita dall'idea che la sua mente ha costruito di questa figura, Violette sarà spinta a lasciarle fiori fuori dalla porta e poi a scrivere, di tutto, di sé; fu la prima grande inventrice dell'auto-fiction, e la pellicola di Martin Provost, già regista dell'apprezzato biopic su Séraphine de Senlis, fa quest'operazione strana per un film su uno scrittore: quasi mai la ritrae all'opera, con carta e penna in mano; spesso, invece, è alla mercé della sua vita, perché quella poi ha nutrito i suoi romanzi. Assistiamo alla pubblicazione «in tiratura limitata» de L'asfissia, gli elogi da parte di Sartre, Cocteau, Genet (mai inquadrati), il concepimento del secondo L'affamata e poi la gloria raggiunta con La Bastarda, candidato al Premio Goncourt che venne vinto, invece, da I Mandarini della Beauvoir. È, il suo, il secondo grande ritratto del film: algida, seria, sempre a schiena dritta, è l'opposto di Violette e, forse per questo, grandissima fonte di attrazione, amica, confidente – la loro profonda amicizia sfidò le convenzioni della prima metà del Novecento così come lo fecero i loro non-romanzi. Ha il volto di Sandrine Kiberlain, la madre non-incinta del Piccolo Nicolas, la moglie fredda e arricchita de Le Donne Del 6° Piano; è qui bruna e perfetta, a suo agio di fianco alla colonna di tutte le scene, Emmanuelle Devos, l'indimenticabile Carla di Sulle Mie Labbra da poco tornata sui nostri schermi con Il Figlio Dell'altra. Imbiondita, affronta una biografia calandosi nel personaggio con spigliata naturalezza: ci regala il periodo di depressione, quello di serenità, gli improvvisi sbalzi d'umore, le gioie, i dolori, la necessità di scrivere ancora e gli infantilismi gridati sulla riva della Senna. Sono due attrici in stato di grazia che completano un bel film, riuscito, che quando pecca in lunghezza viene aiutato dagli allestimenti impeccabili: scene, costumi e fotografia rendono l'ambiente culturale francese in tutta la sua vivacità ed estraneità dal mondo in cui, in realtà, era pienamente inserito. Dai manoscritti originali ai barattoli della colla, ogni accessorio è ricostruito con cura maniacale, le scene all'aperto sono attente, gli interni pieni di piccolezze. Una splendida biografia, che in fondo rivela il desiderio di riportare in auge una difficile e triste storia per dare gloria a una donna che, in vita, ne ha avuta troppo poca.

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