Ida
id., 2013, Polonia/ Danimarca, 80 minuti
Regia: Pawel Pawlikowski
Sceneggiatura originale: Pawel Pawlikowski & Rebecca Lenkiewicz
Cast: Agata Kulesza, Agata Trzebuchowska,
Adam Szyszkowski, Halina Skoczynska, Jerzy Trela
Voto: 8/ 10
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Credendo di chiamarsi Anna, l'impronunciabile Agata Trzebuchowska tutta occhi in un viso d'angelo siede di fronte alla Madre Superiora in attesa di prender voti, dopo aver consumato la minestra a cucchiaiate silenziose nella sala comune, dopo aver issato la nuova statua del Cristo fuori dal convento, tra la neve. La Madre le dice: non dovresti prendere i voti senza aver prima conosciuto la tua unica parente, tua zia Wanda – che non ha mai conosciuto perché, persi entrambi i genitori, è stata affidata all'orfanotrofio che l'ha cresciuta casta e convertita al cristianesimo. Perché Anna in realtà si chiama Ida, Ida Lebenstein, ebrea figlia di ebrei morti durante la Guerra e nipote di un magistrato connivente con il regime comunista, capofila del governo degli anni '60. Per Anna/ Ida questa non sarà l'unica novità. L'incontro con la parente le aprirà un mondo che non si aspettava di trovare fuori dal convento: oltre alla guerra spenta e alla politica, scoprirà le radici familiari recise alle quali cercherà di mettere rimedio visitando i luoghi in cui i genitori sono vissuti, conoscendo le persone che li hanno aiutati, seppellendo le loro ossa. Scoprirà poi quanto un'animo umano, un'animo femminile, possa sopportare, in una sceneggiatura assolutamente priva di retorica che mette in bocca a Wanda (Agata Kulesza) esattamente il necessario da dire, per farci capire, ad esempio, che ha perso un figlio. Zia e nipote sono due mondi lontani: vergine una, devota agli uomini l'altra; chiusa e silenziosa una, navigata e coltissima l'altra. Eppure i mondi si sfiorano, perché nel vuoto paiono entrambe cariche di una tristezza che le accomuna: che sia la disillusione verso il mondo, verso i cinquant'anni passati lontano da una figura sentimentale, verso l'accettazione di un velo che arriva senza conoscere le altre opzioni. Il road-movie fermo, il romanzo di formazione prosegue spostandosi poi sulla figura che dà il titolo alla pellicola, che viene spodestata per la prima metà: Ida imparerà a conoscere le scarpe col tacco, le danze al centro dei locali, i ragazzi gentili. Le servirà ogni esperienza di donna prima di decidere se tornare o meno all'abito monacale – in un finale che ricorda il cerchio chiuso e riaperto de Le Notti Di Cabiria. Niente patetismi, solo poesia: le inquadrature sono calibrate e pensate in fuochi e fuori-fuochi che, aiutati da una fotografia splendida, paiono quadri in successione. Si aggiunge un formato 4/3 nostalgico come i suoi colori, muto come la colonna sonora. Una piccola perla che non dura più di quanto deve, che ci mostra quanto serve ma che nasconde molto di più, un'altra prova di conoscenza estrema della figura femminile, in tutte le sue sfaccettature, dal regista di My Summer Of Love Pawel Pawlikowski che pure là si era servito della doppia figura in antitesi, un po' bergamniana. Passato con felicità dal 31esimo Festival di Torino a dicembre, è – come tutte le cose belle – in pochissime sale.
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