domenica 8 luglio 2012

l'odore delle copie.





Womb
id., 2010, Germania/ Ungheria/ Francia, 111 minuti
Regia: Benedek Fliegauf
Sceneggiatura originale: Benedek Fliegauf
Cast: Eva Green, Matt Smith, Lesley Manville, Peter Wight,
Hannah Murray, Tristan Christopher, Ruby O. Fee
Voto: 7.9/ 10
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Escono questa settimana in Italia due film del 2010; uno dei due, il meno noto, ha produzione franco-tedesca e regista ungherese che noi dovremmo conoscere perché, in concorso quest'anno a Berlino62 (dov'è di casa), ha dovuto assistere alla vittoria dei nostri Taviani e quindi alla sua sconfitta, ma che con Csak A Szél s'è portato a casa un sacco di premi minori. Si chiama Benedek Fliegauf e nella sua modesta carriera di lungometraggi drammatici questo è l'unico film recitato in inglese (inglessissimo, british) e con cast di stelle internazionali: la più brava dei Dreamers di Bertolucci, Eva Green, parla fuori campo accarezzandosi il ventre gonfio (il “womb”, appunto) mentre fuori è inverno e tutto tace; parla a un uomo che non la può sentire ma non importa, lei gli parla, e poi torniamo indietro nella storia nella migliore tradizione cinematografica: la riconosciamo in una bambinetta che vive col nonno in una specie di baita nella neve dispersa nel nulla, tutta silenzi e mare freddo, bagno nella vasca bianca e mano sulla pancia nel sonno; un giorno di pioggia un ragazzetto, l'infante attore Tristan Christopher bellissimo e azzeccatissimo, le si avvicina e le dice «piacere, Thomas». Sempre tra silenzi e immagini poetiche di desolazione, i due bambini vivranno pomeriggi di tenerezza e sere di bei pensieri insieme a ciò che li circonda, tipo una lumaca che non ha mai visto la spiaggia. Lei però deve partire per il Giappone, perché sua madre ha trovato un lavoro, e andrà a vivere al settantaduesimo piano. Lui le promette di esserci, alla partenza del traghetto, e invece non c'è. Passano dodici anni e lei, che adesso è Eva Green, torna in questo posto dimenticato anche dalla gente, il nonno è morto, la casa è vuota, e cerca il Thomas con cui aveva fatto mille progetti, e lo trova in Matt Smith - celebre in UK per essere Doctor Who, figlio di Lesley Manville che spero abbiate visto in Another Year e che pur avendo tre scene in tutto è brava come poche persone. Nonostante gli anni, la laurea presa, il lavoro informatico, Rebecca (la Green) riprende a vivere quel rapporto così come l'ha lasciato, privo anche della tensione erotica che tra bambini non c'è. Poi succede un incidente, e taccio su tutta questa parte perché altrimenti il film che lo vedete a fare, ma nel “secondo tempo” (di certo inferiore al primo per forza di immagini e poesia) viene affrontato un originale tema, che non è quello della clonazione (questo ve lo dico perché ne parlano tutte le recensioni) ma quello del rapporto tra una persona e la copia di chi ha amato in passato, che adesso riveste un altro ruolo.
Da questo pensiero deriva il voto altissimo, certo più alto di quello degli altri critici. E dal rigore tecnico e soprattutto dall'algida trasposizione della solitudine e del dramma di questa donna che tira avanti da sola nel nulla. Siamo in un futuro non ben identificato, in un periodo non ben identificato, e le amicizie infantili dell'inizio, i pomeriggi di cielo grigio al mare e la consapevolezza che prima o poi parleremo di cloni non può non riportarci alla mente il bel Non Lasciarmi, titolo non letterario di Never Let Me Go, pure quello inglesissimo ma diretto da un americano su un libro giapponese.
Tanta tecnica e tante belle scene per un film che ha di buono pure i titoli di testa e di coda; grazie a Dio non arriva in Italia con questa locandina.

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