sabato 24 maggio 2014

#Cannes: prometti prometti.



Le Meraviglie
id., 2014, Italia/ Svizzera/ Germania, 110 minuti
Regia: Alice Rohrwacher
Sceneggiatura originale: Alice Rohrwacher
Cast: Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Luis Hulica
Alba Rohrwacher, Agnese Graziani, Sabine Timoteo, Monica Bellucci
Voto: 9/ 10
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Grand Prix
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Alice Rohrwacher ha un dono: di tutta la vita, la vita intera di una persona, riesce a catturare quel periodo dell'adolescenza, della prima giovinezza, in cui il carattere si sta formando ed è in grado di riassumere ciò che sarà poi. L'aveva fatto col bellissimo Corpo Celeste (2011), nel suo rapporto persona-religiosità, lo fa adesso con Le Meraviglie e il suo rapporto individuo-lavoro (ma anche padre-figlia, persona-macchina, umiltà-fama, sacrifici-ricompense). Ha anche un altro dono: saper scegliere, tra molti, sempre l'attore giusto, soprattutto quando si tratta di pargoli e pischelli. Era perfetta Yle Vianello nel film d'esordio, anche quello passato al Festival di Cannes ma non in pompa magna; sono perfette Maria Alexandra Lungu e Sabine Timoteo qui, spontaee (soprattutto la seconda, che se lo può permettere), espressive, a loro agio davanti alla macchina da presa e tra le api, i campi, gli etruschi, la televisione. In effetti il dono è più grande, perché tutto è azzeccato e i personaggi si fondono negli attori: mai famiglia fu più psicologicamente analizzata, minuziosamente descritta nell'atteggiamento e nel carattere, resa senza sbavature su schermo. Per quanto il padre Sam Louwyck sia un cliché del contadino conservatore, burbero e sempre arrabbiato, restìo, malfidente, e sua moglie Alba Rohrwacher il ritratto della maternità dolce ma lavoratrice, la figura di riferimento delle quattro figlie tutte femmine, è nel rapporto con il mestiere e l'educazione della progenie che vengono fuori le piccole aperture alla tenerezza: un cammello comprato con gli ultimi soldi rimasti, la partecipazione a un concorso, una frase – la più bella del film e di molti altri film – sull'ingiustizia del nascere per ultimi e passare meno tempo dei fratelli con la mamma. Dalla prima azzeccatissima ironica sequenza (un risveglio notturno giustificato dalla pipì prima, dalla cacca poi, dal desiderio di dormire coi genitori infine) scopriamo queste due figlie maggiori: Gelsomina, che non poteva non chiamarsi come un fiore, e Marinella, devota alla coreografia di T'appartengo, che si gode gli ultimi sprazzi dell'ingenuità che sua sorella ha perso o sta perdendo, giustamente chiamata in causa poi quando si cercherà «il capofamiglia», attenta al secchio da cambiare, all'epidemia nei campi da combattere, al lavoro da portare sempre e comunque avanti, con meticolosità. Nella loro vita farà irruzione un “bambino difficile”, vittima dell'infanzia criminale, un Martin che non parla italiano e col quale la bambina del silenzio riuscirà a comunicare attraverso altro, che non è ancora il contatto fisico. Farà irruzione anche l'etrusca Milly Catena, la Monica Bellucci stanca davanti alla telecamera televisiva e briosa di fronte ai bambini, conscia della sua fama e della sua bellezza e capace di gestire una diretta – presentatrice di un tipico concorso televisivo locale che premia le imprese a conduzione familiare che producono i cibi più deliziosi. Il siparietto con costumi antichi arrabbattati e fili e cavi tecnici è una di quelle tante frecciatine al mondo non luccicoso dell'immaginario televisivo che, anche se misero e semi-serio, rappresenta agli occhi dei contadini un altro universo, dentro al quale alcuni, che poi hanno la meglio, sanno tenere il gioco di apparenza e complimenti gratuiti, altri diventeranno vittime della propria timidezza o difficoltà di espressione. Ma poco importa: perché a questi ultimi è la propria attività che interessa, e la crescita di una figlia che molti mormorano «sfuggirà», che inizia a sfuggire innanzitutto sentimentalmente, scoprendo il proprio corpo in ritardo rispetto alle coetanee e scoprendo l'altro sesso in veste diversa da quella del padrone.
Le Meraviglie è un capolavoro già dal titolo, un piccolo capolavoro grezzo che scava in una realtà sconosciuta e apparentemente impossibile, in un mestiere “strano”, quello degli apicoltori, che è il mestiere del padre delle sorelle Rohrwacher, scava in una famiglia “normale” eppure così diversa dalle altre, e in uno spaccato, gli anni '90, di cui viene dipinto, nel diluito finale, un ipotetico, triste, splendido epilogo.

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