martedì 22 aprile 2014
epilogo con diluvi.
Noah
id., 2014, USA, 138 minuti
Regia: Darren Aronofsky
Sceneggiatura originale: Darren Aronofsky & Ari Handel
Cast: Russel Crowe, Jennifer Connely, Ray Winstone, Anthony Hopkins,
Emma Watson, Logan Lerman, Douglas Booth, Nick Nolte
Voto: 5/ 10
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In principio era Dio e il Verbo era presso Dio, che divise il buio dalla luce e venne sera e venne mattina: primo giorno. L'incipit più famoso del mondo (dopo quello di Anna Karenina), che non è questo, ci è riassunto nell'overture più brutta del mondo, che vorrebbe riassumere la grazia di Dio, il peccato originale, la morte di Abele, la stirpe di Caino, la malvagità insita nell'uomo. Ci rifaremo: dopo due terzi di pellicola (due ore e un quarto, che si basano sui capitoletti della Genesi che vanno dal 5 al 10 – per cui aspettiamo a parlare di «fedeltà al libro») l'invasato Noè (che nel film si chiama Noè ma non si capisce perché il film si chiami Noah) copre una coppa, la luce si spegne ed ecco ciò per cui vale la pena di pagare il biglietto: la ricostruzione di quei sei giorni più riposo, lo sviluppo dell'uomo, degli animali, la cacciata dall'Eden, i segni di cattiveria. Darren Aronofsky, a cui il successo de Il Cigno Nero ha dato alla testa (oltre che al portafogli) pare faccia l'occhiolino a chi, prima di lui, ha raccontato in una digressione la formazione dell'universo – ma The Tree Of Life lo faceva dal punto di vista scientifico; bizzarro: perché Malick dirigeva un film profondamente cattolico mentre Aronofsky è di educazione ebraica. Il tentativo di rimanere «fedeli al libro» lui e la solita sceneggiatrice Ari Handel lo mischiano a quello di voler raccontare in termini moderni la storia; storia che, come la Bibbia docet, è fatta di frasi secche e spesso criptiche. Certo non possono dare i seicento anni che ha, a Noè; gli danno una veste nuova – nel corpo di Russel Crowe che ben si riprende dopo le apocalittiche stroncature per Les Misérables. Questo Noè è un prescelto che si fa esaltato, un alunno che pretende di superare il maestro, un neo-despota cinico e cieco: la buona trovata di sottolineare l'agonia e la crudezza dello sterminio di tutti gli altri esseri umani viene da lui vissuta con totale freddezza, mentre i figli all'interno dell'arca si tappano le orecchie folli dal pietismo. L'arca ha una forma che non ci aspetteremmo – di palafitta, costruita insieme ai giganti di pietra figli più de Le Cronache Di Narnia che del Testo Sacro; all'interno si cela un nuovo barlume di Male: un tradimento, un ripescare il cattivo figlio Caino per evidenziare come, non importa cosa succeda, c'è sempre l'aspetto malvagio dell'uomo. La partecipazione quasi essenziale delle figure femminili è altro aspetto originale: Jennifer Connelly si ritaglia un paio di scene strazianti e Emma Watson diventa perno delle ultime sequenze (le divide col tenero Logan Lerman, con cui divideva già Noi Siamo Infinito), fatte tutte di una tensione da Gòlgota e una digressione di nove mesi (ma non piovve quaranta giorni?). Ciò che Aronofsky, nella furia da blockbuster, dimentica, però, è quanto assurdo sia l'annuncio di una fine del mondo quando il mondo era così giovane; un preannuncio della morte generale così tanto tempo prima della previsione, per esempio, Maya. Mario Brelich, teocratico nostrano che ha pubblicato vari saggi sul tema biblico per Adelphi, scrisse nel '79 un interessantissimo approfondimento di questo aspetto, Il Navigatore Del Diluvio (156 pagg., € 10,00); il regista di Pi Greco è interessato però non alla redenzione collettiva ma al kolossal fantasy che ormai è l'unico genere che fa cassa al botteghino. Se col Cigno Nero aveva magistralmente portato la macchina da presa sul palco, riprendendo le scene di danza nel modo che il musical non è solito proporre, facendoci girare attorno a Natalie Portman o addirittura starle alle spalle, e poi inquadrandola infoiata negli occhi spiritati, qui si concede qualche primo piano drammatico e poi si perde nel posizionare l'obiettivo, ora va in alto ora fa panoramiche cercando di copiare, ad esempio, le trovate sceniche de Lo Hobbit, ma senza riuscirci. Si aggiungono costumi improponibili. Peccato: un gran spreco di forze.
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