giovedì 29 maggio 2014

buonissima.



Maleficent
id., 2014, USA, 97 minuti
Regia: Robert Stromberg
Sceneggiatura originale: Linda Woolverton
Liberamente basata su La Bella Addormentata di Charles Perrault
Ispirata a La Bella Addormentata Nel Bosco di Clyde Geronimi
Cast: Angelina Jolie, Elle Fanning, Sam Riley, Sharlto Copley
Lesley Manville, Imelda Staunton, Juno Temple, Brenton Thwaites
Voto: 4.5/ 10
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Non c'è dono peggiore che si possa ricevere, alla nascita, dell'assenza di originalità. Fatto sta che le persone private di questa grazia, adesso, popolano le scrivanie non tanto degli sceneggiatori (Linda Woolverton ha scritto, non da sola, Il Re Leone, La Bella E La Bestia, Mulan) quanto dei produttori hollywoodiani e disneyani, che vivono appieno il decennio del cinema devoto ai super-eroi e alle fiabe, ai remake e agli spin-off, ai sequel e ai live-action. C'era bisogno di sapere cosa fosse Malefica in gioventù, quale danza amasse il Cappellaio, con che armatura Biancaneve salvò il suo popolo?, certo che no – ma se negli altri casi si lavora di fantasia perché «felici e contenti» arriva troppo presto, in questo si aveva davanti una fiaba da cui la Disney ha tratto il suo migliore (sette anni di lavorazione, foglie e mattoni disegnati uno per uno, due diversi incipit, svariati stili e costumi, fondali ora esposti negli Studios) e più corto film: appena più di un'ora per evitare di raccontare che Aurora, dopo il risveglio, sposato Filippo e partoriti dei figli, scopre che la madre è un'orchessa e vuole divorare la sua progenie – a cui porta rimedio Shrek. Invece di andare avanti e dire ciò che è stato detto, così come è stato detto, perché detto giustamente e bene, ancora si ritorna indietro, per conoscere una fata-satiro orfana, buona e brava e bella, che si chiama Malefica e vive nella brughiera separata dagli umani che portano avanti una diaspora con le creature fantastiche. Crescendo, e diventando protettrice delle sue terre, Malefica conosce e s'innamora di Stefano, un umano avido sin dalla prima immagine, desideroso di salire al trono e disposto a tutto. Ma questo lei non lo sa: il più grande tradimento che potrà ricevere la renderà crudele e chiusa in se stessa, buttando le palandrane de Lo Hobbit per un look più conforme ai feticisti del genere, lattice velluto e rossetto sempre rosso. Il maleficio che lancerà alla piccola Aurora, però, non sarà rimediato da una delle tre fatine, perché prevederà già in partenza la presenza del Vero Amore, in cui lei non crede più, frecciatina al sovrano reggente. Ma ci aveva già pensato Frozen, dopo che Biancaneve E Il Cacciatore aveva ribaltato le figure e i baci, a sottolineare come l'azione salvifica può venire solo dalla famiglia, e non da un ragazzo visto una volta e apprezzato in veemenza. Malefica, al contrario del film d'animazione, non ha castello (mentre quello di Re Stefano è il castello Disney), ha un corvo che muta aspetto e un bastone con cui affronta il girovagare tra i prati sempre appresso alla bambina a cui sta per spezzare l'adolescenza. La volontà di mostrare il lato umano di un cattivo, mantenendo lo scorrimento dell'altra narrazione (i roveti, il bacio, il drago) non scompone la fiaba ma la capovolge: le fate sono imbranate e vanesie e incapaci di crescere una bambina per sedici anni; ci penserà quindi la fata-strega a nutrirla e salvarla quando cade. Come le madri che si sentono dire «ti odio» dalle figlie che hanno il divieto di uscire, così Malefica vivrà col rimorso di aver maledetto una pargola per una colpa che fu di suo padre. Ma il più saggio degli insegnamenti si sbriciola davanti al surrealismo con cui questi sedici anni scorrono. L'atto di pungere il fuso, il momento più bello del cartone animato, cala qui in effetti da funghetto – succederà poi spesso, con una serie di ralenty finali ad elogiare il lavoro fatto in post-produzione. Dietro la macchina da presa c'è il furbetto Robert Stromberg: due Oscar per le scenografie di Alice In Wonderland e Avatar, le più grandi cagate degli ultimi cinquant'anni; anche supervisore di effetti visivi, disegnatore, al debutto come regista, lavora per portare in casa qualche altra nomination popolando la pellicola di mostriciattoli e insetti stecco, sirene e arbusti vivi, che da Le Cronache Di Narnia in poi hanno rovinato ogni narrazione fantasy. In questo sfacelo di dialoghi e arti, Angelina Jolie migliora col minutaggio, e ci si chiede: perché lei sia lì, e perché siano lì tre mostri sacri quali Imelda Staunton e Lesley Manville (già insieme in Vera Drake, entrambe care a Mike Leigh) e Juno Temple che ha un terzo dei loro anni e, forse, avrebbe dovuto sostituire Elle Fanning.

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