sabato 15 agosto 2015
piccino picciò.
Ant-Man
id., 2015, USA, 117 minuti
Regia: Peyton Reed
Sceneggiatura non originale: Edgar Wright, Joe Cornish,
Adam McKay e Paul Rudd
Basata sulla graphic novel di Stan Lee, Larry Lieber e Kack Kirby
Cast: Paul Rudd, Michael Douglas, Corey Stoll, Evangeline Lilly,
Bobby Cannavale, Anthony Mackie, Judy Greer, Michael Peña,
Abby Ryder Forston, David Dastmalchian, T.I., Hayley Atwell,
John Slattery, Wood Harris, Martin Donovan
Voto: 5.5/ 10
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C'è uno scassinatore, Scott Lang, ladro ricercato e finito in prigione che ha visto la compagna passare a miglior marito (poliziotto!) e la figlia venirgli sottratta sotto agli occhi, senza poterci fare niente: ne esce, e decide di cambiare, migliorarsi: ma è difficile trovare lavoro dopo essere stato ripetutamente sul giornale. Gli amici poco furbi di sempre gli propongono un affare, un furto con scasso facile facile – una cassaforte pluri-blindata in una camera da letto. La camera è di Michael Douglas, Hank Pym, colui che inventò il sistema (liquido) per rimpicciolire gli atomi e rimpicciolirsi, senza apparenti danni al corpo né al cervello – e poi tornare ad essere grandi normalmente, sistema che fu utile in guerra, per disinnescare bombe, trasportare carri armati. Pym assiste all'intrusione di Lang – da lui architettata e permessa – perché necessita di un allievo a cui affidare la sua prossima missione: e Lang, nella camera con cassaforte blindata, trova solo una tuta, una maschera e una fiala. Scoprirà il meccanismo e la famiglia che lo governa (Evangeline Lilly ripropone i capelli della Howard in Jurassic World, che però non le si scompigliano): famiglia spezzata dalla perdita di una madre, da un rapporto conflittuale tra il genitore e la figlia, segreti taciuti, competenze non riconosciute, calderone perfetto per affiancarsi ai problemi familiari di Lang, perseguitato dal nuovo compagno della moglie Bobby Cannavale (e sono tre film contemporaneamente in sala), desideroso di riscatto, di realizzazione, esiliato dal sistema sociale. La missione sarebbe quella di: salvare il mondo. Perché un ex allievo di Pym, Corey Stoll, da sempre desideroso di ricreare il sistema di rimpicciolimento, forse ci è riuscito, senza però prevedere la catastrofe (continuare a rimpicciolire entrando nella dimensione quantica), sperimentando su capre e colleghi di laboratorio – accecato dal denaro e dal finanziamento di altre aziende. Se venisse messo in circolazione, sarebbe il caos: così Michael Douglas ritorna sulla piazza. In un flashback scopriamo che è stato Ant-Man, in un passato che non ci viene mostrato, ricordando la prima comparsa del «nuovo supereroe Marvel» già nel 1962, quando Pym era supereroe lui stesso. Tanto parlare delle dimensioni ristrette del protagonista contro il gigantismo degli effetti digitali solitamente usati, degli scenari a cui siamo abituati – omettendo che diventano giganti un trenino (Disney) e una formica. Tanto parlare del doppio finale (Pixar) e degli addominali del 46enne Paul Rudd («ho seguito per un anno intero un regime molto rigido, allenandomi tutti i giorni, riducendo all'essenziale i carboidrati ed eliminando completamente l'alcol – per un'unica scena in cui posso mostrarli») dato che della trita trama del supereroe con superproblemi (e un supercattivo che cambia identità sfruttando la tecnologia rubata) si può dire ben poco: diamo la colpa all'abbandono del set da parte del geniaccio Edgar Wright (Scott Pilgrim), autore comunque della sceneggiatura ritoccata poi da Rudd stesso, divoratore di fumetti a sua detta, a discapito del meno avvezzo Peyton Reed (Abbasso L'amore, Yes Man), dietro al quale le case di produzione spingevano la seconda fase del cinema Marvel, prevedendo per Ant-Man già la presenza nel prossimo Captain America (2016) e nei prossimi Avengers (2018). Ne deriva un film privo di elementi notevoli, dall'intreccio banalissimo, dai personaggi scontati, a cui manca soprattutto ciò che ormai pareva ben promesso (con il primo Iron Man, ma soprattutto con Guardiani Della Galassia): l'(auto)ironia, lo humor che Scott si lascia scappare in pochissime scene – che contraddicono l'idea di lui che ci siamo fatti – che Michael Peña da solo si deve caricare fino all'ultima – attesissima – scena. Un film dovuto perché indispensabile per rinnovarsi, infilare un nuovo personaggio, ormai presentato, nelle saghe collettive e soprattutto farci un sequel – «Pym è ossessionato dall'idea di ritrovare sua moglie, mentre Hope potrebbe seguire le orme della madre e indossare la tuta di Wasp…» – perché a incassi stellari con un sequel si risponde: e che ringrazi la contemporanea uscita dei disastrosi Fantastici 4.
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